Filippo Grimaldi, La Gazzetta dello Sport 22/3/2015, 22 marzo 2015
UN TIR CHIAMATO VIVIANO
Il titolo, basterebbe quello: «La ricerca della felicità». In un giorno ormai lontano — inizio ottobre: non era la prima volta, non è stata l’ultima —, Sinisa Mihajlovic ha riunito i suoi ragazzi (terribili) nella sala-video del «Mugnaini». Niente tattica, per una volta, ma la proiezione di un film con Will Smith protagonista e Gabriele Muccino in regia.
Un grande gruppo come il vostro, Viviano, può nascere anche da episodi come questo.
«Eccome. Due frasi mi sono rimaste impresse di quel film. La prima: “Non permettere mai a nessuno di dirti che non sai fare qualcosa”. La seconda: “Se hai un sogno, lo devi proteggere”. Entrambe raccolgono la storia di tutti noi che facciamo questo mestiere. Tanti iniziano con il calcio, ma a volte arriva in alto non il più talentuoso, ma chi ha maggiore convinzione e tenacia. Non solo: era anche un messaggio e un invito a non darsi mai per vinti, perché spesso la vita offre una seconda possibilità».
Lei ha avuto momenti difficili, ma si è sempre rialzato. L’apoteosi, lunedì all’Olimpico: «Viviano non è un portiere, ma un tir». Firmato: Massimo Ferrero.
«Ringrazio il presidente, era contento per la vittoria e per la prestazione. Abbiamo consolidato la nostra posizione, ora dobbiamo tenercela stretta».
Lei si è ripreso il posto da titolare dopo lo stop per l’infortunio, nonostante la concorrenza con Romero, vicecampione del mondo. Non proprio un’impresa facile.
«Fra noi il rapporto è ottimo, credetemi. Sergio è un ragazzo d’oro. E’ successo a lui di non giocare, ma pure al sottoscritto, e non ci siamo lamentati. Certo, allenarsi e non scendere in campo dispiace a tutti, ma la nostra competizione è stimolante e positiva»
I dissidi (chiariti?) fra Zamparini e Ferrero potrebbero rallentare la trattativa per la sua riconferma a Genova?
«Di queste cose inizieremo a parlare più avanti. Io resto concentrato sulla Samp: vorrei rimanere qui non perché mi manchi la voglia di fare rientro a Palermo, ma per il fatto che la società ed io abbiamo fatto scelte diverse. Poi, lo sapete, non è noto ciò che accadrà, esistono le leggi del mercato».
L’alchimia fra lei e Mihajlovic è a dir poco particolare.
«Ciò che mi accomuna al mister è che per entrambi non ci sono segreti. Questo aspetto del mio carattere, di essere sempre diretto, talvolta mi ha creato problemi, ma faccio fatica a non dire ciò che penso. Mihajlovic è un uomo aperto. E poi, ha il merito di tenere sempre molto alta l’asticella in gruppo. Io sono arrivato in una situazione di spogliatoio già consolidata, ma il mister prese la squadra penultima in classifica. Normale, da parte nostra, avere grande fiducia in lui. E poi stiamo bene insieme, ci divertiamo. Tutti, compresi quelli che trovano meno spazio, anche se sono fortissimi: penso a Bergessio o a Correa».
Emergono molte analogie con il gruppo della Sampd’oro (tricolore) del 1990-’91. Anche allora l’elemento-ambiente fu determinante.
«La componente ambientale e psicologica aiuta, eccome. Il mister e Osti hanno fatto un gran lavoro a monte: so per certo che prima di prendere un nuovo giocatore, valutano anche il tipo di persona. Se uno è ambizioso e vuole giocare sempre, oppure no. Il gruppo nasce così, l’entusiasmo fa il resto».
Stasera affronta una parte del suo passato. Lei è stato a lungo di proprietà dell’Inter, pur giocandovi poco.
«Ricordo quell’esperienza con grande affetto (ricambiato). Semplicemente, a un certo punto la società fece scelte diverse. Io andai a Firenze, coronando il mio sogno, e l’Inter ebbe la possibilità di prendere Handanovic. Ai nerazzurri posso solo dire grazie, dopo l’infortunio mi garantirono le migliori cure. Ausilio, poi, è un uomo molto competente».
Lei pensa a un futuro prossimo della Samp in Europa?
«Lo ripeto da due settimane. Per quello che mi dice l’esperienza, riparliamone a metà aprile. Sa saremo ancora lassù, sarà lecito provarci davvero».
Ora il Ferraris è casa sua, ma lei era fra i pali dell’Italia la notte di Ivan il terribile, contro la Serbia a Genova.
«Non penso mai a quella partita, in cui non provai mai veramente paura. Ovvio, non dovrebbero mai accadere certi episodi, ma il nostro benessere economico è figlio in gran parte della passione dei tifosi. Sogno un’Italia con stadi tipo Germania e Inghilterra. Affetto tanto, casini mai».
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