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 2015  marzo 24 Martedì calendario

UN SETTORE CON QUATTRO BIG E TANTI GRUPPI MEDI

Quattro colossi e un gran numero di aziende medie, in prevalenza asiatiche, con Pirelli che guida questo secondo drappello. Questa la struttura di un mercato, quello degli pneumatici, che per alcuni aspetti è più consolidato di quello delle autovetture; una struttura destinata a un ulteriore consolidamento. I dati 2013 (ultimi per cui è disponibile un confronto a livello globale) vedono la giapponese Bridgestone in testa con un fatturato pneumatici di 21,5 miliardi di euro (su un totale di 25,3) davanti alla francese Michelin (20,2 miliardi di ricavi complessivi, quasi interamente ricavati dalle gomme); al terzo posto c’era l’americana Goodyear (14,2 miliardi di giro d’affari, tradotto in euro al cambio dell’epoca) e al quarto la tedesca Continental, evocatrice di cattivi ricordi dalle parti della Bicocca; la divisione pneumatici di Continental è in realtà più piccola delle rivali (poco meno di 10 miliardi di ricavi), ma è parte di un vero e proprio colosso dei componenti auto da oltre 33 miliardi di euro. Con i suoi poco più di 6 miliardi di fatturato, quasi invariato tra il 2013 e il 2014, Pirelli si colloca al quinto posto e precede la coreana Hankook (poco meno di 5 miliardi negli pneumatici nel 2013), le giapponesi Sumitomo (4,8) e Yokohama (3,4) e una schiera di produttori di medie dimensioni (fra i 3,2 miliardi della Maxxis e gli 1,3 della ventesima, la cinese LingLong).
L’ipotesi di una controfferta per la Bicocca, circolata dopo l’accordo annunciato nel fine settimana, richiederebbe un esborso finanziario consistente (oltre 7 miliardi è il valore dell’Opa su Pirelli prevista dall’intesa fra Camfin e e cinesi) e sarebbe alla portata solo dei big del settore. Alcuni di questi, però, non hanno le spalle abbastanza robuste dal punto di vista finanziario: Goodyear capitalizza essa stessa meno di 7 miliardi di euro; Michelin, che ne vale oltre 16, ha una posizione finanziaria negativa (sia pure per meno di 1 miliardo di euro) ed è reduce da un 2014 che ha deluso gli analisti. Meglio piazzate sono Bridgestone (30 miliardi di euro di capitalizzazione) e Continental, con i suoi quasi 44 miliardi. I giapponesi non sono noti per lanciarsi in battaglie di Borsa ostili: Continental, che come spiegato ha una divisione pneumatici più piccola dei tre big, potrebbe essere interessata almeno sul piano teorico; Pirelli, che ha un peso delle attività europee inferiore a quelli della stessa Continental e di Michelin, potrebbe rappresentare un’occasione di diversificazione. Dopo la fallita scalata italo-tedesca dei primi anni 90 le ipotesi su un avvicinamento (anche in senso inverso) erano tornate a circolare negli anni scorsi, ma nulla si è mai concretizzato.
Resta l’ipotesi di una discesa in campo di un altro gruppo extra-europeo alla ricerca di tecnologie e di una base in un mercato evoluto. L’indiana Apollo Tyres ha conquistato in Europa nel 2009 il glorioso marchio Vredestein e la stessa ChemChina, prima di chiudere l’acquisizione di Pirelli, aveva puntato gli occhi su un altro gruppo di medie dimensioni, l’americana Cooper Tire & Rubber, secondo fonti citate dal Financial Times; la Cooper Tire era stata oggetto anche delle mire della già citata Apollo, la cui offerta è stata bloccata dalla cinese Chengshan. Il consolidamento nel settore, insomma, non sembra rallentare: troppi i fattori che lo promuovono, dalla ricerca di nuovi mercati da parte dei gruppi europei a quella di tecnologie da parte dei player emergenti. Gli investimenti necessari per competere ad alto livello dovrebbero restare significativi anche nei prossimi anni sia in termini di ricerca sulle nuove tecnologie (per la necessità dei costruttori di auto di ottenere risparmi di carburante anche attraverso un miglioramento degli pneumatici), che di spese in conto capitale, per finanziare il trasferimento delle produzioni verso mercati più promettenti.