Giacomo Valtolina, Corriere della Sera 22/3/2015, 22 marzo 2015
LO SCIOPERO DEL TIFO STADIO SEMIVUOTO E LE ACCUSE DEGLI ULTRÀ
Milano Sette e mezza di sera a San Siro. Il clima è spettrale. Da mezz’ora sono comparsi gli ultrà milanisti sulle tribune del secondo blu, appollaiati come corvi sulle transenne. I colori rossoneri sono banditi, lo sciopero del tifo è pronto. Si aspetta di srotolare tre striscioni di protesta, poi (quasi) tutti fuori senza vedere la partita. «Tanto ormai…», dicono. O meglio «Game over», partita chiusa, come da manifesto calato a un’ora dal fischio d’inizio del match, accompagnato da un eloquente «Insert coin», immettere moneta, come nelle sale giochi, seguito dal motto #saveacmilan, salva il Milan. Un vuoto che continua in primo blu: «This is the end», è la fine.
L’esenzione dal tifo era stata annunciata venerdì sul sito della Curva Sud, con un lungo comunicato per chiedere chiarezza alla presidenza in merito alle politiche societarie e ai risultati. Era solo un anno fa, il 16 marzo: la contestazione della curva fuori dal tunnel di San Siro; la delegazione di capi ultrà che ottiene rassicurazioni da Seedorf sul futuro, Balotelli che promette impegno, i tifosi che chiedono la cacciata di Galliani. La protesta iniziata prima del match continuò dopo il 90’ portandosi dietro la rabbia di un sonoro 1-4. Ma memori delle 35 denunce (e 33 Daspo) recapitate in quell’occasione, stavolta la curva ha scelto la linea soft: un’improvvisata decisa in tre giorni.
«Dobbiamo farci sentire e dare una scossa» spiegava all’ingresso 14 Giancarlo Capelli, il Barone, promettendo: «Non impediremo a nessuno di entrare. Ma questa è solo la prima di una serie di azioni». Qualcuno, in effetti, sceglie di restare dentro, ma il grosso degli ultrà diserta gli spalti e rimane, tranquillo, sulle rampe esterne, senza esultare neppure al primo gol di Menez. E così gli unici colori che si vedono sono quelli delle poltroncine lasciate sgombre dai tifosi in tutti i settori. Non ci sono neppure i soliti striscioni dei circoli poiché anche l’associazione dei Milan Club si è unita alla protesta in nome di quella trasparenza essenziale nel rapporto di «lealtà con i tifosi».
Oltre all’invito a non tifare la squadra, la Sud aveva proposto anche il boicottaggio nei Milan Store e a Casa Milan. Ma i negozi del centro, ieri, non hanno registrato crolli d’affari, seppur dalla boutique della nuova sede rossonera al Portello rivelano: «Se non ci fosse stata la visita delle scuole calcio per incontrare Franco Baresi sarebbe stato un sabato morto». Così ieri si vedevano bambini carichi di pacchi, grazie alle promozioni per la festa del papà. Anche allo stadio, la faccia felice era la loro, con migliaia di piccoli assiepati in primo anello strillando «Milan-Milan».
Prima della partita, però, il malcontento serpeggiava anche sui social. All’hashtag su Twitter #saveacmilan, in breve si sono uniti i vari #disertiamolostadio, #berlusconiout, o addirittura #jesuismilan. Cinguettii da Parigi a Riyad, da Montreal a Giakarta. Qualcuno attaccando le incoerenze della Sud («Volete che Barbara prenda in mano il Milan e poi le boicottate il merchandising?») ma la maggioranza era compatta nel chiedere: «Chiarezza!». I tifosi soffrono, vorrebbero sapere il perché di tanti progetti solo abbozzati (da Leonardo a Seedorf, fino a Inzaghi). Vogliono soprattutto sapere che c’è di vero nelle voci che arrivano da Oriente. In poche parole implorano Silvio Berlusconi: «Se non spendi vendi». Game over, insert coin.