Marco Molendini, Il Messaggero 21/3/2015, 21 marzo 2015
«TEMO LA NOIA E I COMPROMESSI»
[Intervista a Caparezza] –
Performer eretico, sulfureo agitprop della musica, l’ispido pugliese Michele Salvemini in arte Caparezza, ha un solo nemico: la noia. Stimolo necessario per continuare a far musica senza logorarsi. Prendiamo l’ultimo capitolo della sua storia, Museica, disco ambizioso che ha spaziato nelle classifiche, seguito da un tour di successo. Che fa l’ispido pugliese? Si ferma, ci ripensa, smonta lo spettacolo e riparte.
«Ma è tutto diverso» mette le mani avanti. «E’ diventato un concerto esposizione ancora più vicino al mondo dell’arte, per questo l’ho battezzato The Exhibition. Il palco è una sorta di museo surreale che, al suo centro, ha una colonna con la testa di manichino, stile De Chirico, che si trasforma in punching ball». Così dopo la sosta, Capa si è rimesso in giro e il prossimo 2 aprile sarà al Palalottomatica e non ha solo cambiato l’impianto scenografico, ha ridisegnato anche la scaletta: «Non amo ripetere, ho inserito pezzi che non facevo da tempo accanto a quelli che chiamo i miei cavalli da agriturismo, perché da pacifista non mi piace dire cavalli di battaglia».
Capa, magari c’è spazio anche per qualche inedito assaggio di un futuro disco.
«No, ci sto pensando ma non sono di quelli che riescono a comporre mentre fa concerti».
Pigrizia meridionale?
«Non ho più lo stato mentale di un ventenne. Allora potevo scrivere un album in una settimana, ora ci metto tre anni. Museica mi ha preso un anno e mezzo per farlo e un anno e mezzo per promuoverlo visto che non faccio tv, non vado nei talent. E non tutte le radio sono disposte a mettere Mica Van Gogh. Così promuovo il disco coi concerti. Oggi poi mi ci vuole più tempo per stuzzicare l’immaginario. La mia musica è diventata più elaborata».
C’è un turbinio di invenzioni travestimenti, gag, una sorta di instabilità scenica che sembra sempre più il suo profilo.
«Anche i miei gusti musicali sono volubili. Dopo aver ascoltato il punk ho bisogno di sentire Beethoven, poi devo passare all’hip hop. E non mi piace ascoltare le cose che sentivo da giovane».
Sono vent’anni dal suo primo, fallito tentativo di partecipare a Sanremo, allora si chiamava Mikimix. Due anni dopo vinse la sezione giovani. Poi ha cambiato nome.
«Non avevo riscontri e una parte di me pensò che fare compromessi mi avrebbe aiutato. Solo che il compromesso porta sempre ad altri compromessi. Quando ho capito, ho preso coraggio, ho cambiato nome, come gli indiani, e ho mollato tutto. Poi ci ho riprovato. E’ stata una gavetta dura, le pizzerie dove ho cantato me le ricordo tutte».
Oggi ha gran seguito e prestigio quasi da maìtre à penser.
«Faccio musica con elementi sociali, ma senza retorica».
Il suo nome venne evocato al raduno dei Cinque stelle al Circo Massimo.
«Bufale del sottobosco social».
Lei smentì firmandosi come comunista.
«Una provocazione. Mi infastidisce essere etichettato. Ho nostalgia dei politici del Dopoguerra e dell’ideologia che oggi è sostituita dai cognomi: sei renziano, sei grillino. Mi sembra un segno di imbarbarimento verbale».
Un’etichetta a cui non può sottrarsi c’è: esponente del Puglia power musicale.
«Non c’è un’identità di questo tipo. Sono emersi alcuni gruppi, ma la ruota passa a turno da Napoli, dal Piemonte, dall’Emilia. L’attaccamento alle radici non è un elemento sempre positivo».
Ma continua a vivere nella sua Molfetta.
«Sono un cantastorie che racconta quello che vede. In Fuori dal tunnel ricordo di aver usato la banda del paese, e Vieni a ballare nasceva dal tema degli incidenti di lavoro».