Marco Gorra, Libero 21/3/2015, 21 marzo 2015
SOTTO INCHIESTA PER PECULATO MA LA BARRACCIU NON LASCIA
Qualora Matteo Renzi volesse testare ulteriormente la propria linea circa le dimissioni che, indipendentemente dal casellario giudiziario, vanno date o non date secondo il criterio della famosa «opportunità politica» (significa che decide lui chi deve prendere commiato e quando), per trovare qualche spunto non avrebbe che da guardarsi dentro casa. E chiedersi se, usato il pugno di ferro con l’ormai ex ministro Lupi, sia il caso di continuare ad utilizzare il guanto di velluto nei confronti di quanti fanno parte dell’esecutivo e presentano situazioni ben più imbarazzanti di quella del già titolare delle Infrastrutture. Il caso forse più noto è quello dell’esponente del Pd sardo nonché sottosegretario ai Beni Culturali Francesca Barracciu. La quale, a differenza di Lupi, è indagata (e per un reato odiosetto quale il peculato aggravato) e la quale, nonostante fosse sotto inchiesta già prima della formazione del governo e vi sia stata chiamata a farne parte nonostante l’avviso di garanzia, non ha mai visto in un anno e rotti traballare la propria poltrona. E sì che - almeno stando ai dettami del nuovo corso renziano tutto rigore ed inflessibilità - ce ne sarebbe. I fatti. La signora si ritrova indagata dalla Procura di Cagliari nell’ambito dell’inchiesta sul presunto uso illecito dei fondi destinati alle attività istituzionali dei gruppi del Consiglio regionale della Sardegna, che coinvolge una novantina di consiglieri delle due legislature precedenti quella in corso. I magistrati le contestano l’utilizzo improprio di circa 78mila euro destinati all’attività politica ma usati, secondo l’accusa, per altre finalità. Coinvolta nel secondo filone di inchiesta curato dai magistrati sardi (aperto dopo il rinvio a giudizio dei consiglieri indagati nella prima tranche), l’ex consigliera regionale è in attesa della decisione del gip. Le indagini si sono chiuse nel novembre scorso e, non avendo l’accusa dato segnali di propendere per l’archiviazione, la richiesta di rinvio a giudizio da formulare nell’udienza preliminare appare scontata. Sotto la lente degli inquirenti, come detto, c’è l’utilizzo dei fondi: rimborsi chilometrici per spostarsi in auto su e giù per la Sardegna, seminari, eventi, manifestazioni. I magistrati vogliono capire se davvero le spese siano state effettuate per motivi istituzionali o se tra gli esborsi se ne celi qualcuno che così attinente all’attività politica non è. Inoltre, in Procura hanno intenzione di vedere chiaro sul ruolo della società Evolvere srl, azienda in cui la Barracciu figura come amministratore unico fino al 2004 e nella quale comparirebbe ancora il di lei compagno: la società avrebbe percepito 3.600 euro di fondi del gruppo consiliare del Pd onde realizzare convegni e seminari, e i giudici vogliono accertarsi se detti eventi siano effettivamente stati realizzati. La Barracciu si è sempre difesa con i denti, producendo memorie difensive precise al chilometro che - assicurano gli avvocati - «giustificano tutte le spese», dichiarandosi orgogliosamente estranea al «calderone delle spese pazze», contrattaccando e annunciando querele contro chi mette in giro «mezze verità e molte cose totalmente false infamando, oltre che me, persone a me care». Sta di fatto che, per Renzi, la signora aveva iniziato ad essere un grattacapo da un pezzo. Almeno dal gennaio 2013, quando da fresca vincitrice delle primarie e candidata presidente della Regione, si era ritrovata con l’avviso di garanzia. Sarebbero seguiti mesi difficilissimi sull’asse Roma-Cagliari, culminati quasi un anno dopo nel passo indietro della Barracciu dalla corsa per la poltrona da governatore. A titolo risarcitorio, ecco arrivare dopo qualche mese la nomina a sottosegretario nel ministero guidato da Dario Franceschini. Con essa, però, erano arrivate anche le polemiche e le richieste di dimissioni da parte dell’opposizione. Di fronte a cui lei ha sempre tenuto duro: «Se venissi condannata mi dimetterei subito». È una questione, come dire, di «opportunità politica».