Roberto Napoletano, Domenicale – Il Sole 24 Ore 22/3/2015, 22 marzo 2015
I CESTI DI FICHI E IL TRAMONTO ROSSO DI PUNTA LICOSA
Caro direttore,
ho letto con piacere e con nostalgia il tuo “fogliettone” di domenica scorsa sul Cilento. Sono andato in vacanza alcuni anni, molto tempo fa, quasi quarant’anni fa, a Punta Licosa con Antonio Cederna e altri amici. Eravamo ospiti di una nostra amica originaria di quei luoghi allora intatti, molto generosa con noi che avevamo poco da spendere: le mogli, la mattina, andavano a comprare dai pescatori locali le alici appena pescate, Antonio ed io ci recavamo al caseificio sociale di Agropoli per le mozzarelle, i Sanmarzano crescevano nell’orto davanti a casa, i fichi ce li davano gratis i contadini. Il mare era così pulito che lo abitavano anche le murene, piccole per fortuna. Non c’era traccia di camorra. Il “mostro” di Castelsandra non aveva ancora sfigurato la collina ricca di olivi dietro la costa alta sul mare. Ho concorso come parlamentare a creare il Parco Nazionale del Cilento che per anni è stato gestito. Bisognava farlo prima. Meglio tardi che mai. I tramonti dall’alto della Casa Rossa e delle altre case rurali sembravano infiniti. Grazie.
Vittorio Emiliani
Ci voleva un grande direttore del grande Messaggero, il giornale al quale ho dedicato cinque anni e più della mia vita professionale con una redazione straordinaria in un alternarsi quotidiano di emozioni e scoperte, per farmi esplodere la voglia di tornare nel Cilento, in quell’angolo di paradiso che sono Ogliastro Marina e Punta Licosa, fare finalmente contente le mie sorelle che continuano a passare lì le loro vacanze e immergermi nel libro della vita dei miei ricordi personali. Rivedo mio padre che torna a casa con un cesto di fichi, a volte due, regalati o “strappati” dal contadino di Mainolfo, l’Ape a tre ruote con pomodori, frutta e verdure guidato dal portalettere che fa il secondo lavoro e sa tutto di case e terreni, la corsa al campetto di Giungatelle dove più che toccare il pallone mangiavi polvere e grondavi sudore, pietre, verde e terra selvaggia, qualche filare acerbo di vite, il mulo, l’asino e il trattore che spuntano da uno dei tanti viottoli, i colori della campagna che respira l’aria del mare e si accende di un rosso fuoco al tramonto che entra dentro e non ti abbandona più.
Ho davanti agli occhi l’incanto di Punta Licosa con quell’odore di pini curvati dal vento e dal mare, quattro chilometri a piedi di macchia mediterranea con un’acqua intensa e cristallina sotto, dirupi e calette naturali, mirto, ginepro, carrubi e altro, fino alla punta con l’isolotto e il faro di fronte. Risento gli odori tutti insieme del bosco e rivedo scorci di mare tra lingue di sabbia e scogli rocciosi di argilla e calcare, mi ritrovo a pensare con il senno di poi quanto fosse riduttiva quella definizione di “Argentario del Sud” buttata lì da qualcuno con una vaga idea nobilitante. Le adunate con tutta la famiglia e mia madre sfibrata da cinque figli ma senza mai perdere il sorriso sulla terrazza “da Carmine” alla punta di Ogliastro Marina pochi metri prima dell’oasi di Punta Licosa, le gite con il gozzo arrivate dopo partendo dal porticciolo di San Marco, sosta al faro e ritorno, quei bagni dove senti nella pelle il sale dell’acqua di mare e la forza della natura.
Ricordo la prima casa bianca in affitto e le notti insonni passate a sedici anni a scrivere Piccolo Sud dove raccontavo il tumulto di un adolescente piombato da Spezia a Nola, nel cuore stradale della Campania, e caduto in una specie di crisi esistenziale, la preoccupazione di mio padre, le battute ironiche delle sorelle e la mia “guarigione” che si compiva di capitolo in capitolo tra un bozzetto e l’altro, andando a letto quando gli altri si svegliavano e facendo il bagno ogni giorno poco prima del tramonto. Ricordo le camminate per raggiungere l’ufficio postale di Ogliastro Marina poco dopo la chiesetta, sull’unica strada del paese, per spedire lettere piene di trasporto dove il “tumulto” degli affetti mi portava ancora a Spezia mentre tutto si era spostato a Nola e ricordo quelle camminate dei giorni successivi per andare a raccogliere le risposte fermo posta in una stagione dove i telefonini non esistevano e le emozioni non viaggiavano per sms. Grazie a te, caro Vittorio, gli anni del “nostro Cilento” sono gli stessi, diverse sono ovviamente le stagioni di vita personali, ma il ricordo comune di quel Paradiso non può togliercelo più nessuna bruttezza di oggi e, di questi tempi, aiuta a vivere meglio.
roberto.napoletano@ilsole24ore.com
Roberto Napoletano, Domenicale – Il Sole 24 Ore 22/3/2015