Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 02/01/2015, 2 gennaio 2015
CARLO LEVI, LA PITTURA OSCURATA DALLA SCRITTURA
Raramente si vedono mostre di Carlo Levi. Forse perché la sua pittura impallidì di fronte al «Cristo si è fermato ad Eboli», come notò il critico d’arte Fortunato Bellonzi all’indomani della pubblicazione del suo romanzo più celebre, nel 1946. A quel tempo Levi aveva preso dimora stabile a Roma già da un anno. E a Roma dedicò un altro racconto indimenticabile, «L’orologio». La sua prosa tuttavia fece scivolare in secondo piano la sua pittura. Che invece è altrettanto ricca di valori umani, espressi con un realismo pieno di malinconia e tenerezza. Come si è visto in una delle mostre più interessanti di questa stagione, curata dalla Fondazione Carlo Levi per la Galleria Russo, che ha esposto una sessantina di opere dell’artista torinese. E tra queste, le più affascinanti sono i ritratti. Il padre Ercole raffigurato mentre fa colazione a una tavola imbandita con quattro uova sode, il vino, l’ampolla dell’olio e dell’aceto, il bricco del caffè, l’alzatina con tre pesche. La domestica Francesca, in un quadro pieno di allegria, con il gioco dei rossi sul golf e sulla parete di fondo e il tappeto con arabeschi alla Matisse. La mamma che cuce, seduta tra due sedie, il volto in ombra che lascia trasparire la dolcezza. La sorella Lelle mentre sogna davanti a un libro e a una tazza di tè. L’elegantissima cugina Pina Jona nel giardino di Alassio, dove la famiglia Levi si trasferiva in estate. E quello morbido e carnale di Vitia Gourevitch Kahn, ebrea lituana che nel 1919 portò a Torino il balletto moderno, con la quale Levi ebbe una breve, intensa storia amorosa e un’amicizia che durò tutta la vita. Si possono consultare nel catalogo edito da Palombi. Daniela Fonti, presidente della Fondazione, si rammarica che Roma, a quarant’anni dalla morte dell’artista, non gli abbia ancora dedicato un museo, neppure una sala nelle gallerie pubbliche.
Lauretta Colonnelli