Giorgio Barba Navaretti, Domenicale – Il Sole 24 Ore 22/3/2015, 22 marzo 2015
ECONOMISTI PRIMI DELLA CLASSE
«Se gli economisti riuscissero a farsi percepire quali persone umili e competenti come i dentisti, ciò sarebbe splendido». Questa famosa frase di Keynes del 1930 si riferiva all’idea che non bisognerebbe dare troppa importanza a quella materia complessa 1930e molto tecnica qual è l’economia. E attraverso un lavoro silenzioso e sotto traccia, forse ci si potrebbe conquistare la fiducia dei pazienti. Il dentista è competente, a lui ci si affida. Ma così non è per l’economista, soprattutto dopo la grande crisi. Anzi, egli è l’opposto del dentista. Esiste attraverso i suoi scritti, dunque solo se di lui si parla e se ne legge. È pervasivo, si occupa di tutto o quasi, che si tratti di ambiti disciplinari o professionali. E contrariamente al dentista, per quanto si imponga un rigore analitico quasi scientifico, le cure e gli interventi che propina ai suoi pazienti hanno esiti incerti. Insomma, nonostante l’auspicio keynesiano, forse nessuna professione è più lontana dal dentista quanto l’economista. E paradossalmente i piedi d’argilla della professione stanno proprio nel conflitto tra la presunta scientificità delle analisi e l’inevitabile incertezza delle prescrizioni.
Della superiorità dell’economista e dei suoi limiti tratta un lucidissimo saggio di Marion Fourcade ed Etienne Ollion, sociologhe alle Università di Berkeley e Strasburgo, e Yann Algan, economista a SciencesPo a Parigi. Superiorità rispetto a chi? Alle altre scienze sociali. E superiorità in che senso? Effettiva o presunta? In entrambi i sensi, attraverso un meccanismo in parte oggettivo e in parte di psicologia collettiva di auto-affermazione disciplinare. La superiorità oggettiva sta nel fatto che, rispetto alle discipline cugine, gli economisti guadagnano di più e hanno maggiore influenza. Negli Stati Uniti nel 2012 il salario mediano di un professore di economia era 103mila dollari, quello di un sociologo 76mila, senza contare le maggiori occasioni di lavoro extra-accademico. E proprio per questa loro infiltrazione nel mondo reale, gli economisti hanno anche maggiore influenza.
Soldi e influenza, e forse la loro radice nella filosofia morale, fanno sì che essi si sentano naturalmente predisposti alla loro missione di massimizzare il benessere della gente comune (e non a guarire le carie). Cosa che accade assai meno ai sociologi o ai politologi, nonostante dei loro consigli e visioni ci sia ugualmente bisogno.
Ma per capire meglio questo esito oggettivo, che differenzia le scienze sociali, bisogna guardare alla loro organizzazione, soprattutto come funziona il processo di creazione di consenso ed eccellenza accademica. E qui entriamo nel meccanismo di auto-affermazione disciplinare. L’economia è diversa dalle sue consorelle per una spinta uniformità nei metodi e nei criteri di valutazione e una fortissima gerarchia nei processi di selezione e promozione. Il metodo analitico quantitativo usato in economia ha creato nel tempo linguaggi e metodologie uniformi e molto complesse che hanno rafforzato il dialogo interno a scapito di quello con le altre discipline. Il che non vuol dire che gli economisti la pensino tutti allo stesso modo, ma semplicemente che condividono lo stesso linguaggio. Né che non siano interessati a temi propri delle altre discipline; li analizzano con i propri metodi. Nelle altre scienze sociali continuano a vivere invece approcci e linguaggi molto diversi, magari in conflitto tra loro.
Tutto ciò influenza i processi di valutazione e promozione delle discipline. L’economia è gerarchica: è chiaramente identificata la classificazione dei dipartimenti e delle riviste e la performance di un ricercatore è misurata su indicatori quantitativi che misurano le pubblicazioni. Nelle altre scienze sociali questo processo, forse proprio per la mancanza di un’uniformità di linguaggio, è più attenuato. Tra il 2010 e il 2014 oltre il 70% dei membri del direttivo dell’American Economic Association veniva dai cinque dipartimenti top americani, contro meno del 20% per l’American Sociological Association e l’American Political Science Association.
Come in tutte le forme di ortodossia, l’appartenenza dà sicurezza e un senso di superiorità, ovviamente percepito in questo caso. Soprattutto quando il percorso per appartenere è maledettamente difficile e richiede di acquisire strumenti di analisi molto complessi. E non c’è dubbio che la definizione di criteri oggettivi di valutazione, per quanto autoreferenziale, abbia permesso di definire standard oggettivi e non parrocchiali di valutazione e promozione. Ma, come per tutte le ortodossie, l’uniformità può rendere ciechi ed è precisamente questa la trappola in cui molti economisti sono caduti, incapaci di prevedere la crisi. Intrappolati in una metodologia che, per quanto potente e complessa, semplifica la realtà, non hanno visto cosa stava succedendo. Forse la post-crisi porterà più attenzione a segnali e linguaggi diversi. Ma per ogni economista continuerà a valere l’impossibilità di essere dentista. Mestiere anch’esso difficilissimo, checché ne dica Keynes. Ma certo più silenzioso e con meno incertezze.
barba@unimi.it
Giorgio Barba Navaretti, Domenicale – Il Sole 24 Ore 22/3/2015