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 2015  marzo 22 Domenica calendario

ACQUA, IL PROBLEMA È NEGLI SPRECHI INASPETTATI

In teoria, la disponibilità idrica quotidiana sul pianeta Terra (sarebbe meglio chiamarlo, però, Acqua, visto che oltre il 70% della superficie terrestre è ricoperto dagli oceani) è di circa 7000 litri per persona, allora come è possibile che oltre un miliardo di individui non abbia ancora oggi accesso all’acqua potabile? Questo è il nodo cruciale con cui gli uomini si confrontano almeno dagli Anni Cinquanta, quando quella disponibilità teorica era addirittura più che doppia rispetto a oggi e noi eravamo tre miliardi di individui. In mezzo secolo i sapiens sono diventati oltre sette miliardi e hanno esigenze sempre maggiori, ma l’acqua sul pianeta è rimasta la stessa, né è possibile incrementarla.
Certo, in questi decenni è anche aumentata la percezione del consumo nei Paesi ricchi, dove magari preferiamo la doccia al bagno o ci rasiamo senza far scorrere il rubinetto. Restano ancora sprechi enormi, come lavare le auto troppo spesso, pretendere campi da golf o il prato all’inglese dove non ci dovrebbero essere e continuare ad aumentare gli impianti che innevano artificialmente le piste da sci. Peraltro nelle case dei nonni c’era un solo rubinetto di acqua da bere e lo sciacquone funzionava con quella non potabile, come sarebbe giusto. Ma l’uso potabile della risorsa idrica ammonta a circa il 20% di quello complessivo e anche le famigerate acque perdute dagli acquedotti (circa il 40% in Italia), comunque intollerabili, in gran parte rientrano nelle falde sotterranee. Come a dire che è bene stare più attenti, ma il vero spreco non si annida certo fra le mura domestiche.
Nella giornata mondiale dell’acqua, che si celebra oggi, è però utile riflettere su qualche aspetto meno dibattuto. Come il fatto che la maggior parte dell’acqua, da sempre, si usi (oltre 50%) e si sprechi, in realtà, in agricoltura, specialmente in un Paese come il nostro, dove spesso ancora si irriga come al tempo dei romani, deviando un canale nei campi senza considerare le condizioni meteorologiche e le vere esigenze delle piante. Inoltre sono cambiate le colture: da granaio d’Europa siamo diventati orto del mondo e ci vuole molta più acqua per i pomodori che per il frumento. Inoltre sono state introdotte specie alloctone come il kiwi, di cui siamo diventati fra i primi produttori mondiali, che succhiano quantità enormi di acqua, abbassando complessivamente il livello delle falde. Il problema è che l’acqua in agricoltura costa troppo poco (meno di un euro ogni mille litri, quello che costa in casa), per questo non vengono messe sempre in atto tecniche per risparmiarla. Per questa stessa ragione non si provvede a usare magari acqua depurata e non di sorgente, come pure sarebbe possibile e naturale. E non si può sottovalutare l’allevamento: “finire” a cereali un bovino richiede tanta acqua quanta quella che serve a far galleggiare un incrociatore: più carne consumiamo, meno acqua avremo.
Poi c’è l’uso industriale e anche lì si annidano consumi inaspettati: produrre un wafer di silicio da sei pollici richiede 20.000 litri d’acqua, ma una maglietta di cotone consuma 2700 litri e siamo arrivati al paradosso che l’involucro di plastica per contenere un chilo di pesche necessita di più acqua di quella che è servita a farle maturare.
Ci sono modi migliori di gestire le risorse idriche, alternativi a quelli delle grandi infrastrutture, che assecondano i bisogni dei grandi gruppi economici ma non quelli del diritto universale all’acqua per tutti attraverso la sua equa distribuzione. Non è più il tempo delle grandi dighe e dello spreco, ma quello degli interventi locali e della coscienza collettiva.
Mario Tozzi, La Stampa 22/3/2015