Francesca Schianchi, La Stampa 22/3/2015, 22 marzo 2015
D’ALEMA: NEL PD GESTIONE ARROGANTE SCONTRO TRA MINORANZA E RENZIANI
Dopo quasi sei ore di interventi, a metà pomeriggio l’ultimo a raggiungere il leggio è Gianni Cuperlo. In prima fila, nell’imponente Acquario romano attrezzato con maxi schermi e bandiere del Pd, in questa riunione di tutte le minoranze dem intitolata «A Sinistra nel Pd», sono Rosy Bindi, Pierluigi Bersani, Massimo D’Alema, Stefano Fassina, più defilato c’è Pippo Civati; fino a poco prima c’erano Guglielmo Epifani, Roberto Speranza, Francesco Boccia («è la prima volta dopo il congresso che le diverse anime di sinistra decidono di mettersi insieme», introduce soddisfatto al mattino Alfredo D’Attorre). «Massimo, rispetto la tua storia, ma dovresti chiederti perché la sinistra ha ceduto culturalmente negli anni in cui siete stati al potere. Ci hai ammonito di stare insieme: ma se tu e altri lo aveste fatto un po’ prima, ora la montagna sarebbe meno alta da scalare», si rivolge, pacato ma durissimo, Cuperlo all’ex premier, lì a due metri da lui. Nel corso di questa giornata, è il secondo ex fidatissimo collaboratore a rispondergli per le rime: «Dispiace che dirigenti importanti per la storia della sinistra usino toni degni di una rissa da bar. Così si offende la nostra comunità», aveva twittato poche ore prima il già dalemiano Matteo Orfini – oggi leader dei Giovani turchi – rispondendo all’intervento di quello che è stato suo maestro in politica.
«Colpi, non ultimatum»
È la rivolta degli ex discepoli, in questo sabato che D’Alema trascorre alla riunione delle minoranze, da «extraparlamentare», ironizza, prendendosi la scena con il suo intervento all’ora di pranzo, pochi minuti punteggiati da continui applausi, per dire che il Pd è «un partito a forte conduzione personale che ha una certa carica di arroganza», un partito «non grande se stiamo al numero degli iscritti: 250 mila quando i Ds ne avevano 600 mila», ma con grande «forza di attrazione del trasformismo», in cui il saldo tra chi se ne va e chi arriva non è positivo. Ma ne ha anche per le minoranze lì con lui, che striglia ricordando che solo «un certo grado di unità nell’azione» può permettere loro di avere un qualche peso: bisogna definire i punti «invalicabili» e muoversi con «intransigenza»; altro che gli ultimatum pronunciati da Bersani e altri sulle riforme, «non si annunciano ultimatum, si danno dei colpi cercando di fare in modo che lascino il segno». Un discorso che provoca le reazioni di Cuperlo e Orfini, e come prevedibile dei renziani: «Renzi ha stravinto il congresso e portato il Pd al 41% per cambiare l’Italia dove altri non sono riusciti, qualcuno se ne faccia una ragione», twitta il vicesegretario Lorenzo Guerini. Agli atti, D’Alema lascia anche la proposta di fondare un’associazione «per il rinnovamento della sinistra», aperta a membri del Pd e non.
La ricerca dell’unità
È proprio alla ricerca di un’improbabile unità, per essere più incisivi nel rapporto con Renzi, che si riuniscono le minoranze. Ma le mediazioni non sono facili: Speranza esclude la scissione e Civati esordisce chiedendosi se «siamo compatibili col renzismo noi oggi, o il renzismo è compatibile con la sinistra». La Bindi annuncia che, se non cambia la riforma costituzionale, al referendum starà con chi la vorrà abrogare, perché «non possiamo rassegnarci a chiamare di sinistra un governo che non fa cose di sinistra»; Fassina propone un «coordinamento parlamentare» e Nico Stumpo fa sapere che invece «Area riformista va avanti per la sua strada». Bersani lancia l’idea di rivedersi «in estate», e conia la più chiara delle sue metafore: accettare il trasformismo «è come vendere casa per andare a stare in affitto». La risposta di Cuperlo è una proposta e una speranza: «E allora ricompriamocela, questa casa».
Francesca Schianchi, La Stampa 22/3/2015