Paolo Nori, Libero 22/3/2015, 22 marzo 2015
LA BAMBINA CHE TI FA VENIRE UN ACCIDENTE
Buongiorno. Se avete pazienza, vorrei raccontarvi la storia di una bambina che si chiama Ada. Se non avete pazienza, arrivederci. Vi annoiate? Arrivederci. Non vi annoiate? Allora andiamo avanti. Allora c’era questa bambina che si chiamava... andiamo avanti? Va bene. Allora c’era questa bambina che si chiamava Ada che aveva dieci anni. E era una bambina che aveva, come molte bambine di dieci anni, un babbo e una mamma. Solo che erano un babbo e una mamma abbastanza singolari, perché, prima di tutto, non abitavano insieme, che quella era anche una cosa normale, in classe con Ada c’erano altri quattro bambini che avevano i genitori che non abitavano insieme, non era quella la cosa singolare, la cosa singolare, dei genitori di Ada, era il fatto che si chiamavano, la mamma: Lucia, il babbo: Lucio. Ada non conosceva nessuno, dei suoi compagni di classe (e anche dei non compagni di classe) che aveva due genitori che si chiamavano così, Lucia e Lucio. E non solo Lucia e Lucio, neanche Paola e Paolo. O Massimo e Massimina. O Emilio e Emilia. O Ernesto e Ernesta. O Franco e Franca. O Teresa e Tereso. O Martina e Martino. O Gigi e Gigia, per esempio. Invece, i suoi genitori, di Ada, si chiamavano proprio così, Lucia e Lucio, che era una cosa, pensava delle volte Ada, un po’ imbarazzante. Poi non abitavano neanche insieme. Ecco. Vi annoiate? Non siamo mica obbligati, eh? Se vi annoiate ci possiamo fermare anche qui. No? Andiamo avanti? Andiamo pure avanti. Allora, la mamma di Ada, Lucia, era una mamma normale, una bella mamma coi capelli neri che lavorava in ufficio, faceva l’impiegata in una società che facevano delle assicurazioni e lei, Lucia, il suo mestiere vero e proprio, doveva indagare se quelli che avevano fatto gli incidenti in macchina li avevano fatti davvero o se non se li erano inventati per imbrogliare l’assicurazione e intascarsi i soldi. Un mestiere interessante. Invece il babbo, di Ada, Lucio, faceva un mestiere forse ancora più interessante cioè lui, praticamente, faceva il disegnatore. Cioè disegnava delle cose che non disegnava però le cose che venivano in mente a lui, come fanno per esempio i pittori no, lui disegnava le cose che venivano in mente agli altri. Cioè più che un disegnatore, lui non era un vero e proprio disegnatore, lui piuttosto era un illustratore, cioè lui illustrava quello che gli altri avevano pensato e scritto loro. Che era come se da solo, lui, Lucio, suo babbo, non sapesse far niente. Ci aveva provato anche un sacco di volte, a mettersi a scrivere, scriveva anche delle poesie, aveva un quadernino speciale dove scriveva le sue poesie (...). A Ada, di suo babbo, le piacevano soprattutto i piedi. Che Ada, che aveva dieci anni, era una bambina alta, e oltre a essere alta aveva le gambe lunghe, e oltre a aver le gambe lunghe aveva anche due bei piedi, a dieci anni portava il 39, il che faceva immaginare che quando avrebbe finito lo sviluppo avrebbe portato il 42, o forse anche il 43, e per lei, questa era una cosa della quale lei era contenta, lei avrebbe anzi voluto portare magari anche il 44, o addirittura il 45, in modo da pareggiare suo babbo, o anche, magari, il 46, in modo da batterlo, ma non ci contava tantissimo, 46 di scarpe per Ada era un po’ un sogno, un’aspirazione della quale non sapeva se sarebbe stata all’altezza, ma 42 ci contava, e forse anche 43, alla faccia di Cenerentola, ma a parte questo fatto dei piedi aveva un’altra caratteristica, Ada, che, se vi annoiate, vi annoiate?, vi sembra che la sto tirando un po’ alla lunga? (...). (...) l’altra caratteristica che aveva Ada che la rendeva singolare, a parte i piedi lunghi, era una caratteristica di cui Ada si era accorta una volta quando era in seconda elementare che aveva una maestra che non le era tanto simpatica che si chiamava Gemma, che era una donna alta alta, coi capelli rossi, che di scarpe portava il 40 e che diceva sempre “Cioè”. (...). (...) la cosa che a Ada non le andava bene che certe volte Cioè un po’ esagerava, coi compiti, delle paginate di compiti di matematica a dei bambini di sette anni che poi dovevano lavorare delle ore e un venerdì che era successo così, che la maestra Gemma, cioè Cioè, aveva dato tanti di quei compiti che volevano dire dieci ore di lavoro, in un fine settimana che Ada sarebbe dovuta andare a Mirabilandia, e tutti quei compiti forse volevano dire niente Mirabilandia, Ada quella volta lì aveva chiuso gli occhi, si era concentrata, aveva pensato: «Che ti venga immediatamente / un mal di testa sconvolgente. / Che duri per davvero / un cinquino di giorni intero». Ecco. Vi state annoiando? Se vi state annoiando, arrivederci, se non vi state annoiando potete immaginare la sorpresa di Ada quando il lunedì successivo, al mattino, al posto di Cioè, a scuola, c’era una supplente, e la supplente aveva detto che la maestra Gemma (cioè Cioè) era malata sarebbe stata a casa qualche giorno. E era stata a casa cinque giorni. Be’, quella volta lì Ada aveva capito una cosa che non aveva mai detto a nessuno, un cosiddetto segreto, che lei, Ada, non lo sapeva nessuno, ma lei, Ada, era una bambina fulminante. Ci sono, le bambine fulminanti. Adesso gli scienziati non sanno benissimo l’origine di questa caratteristica, o, per meglio dire, lo sanno, ma sono divisi (gli scienziati di solito son della gente che si dividono); secondo una parte di loro, succede per via del fatto che la scatola cranica subisce un colpo forte nei primi sei mesi di vita, cioè che il bambino picchi la testa contro un pavimento possibilmente di marmo (...). Pubblichiamo ampi stralci del primo capitolo dell’ultimo libro - La bambina fulminante (Rizzoli, pp. 190, euro 13, con illustrazioni di Andrea Cavallini), in questi giorni in libreria - del nostro collaboratore Paolo Nori. Un’avventura che dura in tutto un minuto ma si legge in due ore. Con una protagonista dotata di un superpotere (quando tira degli accidenti in rima a qualcuno, quegli accidenti lì arrivano) che farà gola a tanti.
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