Notizie tratte da: Luca Bottazzi, Carlo Rossi # Il codice del tennis. Bill Tiden: arte e scienza del gioco # Guerini 2015 # pp. 238, 20 euro., 23 marzo 2015
Notizie tratte da: Luca Bottazzi e Carlo Rossi, Il codice del tennis. Bill Tiden
Notizie tratte da: Luca Bottazzi, Carlo Rossi, Il codice del tennis. Bill Tiden: arte e scienza del gioco, Guerini 2015, pp. 238, 20 euro.
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• William Tatem Tilden, detto Big Bill, supremo campione di tennis negli anni Venti del secolo scorso, tanto da essere definito «una moda, quasi un culto» dai cronisti del tempo, fu «un personaggio leggendario che ha saputo caratterizzare un’intera epoca attraverso la sua opera. Un uomo di cultura, uno studioso, un campione unico che nel suo ambito ha saputo interpretare arte e scienza tennistica come nessuno ha mai saputo fare. (…) Infatti, fra i diversi libri da lui scritti, The Art of Lawn Tennis e Match Play and the Spin of the Ball sono, secondo molti esperti, le due opere fondamentali della materia tennistica. A tutt’oggi molte delle analisi, dei suggerimenti, delle intuizioni, dei consigli contenuti in quei due testi rimangono estremamente attuali».
• «All’inizio dell’epopea di Tilden gli eventi principali del gioco erano la Coppa Davis, manifestazione a squadre per nazioni nata nel 1900, e tre grandi tornei individuali: Wimbledon, nato nel 1877, i campionati americani (1881) e i campionati australiani (1905). Tutte queste manifestazioni si giocavano sull’erba; gli eventi femminili tardarono solo qualche anno nell’essere realizzati rispetto a quelli maschili. Nel 1925 si aggiunse un quarto importante torneo individuale, il Roland Garros di Parigi, che si giocava e si gioca ancora oggi sulla terra battuta. I quattro tornei sopramenzionati vennero soprannominati tornei Slam, e se un giocatore avesse vinto i quattro tornei nello stesso anno avrebbe compiuto il Grande Slam. Questa definizione fu mutuata dal gioco del bridge. Nel tennis attuale, questi eventi rappresentano ancora l’Olimpo del tennis».
• «Il palmarès di Tilden risulta tuttora uno dei più ricchi della storia del gioco. Egli vanta diversi record attualmente ancora imbattuti. Sette trionfi consecutivi in coppa Davis, sette titoli e dieci finali ai campionati americani, primo americano ad aver vinto a Wimbledon e la miglior percentuale tra vittorie (907) e sconfitte (62) della storia, pari al 93,60% di successi negli incontri disputati in carriera. Inoltre Tilden conta dieci titoli individuali e undici di doppio nei tornei dello Slam».
• «Le sue principali caratteristiche antropometriche e tecniche sono: altezza 188 cm, peso 80 kg, destrorso, rovescio a una mano, un grande servizio e un gioco a tutto campo, anche se prediligeva i colpi di rimbalzo da fondocampo».
• «Oltre ai successi sul campo, Tilden è stato certamente il campione che più si è speso rispetto a chiunque altro ad analizzare e studiare il gioco del tennis. Scrisse molti libri sull’argomento, da The Art of Lawn Tennis, il primo, a How to Play Better Tennis, l’ultimo».
• «William Tatem Tilden II, soprannominato “Big Bill”, nacque a Philadelphia il 10 febbraio 1893. La sua famiglia era benestante: il padre, William Tatem Tilden, era un ricco signore che commerciava nel settore del cotone. A poca distanza dalla casa dei Tilden c’era il Germantown Cricket Club, uno dei più prestigiosi centri sportivi d’America. Dal 1921 al 1923 i campionati americani si sarebbero disputati in quel luogo e Bill avrebbe difeso i propri titoli vicino a casa».
• Tilden prese per la prima volta in mano la racchetta nel 1899, a sei anni, copiando lo stile di gioco del fratello Herbert.
• Concluso il liceo, Tilden «si iscrisse all’University of Pennsylvania per far piacere al padre, ma non aveva il minimo interesse per gli studi. Verso la fine del primo anno di università la madre morì a causa di un ictus. Bill ne rimase sconvolto. Si prese un anno di pausa dagli studi, che poi abbandonò per dedicarsi, oltre che al tennis, al giornalismo presso il Philadelphia Evening Ledger. Nell’estate del 1915 perse anche il padre e appena due mesi dopo Herbert, il suo unico fratello. Tutti i suoi cari erano morti e Bill aveva solo ventidue anni. Si chiuse in casa. Passarono settimane. Alla fine fu folgorato da un’idea. Il tennis sarebbe stato l’ambito in cui avrebbe lasciato il segno».
• Da quel momento «Tilden cominciò a lavorare sul suo gioco con ossessione. Passava la giornata sui campi da tennis a colpire palle, ma non si stava solo allenando. Stava studiando il tennis e cominciava a elaborare teorie su strategia, tattica, effetto della palla e tecnica, teorie che in seguito avrebbe pubblicato. Nel frattempo gli Stati Uniti erano entrati in guerra e Bill si arruolò nell’esercito. Fu assegnato di stanza a Pittsburgh dove il comandante, grande appassionato di tennis, gli ordinò di continuare ad occuparsi di tennis e gli lasciò tutto il tempo per allenarsi».
• «Nel 1919 la guerra era finita, i soldati erano tornati in patria, e con loro anche l’uomo considerato da tutti il miglior tennista americano, il giocatore più benvoluto dal pubblico, Bill Johnston. Quell’anno la finale di Forest Hills (sede dei campionati americani) fu la prima di molte battaglie tra i due Bill. Little Bill Johnston ebbe la meglio. Ma in seguito a quella sconfitta Big Bill Tilden divenne ancora più risoluto e si gettò a capofitto nel lavoro per perfezionare ulteriormente il proprio tennis».
• «Qualche mese dopo, Big Bill partecipò per la prima volta a Wimbledon (era l’edizione del 1920) e provò il suo nuovo gioco. Strapazzò gli avversari e arrivò alla finale contro l’australiano Patterson, il campione in carica. Vinse il primo dei tre titoli ai Championship diventando così ufficialmente campione del mondo. Dopo questo trionfo tornò a casa deciso a impossessarsi della corona del tennis americano. Ancora una volta, come l’anno precedente, Johnston e Tilden si ritrovarono in finale ai campionati statunitensi. Questa volta però fu Big Bill a spuntarla».
• «La rivalità tra i due proseguì per tutti gli anni venti, ma ad onor di cronaca fu sempre Tilden a dominarla. Stava entrando nella parte migliore della sua carriera e nemmeno la perdita di un dito ne fermò il decollo. All’inizio del 1923 il suo gioco era addirittura migliorato e nel ’24 non perse neanche un incontro».
• «I suoi rapporti con la Uslta, la federazione tennis americana, erano difficili. Le discussioni riguardavano il diritto di Big Bill di poter scrivere di tennis sui giornali dietro compenso. A quell’epoca i tennisti erano dilettanti e non potevano percepire denaro sotto alcuna forma; erano loro concessi solo dei rimborsi per la partecipazione ai tornei. Tilden fu il monarca assoluto del tennis degli anni venti e l’insistenza a voler essere trattato di conseguenza peggiorò i suoi problemi con la Uslta. Fino all’avvento dell’era Open, nel 1968, il tennis era soprattutto amatoriale: i tornei non prevedevano premi in denaro. Tuttavia, quando al grande Bill capitò di giocare un’esibizione alla Casa Bianca, senza alcun imbarazzo discusse col Presidente Harding del difficile rapporto con la federazione nazionale. Poco dopo i dirigenti della Uslta si adeguarono alle sue richieste. Non avevano scelta: avevano bisogno di lui e quindi Tilden poteva ottenere qualsiasi cosa. In seguito, però, ripagò gli Stati Uniti vincendo la Coppa Davis dal 1920 al 1926, anno in cui gli americani sconfissero in finale la squadra francese».
• «Negli ultimi tempi, però, sembrava che il suo interesse principale fosse rivolto all’arte, in particolare al cinema, al teatro e alla scrittura. Tra le sue amicizie vantava celebrità come Greta Garbo, Tallulah Bankhead, Charlie Chaplin, Spencer Tracy. Inoltre Tilden lasciava intendere di avere relazioni romantiche con qualche attrice e con ragazze del mondo dello spettacolo. Nel 1926 era riuscito, pagando personalmente, ad aggiudicarsi il suo primo ruolo a Broadway nella commedia They all want something. Lo spettacolo purtroppo fu un fallimento e per la prima volta dal 1919 Tilden mostrò delle incertezze anche nell’ambito del tennis. Infatti, proprio nel 1926 la sua serie ininterrotta di titoli ai campionati americani ebbe fine».
• «Nel 1927 perse la sua prima finale al Roland Garros, 11/9 al quinto set, contro Lacoste. Dal 1926 al 1928 non vinse alcun torneo importante. Restava sempre il nome più importante del tennis mondiale, ma il suo mito iniziava a sfumare. (…) In seguito, nel 1929, Tilden perse a Parigi contro Lacoste, a Wimbledon contro Cochet, ma al ritorno a settembre a Forest Hills si riprese il titolo dei campionati americani. Questa vittoria sembrò infondere nuova forza alle sue vecchie gambe, visto che nel 1930 sbancò l’Europa come ai tempi migliori, vincendo i tornei nella Riviera francese, in Germania e Austria. Vinse anche la prima edizione dei campionati internazionali d’Italia, che allora si disputavano a Milano, presso il Tennis club Bonacossa. Al Roland Garros perse in finale da Cochet, ma a Wimbledon si impose per l’ultima volta».
• «Alla fine del 1930 lasciò il tennis amatoriale per entrare, nel 1931, nella culla di quello professionistico. Il suo esordio lo vide vincitore al Madison Square Garden di New York, davanti a quattordicimila spettatori, contro il cecoslovacco Karel Koželuh. Negli anni successivi viaggiò soprattutto per gli Stati Uniti e l’Europa vincendo due titoli mondiali nel campionato professionistico americano, nel ’31 e nel ’35, e due in quello francese, nel ’33 e nel ’34, mentre fu finalista per tre volte in quello britannico».
• «I campioni più famosi degli anni Trenta seguirono Tilden nell’avventura del professionismo. Tra questi spiccavano i nomi dell’inglese Fred Perry e degli americani Ellsworth Vines e Don Budge, che nel 1938 vinse tutti i principali tornei da dilettante compiendo il primo Grande Slam della storia».
• «Nel contempo Big Bill si dedicava anche all’allenamento di giovani promettenti. Tra questi risplendeva la stella del barone tedesco Gottfried von Cramm che diventò numero due del mondo tra i dilettanti verso la fine degli anni Trenta. Tilden condivise con il barone diverse avventure sportive. La più famosa riguarda l’indimenticabile sfida di Coppa Davis tra Stati Uniti e Germania del 20 luglio 1937 sul campo neutro di Wimbledon. Incredibilmente, però, il professionista Tilden non era stato ingaggiato come responsabile della squadra americana, ma si trovava nell’angolo dei tedeschi, pagato dal suo pupillo von Cramm. Ovviamente la scelta professionale di Bill non fu apprezzata dall’establishment a stelle e strisce».
• «Quando gli Stati Uniti entrarono in guerra il tennis professionistico si fermò temporaneamente. Tilden diede il suo contributo allo sforzo bellico facendo incontri in tutto il paese per raccogliere fondi. Nel contempo si era trasferito a Los Angeles, dove poteva giocare a tennis all’aperto tutto l’anno e frequentare le star di Hollywood che amava tanto. Il posto in cui preferiva giocare era casa Chaplin, dove ogni domenica prendeva parte a quello che lo stesso Chaplin chiamava “the Big Tea”, in pratica un tennis party».
• «Nel ’46, finita la guerra e proprio in casa Chaplin, a più di cinquant’anni suonati, sconfisse il campione di Forest Hills Frank Parker. Inoltre, durante gli ultimi tour dei pro che aveva disputato, più di una volta era riuscito a strappare un set a Bobby Riggs, l’allora numero uno del mondo. Molti pensavano che a cinquantatré anni Tilden fosse ancora il più forte sulla distanza di un singolo set».
• «Sul campo da tennis Big Bill era un autentico prodigio per la sua età e a quel tempo sembrava pronto ad assumere un ruolo dirigenziale nell’emergente circuito professionisti. Tuttavia fuori dal campo c’era qualcosa di strano, di anomalo. Sembrava che avesse abbandonato l’abitudine di lavarsi o di indossare roba pulita. Si presentava in pubblico non rasato e spesso maleodorante. Gli appartamenti fatiscenti in cui viveva erano selve di vestiti sporchi, racchette, conti da pagare e manoscritti. Gli amici più stretti dicevano che era evidente che si fosse ammalato».
• «La notte del 23 novembre 1946, due poliziotti di Beverly Hills avvistarono la Packard di Tilden che sbandava lungo Sunset Boulevard con un giovane alla guida e un signore attempato seduto accanto. Quando fermarono l’auto Big Bill e il ragazzo si scambiarono i posti. Tilden fu portato alla centrale e incriminato [per adescamento di minorenne – ndr]. Avrebbe potuto evitare complicazioni e il suo avvocato difensore lo pregò di dichiararsi non colpevole, ma lui non accettava compromessi. Era convinto che nessuna corte avrebbe chiuso in galera il più grande tennista di tutti i tempi, quindi si dichiarò colpevole. Sfortunatamente la sua sportività era una questione soggettiva, soprattutto in un tribunale. Il giudice Scott si indispettì ed emise una sentenza di condanna, che per Tilden significava la prigione».
• «Uscito di prigione, tornò alla sua vita a Los Angeles ma si rese subito conto che niente era più come prima. Scoprì che un omosessuale dichiaratosi colpevole non era il benvenuto in società. Così, il più grande tennista di sempre fu bandito da tutti i tennis club».
• «Dopo la prima condanna, Tilden non si fece da parte in silenzio. Egli scrisse addirittura della sua sessualità nell’epilogo della sua biografia My Story. Visti i tempi, il fatto lasciò i lettori confusi e probabilmente la cosa influì nel decorso delle sue disavventure giudiziarie».
• «Impossibilitato a organizzare le sue remunerative esibizioni, Big Bill cominciò a dare lezioni sui campi privati di Chaplin e dei suoi amici di Hollywood. Ma la polizia si presentò ancora a casa sua il 31 gennaio 1949, per arrestarlo di nuovo. L’imputazione riguardava un uomo somigliante a Tilden che aveva dato un passaggio a un autostoppista minorenne, cercando poi di accarezzarlo. Questa volta Bill avrebbe voluto difendersi e respingere le accuse, ma non aveva un alibi. Così, tornò in galera per un anno».
• «All’uscita dal carcere l’ostracismo da parte del mondo del tennis era divenuto totale. Anche i vecchi amici si voltavano dall’altra parte quando lo vedevano. Bill era grato a chiunque decidesse di diventare suo allievo e faceva lezione di tennis sui campi pubblici più scalcinati. Si presentò anche al Beverly Wilshire Hotel, uno dei pochi luoghi di livello che ancora lo accettavano, domandando se qualcuno avesse bisogno del quarto per un doppio. “Gioco con chiunque voglia giocare” disse. E il vecchio campione sapeva ancora giocare, eccome se sapeva».
• «Nel febbraio del 1953, il Beverly Wilshire Hotel ospitò a sua volta un torneo del circuito pro e Tilden, che aveva appena compiuti i sessant’anni, fu invitato a partecipare. Bill ne fu immensamente felice e vendette molti biglietti ai suoi amici di Hollywood. Purtroppo, però, la settimana precedente al torneo il Wilshire decise che non era il caso di avere un omosessuale tra i protagonisti del proprio evento. Tilden prese male la notizia e uscì dalla vicenda molto provato».
• «Fortunatamente di lì a poco fu invitato a un’esibizione a Cleveland e il fatto lo rivitalizzò nel morale. L’unico problema era che non aveva i soldi per andare al torneo. La questione si risolse grazie al contributo di amici e il giorno prima della partenza Bill si allenò per cinque set a casa dell’amico Chaplin. Il giorno seguente era sparito dalla circolazione. Gli amici andarono nel suo appartamento a cercarlo. Bill era disteso a letto vestito e pettinato, morto d’infarto a sessant’anni. Il più grande campione di sempre lasciò ottantotto dollari in contanti sul comodino e i trofei che non aveva ancora impegnato. Sul pavimento c’era la sua borsa con abiti e racchette, pronta per un’altra partita».
• «William Tatem Tilden II si spense a Los Angeles il 5 giugno 1953, solo, ripudiato dal mondo del tennis.
Il famoso giornalista sportivo statunitense Allison Danzig (1898-1987) lo ricordava così: “Nessun giocatore ha mai amato tanto il gioco e goduto del piacere di giocarlo, dedicando tutto se stesso e la propria vita al tennis, quanto Bill Tilden”».
• «Il tennis è allo stesso tempo un’arte e una scienza. Il gioco praticato dai grandi campioni è un’arte. Eppure, come tutte le vere arti, affonda le sue radici in metodi scientifici che vanno studiati e compresi, come fondamenta senza le quali non può sorgere quella struttura artistica che è rappresentata dal grande tennis» (W.T. Tilden, The Art of Lawn Tennis, 1920).
• «Il tennis è uno sport che vi pagherà dividendi per tutta la vita. Una racchetta è una lettera di presentazione in ogni città. Praticare questo gioco aiuta a coltivare legami di fratellanza in tutto il mondo, perché solo un vero sportivo può essere a lungo un buon tennista. Dopo una giornata di duro lavoro a pieno ritmo, il tennis regala momenti di relax, emozione, esercizio fisico e puro divertimento. L’età non conta. Ci sono uomini di sessant’anni che giocano nei loro club entusiasti come ragazzini. E devono soprattutto a questo gioco la forma fisica che permette loro di praticarlo fino a tarda età» [Tilden 1920].
• «Il tennis è un gioco che porta a sviluppare relazioni personali profonde. In campo si cerca costantemente di farsi un’idea più chiara dell’avversario. La capacità di valutare e raccogliere dati è alla base del successo nel tennis. Un grande giocatore non deve solo conoscere se stesso e i propri punti di forza e di debolezza, ma deve continuamente studiare chi gli sta di fronte. (…) Il tennis si gioca innanzitutto con la testa» [Tilden 1920].
• «Passiamo ora a esaminare il primo principio di ogni gioco con la palla, dal tennis al golf, dal cricket al baseball, dal polo al calcio. Non perdete mai d’occhio la palla! Alcune statistiche dimostrano quanto sia di vitale importanza tenere d’occhio la palla fino al momento di colpirla. Circa l’85% dei punti nel tennis sono dovuti a errori, mentre i restanti sono punti vincenti. Al crescere del livello dei giocatori la percentuale degli errori diminuisce: nei tornei più importanti gli errori si riducono al 60% e i colpi vincenti aumentano sino a raggiungere il 40%. Qualsiasi percentuale superiore a questa significa che siamo di fronte a un super-tennis. Per questo è di fondamentale importanza tenere la palla in gioco. Ogni volta che rimandate la palla al vostro avversario gli offrite una nuova possibilità di commettere un errore» [Tilden 1920].
• «Ognuno di noi sa fare delle fotografie amatoriali e tutti ci siamo cimentati con fotografie di oggetti in movimento. (…) Il risultato che si ottiene, inevitabilmente, è un oggetto in movimento mosso su uno sfondo nitido, oppure un oggetto in movimento nitido su uno sfondo mosso. Entrambi suggeriscono l’idea del movimento, ma solo uno ritrae effettivamente l’oggetto fotografato. (…) L’occhio umano si comporta esattamente come la macchina fotografica. Può riprodurre entrambi gli effetti, ma non vedrete mai uno sfondo e un oggetto in movimento nitidi allo stesso tempo, soprattutto quando l’oggetto arriva a tre metri dall’occhio. La prospettiva risulta sbagliata, mentre la distanza e la velocità non consentono possibilità di aggiustamento. Ora, la palla da tennis è il vostro oggetto in movimento, mentre il campo, lo spazio, la rete e l’avversario costituiscono lo sfondo. Dunque voi desiderate colpire bene la palla, quindi concentratevi e focalizzate solo quella fino al momento in cui la colpirete con la racchetta, dimenticando gli altri elementi» [Tilden 1920].
• «La psicologia nel tennis consiste semplicemente nel comprendere come funziona la mente dell’avversario, osservare come reagisce al vostro gioco e capire quali effetti producono sulla vostra mente i vari fattori esterni. Non riuscirete a capire la psicologia degli altri se non sarete in grado prima di tutto di comprendere i processi che regolano il vostro pensiero. Dovrete dunque studiare gli effetti prodotti su di voi da uno stesso avvenimento in circostanze differenti e analizzare come cambiano le vostre reazioni in base all’umore e alle condizioni esterne. E dovrete imparare a riconoscere in che modo reazioni come l’irritazione, la frustrazione o il piacere influenzano il vostro gioco. (…) Quando sarete in grado di valutare le vostre reazioni alle condizioni esterne, iniziate a studiare quelle degli avversari, per imparare a riconoscere il loro carattere. (…) La persona che sa controllare i propri processi mentali ha buone probabilità di comprendere anche quelli degli altri, perché il cervello umano ha meccanismi ben definiti che si possono analizzare. È possibile controllare i propri processi mentali solo dopo averli studiati attentamente» [Tilden 1920].
• «Il giocatore più pericoloso è quello che sa variare il suo stile, passando da fondocampo a rete sotto la direzione di una mente sempre vigile. Questo è l’uomo da cui vi conviene imparare. Si tratta di un giocatore con piani di gioco ben definiti. Di un tennista che ha sempre una contromisura per qualunque sfida gli proponiate. È il più astuto avversario del mondo. È il giocatore della scuola di Norman E. Brookes. Secondo solo a Brookes è quel giocatore così tenace e determinato da impostare la sua mente su di un progetto di gioco e combattere ferocemente fino alla fine, senza mai cedere alla tentazione di cambiare. È un uomo la cui psicologia è facile da capire, ma il cui punto di vista mentale è difficile da sconvolgere, perché non si permette di pensare ad altro che a ciò che sta facendo. Quest’uomo è il vostro Johnston o il vostro Wilding. Io rispetto di più l’astuzia di Brookes, ma ammiro la tenacia di Johnston e di Wilding» [Tilden 1920].
• «Scoprite che tipo di giocatore siete conoscendo i vostri processi mentali, poi allenate il vostro gioco seguendo le linee più adatte a voi. Pochi di noi hanno la brillantezza mentale di Brookes; ma tutti possiamo acquisire la tenacia e la determinazione di Johnston, anche se non abbiamo le sue stesse doti tennistiche. Quando due giocatori sono dello stesso livello e si fronteggiano in una situazione equilibrata, il fattore che fa la differenza tra vincere e perdere una partita è l’aspetto mentale. Quella che chiamiamo fortuna, in realtà, consiste spesso nel saper cogliere al volo il valore psicologico di un momento di rottura nel gioco e usarlo a proprio favore» [Tilden 1920].
• «Il primo obiettivo della partita è strappare il servizio all’avversario. La prima lezione da imparare è quella di tenere i nervi sotto controllo qualunque cosa accada. Se riuscirete a innervosire il vostro contendente facendo leva sulle sue debolezze, fatelo» [Tilden 1920].
• «Non perdete mai la calma a causa della bravura del vostro avversario. È già abbastanza grave perderla a causa dei vostri errori. Ricordate che spesso chi perde un incontro gioca al meglio consentitogli dal vincitore. Non perdete mai le staffe per una decisione arbitrale sfavorevole: non paga mai, anzi è un comportamento che spesso determina la sconfitta» [Tilden 1920].
• «La psicologia del tennis va ben oltre gli effetti prodotti su un giocatore dai colpi riusciti o sbagliati. In estrema sintesi, si potrebbe dire che ogni punto conquistato genera fiducia, ogni errore tende a minarla. Ma questo è piuttosto ovvio. L’aspetto più interessante riguarda le reazioni dei giocatori di fronte a diversi tipi di campi, di pubblico e di avversari» [Tilden 1920].
• «C’è un’atmosfera particolare sul campo centrale di Wimbledon, unica per quanto concerne la mia conoscenza del tennis. Solo alcuni giocatori però riescono ad apprezzarla. La maggior parte dei tennisti non la sentono e, poiché non avvertono la particolarità del luogo ma ne percepiscono solo gli svantaggi materiali, dall’illuminazione scadente ai rumori provenienti dalle tribune, non amano il centrale. Personalmente amo giocare sul centrale di Wimbledon più che in qualsiasi altro campo che abbia mai calpestato in tutta la mia vita. La tradizione dei campioni del passato, l’importanza dei personaggi presenti, il palco reale e delle autorità, l’onore della visita del Re e della Regina e, più ancora, il gradevole equilibrio del pubblico inglese trasformano l’ingresso nel campo centrale durante i Championship in un privilegio unico. Tutte queste cose danno una carica incredibile» [Tilden 1920].
• «Un grande e particolare contrasto con Wimbledon è offerto dal campo di Forest Hills, che ospita i campionati americani. Se il fascino di Wimbledon è legato alla sua storia, quello di Forest Hills si deve invece all’atmosfera di gioventù, di progresso, di perfetta organizzazione quasi manageriale, e all’entusiasmo che anima l’enorme folla degli spettatori. (…) Nessun pubblico sa mostrarsi caldo e accogliente verso i giocatori ospiti come il pubblico americano, animato dal più cordiale e appassionato tifo sportivo, molto più caldo di quello inglese, anche se non altrettanto corretto. Dai nostri amici inglesi abbiamo ancora molto da imparare. In ogni caso, spero che il pubblico americano non sacrifichi mai la sua passione e il suo genuino sentimento, perché è la molla vitale che produce l’entusiasmo nei giocatori che disputano i campionati americani» [Tilden 1920].
• «La Coppa Davis da sempre è il teatro delle più grandi battaglie della storia del tennis. È in questa manifestazione del tutto unica che la fama di tanti grandi campioni ha raggiunto il suo apice. Ed è il desiderio di dare il meglio di sé per l’onore del proprio Paese a spingere tutti i partecipanti a giocare il loro tennis migliore.
La molla psicologica che determina questi risultati è il patriottismo. Le personalità dei singoli passano in secondo piano. La ricerca di gloria personale, che è la chiave dei tornei individuali, qui lascia il posto allo spirito di squadra. L’amichevole rivalità sportiva tra un gruppo di uomini che formano la spina dorsale di ciascuna nazione tennistica ha contribuito alle buone relazioni internazionali più di tutte le lettere mai scritte dalla Casa Bianca» [Tilden 1920].
• «Qualunque sia il tipo di motivazioni che lo spinge, un buon tennista non può fare a meno di riconoscere il valore di una mente pronta. Che sia il desiderio di gloria personale, o il successo di squadra, o l’amore della competizione che porta a misurare la propria intelligenza con quella altrui, una motivazione c’è sempre. Non pensate che il tennis sia solo puro esercizio fisico. È un cocktail mentale di grandi emozioni» [Tilden 1920].
• «Il primo e il più importante aspetto della partita consiste nel sapere come perdere. Perdi con allegria, con generosità, da autentico sportivo. Questa è la prima grande legge del tennis, e la seconda le assomiglia molto: vinci con modestia, con allegria, con generosità, da autentico sportivo. L’obiettivo della partita è vincere, ma nessun credito va al giocatore che vince slealmente. La vittoria è peggio di una sconfitta se non è ottenuta correttamente. Ribadisco, vincere è l’obiettivo e per ottenerlo ogni giocatore dovrebbe lottare fino allo stremo delle forze, fino all’ultimo respiro, fino all’ultimo scatto di nervi. Se lo farete e perderete, avrà vinto il migliore. Se non lo farete, avrete sottratto al vostro avversario il diritto di battervi al vostro meglio. Siate corretti con entrambi, con il vostro avversario e con voi stessi» [Tilden 1920].
• «Quello che conta è il Gioco. Una buona sconfitta è più onorevole di una vittoria insipida. Giocate a tennis per passione. Giocate per le persone che incontrerete, per gli amici che vi farete e per il piacere che darete al pubblico, la cui presenza merita di essere ripagata con uno spettacolo sportivo faticoso ma degno. Molti giocatori pensano di non avere debiti col pubblico, e giocano come se stessero facendo un favore agli spettatori. Personalmente credo invece che un tennista debba sentirsi in dovere di dare il meglio di sé, liberamente, volontariamente e con allegria, perché solo così può sdebitarsi con il pubblico che gli ha fatto l’onore di assistere alla sua partita. I grandi campioni di oggi sono debitori verso il pubblico quanto gli attori verso gli spettatori, e solo se adempiranno ai loro obblighi il tennis continuerà a essere amato dal pubblico» [Tilden 1920].
• «La popolarità è la ricompensa che i giocatori ottengono in cambio della loro coscienziosa preparazione.
C’è però un altro fattore ancora più importante di questo, un elemento che produrrà sempre tennis al massimo livello in tutte le occasioni agonistiche. È lo spirito che rappresenta l’alito vitale di ogni vero sportivo: il desiderio di provare a se stessi di essere in grado di battere i migliori; è il sincero dispiacere provato da un vincitore che si accorge di aver battuto un avversario non al meglio della condizione» [Tilden 1920].
• «In partita non bisogna mai lasciare che l’avversario giochi il suo colpo preferito quando è possibile obbligarlo a sceglierne uno che non gradisce. Studiate l’avversario sia fuori che dentro il campo. Cercate di capire quali sono i suoi punti deboli e utilizzateli per colpirlo senza pietà. Ricordate che non sarete voi a decidere la vostra strategia di gioco. Vi verrà suggerita dalle debolezze dell’avversario. (…) Ricordatevi che la difesa più efficace è l’attacco, perché se l’avversario è occupato a contrastare i vostri attacchi avrà meno tempo per organizzare i suoi» [Tilden 1920].
• «E soprattutto, non cambiate mai gioco se state vincendo. Cambiatelo sempre quando siete in svantaggio, perché a quel punto cambiare non può più danneggiarvi, ma solo migliorare la situazione. (…) Prendetevi dei rischi quando siete in svantaggio nel punteggio, mai quando siete avanti. I rischi pagano prevalentemente quando avete tutto da guadagnare e niente da perdere. Possono darvi la vittoria, ma non accelerano la sconfitta. L’importante è mantenere la tranquillità e non perdere fiducia. Farlo significherebbe regalare all’avversario due punti in ogni game: un handicap troppo difficile da superare, anche giocando al meglio» [Tilden 1920].
• «Nascondete le vostre preoccupazioni all’avversario. Non mostrate segni di affaticamento o di problemi fisici, se vi è possibile, per non accrescere la sua fiducia nelle sue possibilità di vittoria. Ricordate che l’avversario sta soffrendo quanto voi e ogni segno di debolezza da parte vostra lo incoraggia ad andare avanti. In altre parole, stringete i denti e non mollate mai la presa» [Tilden 1920].
• «Non abbiate paura. State calmi. Alla lunga la fortuna gira. Non dimenticate che un sorriso fa vincere molti punti, perché rivela la fiducia in voi stessi e mina quella dell’avversario. Lottate sempre fino alla fine. Più aumentano la tensione e la fatica, più forte dovrete lottare; ma fatelo con il sorriso sulle labbra, godendovi ogni momento.
Una partita di tennis nella quale si fronteggiano due giocatori dello stesso livello si risolve in una battaglia di astuzia e di nervi. Chi usa la prima e non perde il controllo dei secondi risulterà alla fine vincitore» [Tilden 1920].
• «Non credo in quei giocatori che pensano di fare strada in un lungo torneo dando sempre il massimo in tutti gli incontri. Fate economia di risorse e di sforzi per i momenti che contano davvero, e cercate di vincere quante più partite possibili in modo netto, ma non autodistruttivo. Che bisogno ha una grande star di gettare nello sconforto un giocatore di categoria inferiore, infliggendogli una sconfitta umiliante? Meglio lasciare che si guadagni con onore qualche game: questo lo incoraggerà a proseguire la carriera e non oscurerà minimamente la reputazione del giocatore più bravo» [Tilden 1920].
• «Non mettete mai fretta al vostro avversario servendo prima che sia pronto a rispondere. È un trucco adottato da alcuni giocatori senza scrupoli, ma non usatelo, perché il vantaggio che ne deriva è ottenuto per mezzo di una grave scorrettezza. Pressate l’avversario solo quando la palla è in gioco, facendolo correre in lungo e in largo per il campo. Cercate sempre di approfittare dei punti deboli nel gioco dell’avversario, ma non violate mai i suoi diritti per procurarvi dei vantaggi “esterni” al gioco» [Tilden 1920].
• «Personalmente non apprezzo i giocatori che si ritirano durante le partite. Ritirarsi equivale a scippare all’avversario la soddisfazione per una meritata vittoria. Non ritiratevi mai, a meno che non siate costretti a farlo per cause di forza maggiore, ad esempio per un malore: chi accetta di partecipare a un torneo deve poi onorarlo fino in fondo» [Tilden 1920].
• «Molte grandi partite sono state rovinate da condizioni impossibili. Un buon giocatore deve sempre essere in grado di modificare il suo gioco in base alle condizioni esterne, pena la sconfitta. È molto difficile definire in modo standard quali siano le condizioni che consentono di giocare. In America, ad esempio, si gioca solo se il tempo è bello. In Inghilterra può capitare di giocare col bel tempo, ma per lo più si gioca sotto la pioggia, a giudicare da tutta l’acqua che ho preso durante il mio ultimo viaggio. Per vincere le partite, quindi, non basta saper giocare a tennis: bisogna anche combinare le doti di un aeroplano con quelle di un sottomarino» [Tilden 1920].
• «La condizione fisica è uno dei fattori essenziali di una partita di tennis. L’intensità può essere acquisita solo se il fisico, la mente e il sistema nervoso sono in perfetta sintonia. Un allenamento consistente e sistematico è basilare per giocare a livello agonistico. Dormire a sufficienza e mangiare cibi sani a orari regolari è fondamentale per mantenere il corpo fisico in efficienza. (…) La condizione fisica determina anche la condizione mentale e aiuta il giocatore ad adattarsi alle condizioni esterne in cui si trova a giocare» [Tilden 1920].
• «Preoccupatevi del tennis quando state giocando, ma una volta fuori dal campo dimenticate i dispiaceri del gioco. Coltivate sempre altri interessi al di fuori del campo, che vi aiutino a scaricare la tensione durante i tornei; ma lasciateli da parte nel momento in cui sarete in campo per giocare e non lasciate che interferiscano con le vostre prestazioni. È sempre difficile raggiungere una condizione di equilibrio generale, ma quando la si conquista si ha a disposizione una grande risorsa. Personalmente mi rilasso al di fuori del tennis giocando a bridge, e conosco molti altri giocatori che hanno lo stesso interesse» [Tilden 1920].
• «Tutti i giocatori dovrebbero avere una minima conoscenza della psicologia del pubblico, perché gli spettatori possono giocare un ruolo importante nel risultato di una partita. Avere il pubblico contro in genere non paga: è sempre bene cercare di conquistarsene i favori. Ma questo non significa giocare per il pubblico, cosa che rischia anzi di produrre l’effetto opposto. Il pubblico è sempre dalla parte del giocatore più debole. Si tende sempre ad aiutare chi parte svantaggiato. Se siete i favoriti, abituatevi al fatto che il pubblico parteggerà sempre per il vostro avversario. Non c’è niente di personale. È solo una reazione naturale che porta la gente a schierarsi con il giocatore perdente» [Tilden 1920].
• «Quando una chiamata arbitrale vi favorisce in modo evidente e ne siete consapevoli, sforzatevi di riequilibrare il torto subito dal vostro avversario perdendo il punto successivo, senza però ostentarlo troppo. Non scagliate la palla contro il fondo del campo o in fondo alla rete con l’aria di chi dice: “Eccoti servito!”. Limitatevi a mandarla fuori o in rete con discrezione, poi tornate concentrati sulla partita. L’avversario percepirà la vostra correttezza e la apprezzerà. Ma fatelo senza esibizione né platealità perché è poco signorile. Fatelo solo quando ve lo impone il vostro senso di giustizia» [Tilden 1920].
• «Il pubblico, giustamente, non ama assistere a scenate in campo. Un giocatore che perde la testa deve aspettarsi la disapprovazione degli spettatori. Lamentarvi delle decisioni arbitrali vi metterà in cattiva luce con la gente senza alterare il destino del punto. Anche se sapete che la chiamata dell’arbitro era sbagliata, fate buon viso a cattivo gioco e il pubblico sarà dalla vostra parte. Questi sono i fondamenti della vera sportività, e un autentico sportivo sedurrà e farà suo ogni pubblico. Anche il giocatore più insignificante può conquistare il rispetto e l’ammirazione del pubblico comportandosi da vero sportivo in un momento cruciale» [Tilden 1920].
• «Ogni giocatore che ami realmente il gioco e la competizione sarà sempre un raffinato sportivo. Non c’è alcuna soddisfazione nel gareggiare contro un avversario che vede negati i suoi diritti. Chi gioca per il puro piacere di farlo guadagna il favore del pubblico sin dal suo ingresso in campo» [Tilden 1920].
• «La partita di singolare, che vede opposti due contendenti, è la gara più faticosa del tennis. È in questa specialità che emerge più che mai l’importanza delle capacità personali. Il singolare richiede il massimo impegno individuale, sia mentale che fisico. Una partita tirata di cinque set in singolo è una delle più grandi fatiche per il corpo e il sistema nervoso che esista nello sport. Richard Harte e L.C. Wister, entrambi affermati giocatori di football e baseball presso le università rispettivamente di Harvard e Princeton, nonché ottimi giocatori di tennis, mi hanno detto che una partita di cinque set era di gran lunga più faticosa di una qualsiasi grande partita di football che avessero mai giocato» [Tilden 1920].
• «Il pubblico ama le personalità più degli stili. Il singolare mette due giocatori uno di fronte all’altro, in un rapporto che fa emergere le caratteristiche di ciascuno molto più di quanto non accada nel doppio. Lo spettatore è in un punto di osservazione simile a quello di uno scienziato che guarda un insetto al microscopio e può analizzarne il funzionamento interno» [Tilden 1920].
• «Il singolare è un gioco di immaginazione, il doppio è una scienza di angoli esatti» [Tilden 1920].
• «Il lawn tennis o tennis su prato è l’evoluzione di un vecchio gioco francese di campagna, poi diffusosi in Inghilterra dove ha incontrato grande popolarità. In origine si giocava con una rete alta più di un metro e mezzo, si effettuava il servizio sempre dalla stessa parte e i giocatori cambiavano campo alla fine di ogni game. Il gioco somigliava a quello che oggi è il badminton. Poco a poco il desiderio di un gioco più dinamico ebbe la meglio, la rete fu abbassata, le regole cambiarono e venne alla luce il tennis come lo conosciamo oggi» [Tilden 1920].
• «Il gioco conobbe una rapida esplosione di popolarità e in un lasso di tempo relativamente breve era giocato in tutta l’Inghilterra e la Francia. Verso la fine dell’Ottocento fu introdotto anche in America, dove si è diffuso a una velocità fenomenale. Sempre tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento il gioco ha messo piede in tutte le colonie dell’Impero Britannico e ha riscosso consensi persino in Oriente» [Tilden 1920].
• «Durante la guerra mondiale [la prima, ovviamente – ndr] il tennis è stato accolto da tutti i governi alleati come una delle attività sportive più salutari. Non solo i militari sono stati incoraggiati a giocare ogni volta che potevano, ma i governi alleati hanno supportato ufficialmente i vari tornei organizzati in Francia dalla firma dell’armistizio in poi. L’importanza attribuita al tennis dal governo americano è stata all’origine dello sviluppo e della costruzione di innumerevoli campi in cemento presso le basi militari, dove venivano continuamente organizzate partite per i soldati» [Tilden 1920].
• «Il tennis si è diffuso così rapidamente, da lasciarsi alle spalle la vecchia nomea di sport elitario, snob e tradizionalista. Il tennis attuale è universale» [Tilden 1920].
• «Che cosa ci riserverà il futuro? Credo che nel 1950 troveremo il gioco del tennis a un livello di sviluppo oggi impensabile. Viviamo ancora nell’infanzia del tennis. Ed è per me un piacere essere tra coloro che possono dondolarlo nella sua culla» [Tilden 1920].
• «Il tennis ha bisogno di grandi personaggi, perché l’aspetto umano contribuisce a mantenere alto l’interesse del pubblico. Un grande personaggio diventa di proprietà del pubblico. È il prezzo da pagare in cambio del talento e del successo. È il tratto individuale del campione a stimolare l’immaginazione del pubblico. Non credo, però, che siano i campioni a tener vivo questo sport. Penso che questo merito vada riconosciuto invece alla grande massa dei giocatori dilettanti che si ritrovano nei club di tutto il mondo e che non emergeranno mai dalla mediocrità, agli appassionati che giocano con racchette vecchie e palle sgonfie, ai tifosi che affollano i grandi eventi per vedere da vicino i giganti del tennis, insomma a tutti coloro che con il loro supporto tengono in vita questo sport, e dalle cui fila emergono i grandi campioni» [Tilden 1920].
• «Campioni non si nasce. Si diventa. I campioni emergono da un lungo e duro apprendistato di sconfitte, delusioni e mediocrità, non perché siano nati campioni, ma perché sono dotati di una forza interiore che è superiore a ogni momento di sconforto e che sembra gridare: “Io ce la farò”. Ovviamente deve esserci qualcosa che permette al campione di emergere dalla massa. Ed è questo qualcosa che in qualche modo colpisce il pubblico. È un elemento che può piacere o non piacere, ma non passa inosservato. Può trattarsi di personalità, di ostinata determinazione o di semplice genio per il tennis. Ma qualunque cosa sia, è l’elemento che fa di un tennista un giocatore famoso. La qualità propria di un grande campione caratterizza il suo gioco come un vero e proprio marchio di fabbrica» [Tilden 1920].
• «Credo non esista nello sport sensazione più gratificante per me di quando impatto una palla da tennis nel centro esatto del piatto corde della racchetta, e la colpisco indirizzandola esattamente là dove l’avversario non può arrivare. Adoro il rumore della palla da baseball che schizza via dalla mazza (le rare volte che riesco a colpirla), il brivido della pallina da golf colpita dal mio driver quando spicca il volo, il tonfo del pallone da football calciato lontano, il ghiaccio sotto i pattini (o più spesso sotto la schiena); ma nessuna di queste cose mi regala la stessa folle emozione di quando colpisco al meglio una palla da tennis. Ciò accade perché sono un appassionato di tennis. Uno di quegli amanti viscerali del gioco capaci di restare fuori fino a quando fa buio, insieme ad altri patiti come me, solo per vedere la fine di una partita tra ragazzini o tra uomini di mezza età, anche se il risultato non conta nulla» (W.T. Tilden, Match Play and the Spin of the Ball, 1925).
• «Molti tennisti guardano alla palla solo come a un oggetto da colpire. Non la considerano un elemento a sé stante del gioco, come l’avversario. La usano come un mezzo per raggiungere un fine. Ma immaginiamo per un attimo che la palla sia un individuo. Un terzo attore presente nella partita. Da che parte starà? Dipende da voi. La palla obbedisce agli ordini che riceve. Ditele (con la racchetta, non con la lingua) di curvare in un certo modo, e lei lo farà. Sarà la forza delle indicazioni che le darete a determinare il modo in cui esaudirà i vostri desideri» [Tilden 1925].
• «Non date mai al vostro avversario la possibilità di giocare uno dei suoi colpi preferiti. L’obiettivo principale per cui si imprime alla palla una traiettoria, una rotazione, o comunque si voglia definire un certo tipo di colpo, è quello di forzare il nostro rivale all’errore. Per quanto possa suonare in apparenza antisportivo, sono convinto che non si possa battere un avversario se non si riesce a spezzare il suo gioco, o per lo meno a indebolirlo. Niente incrina l’equilibrio fisico e mentale di una persona come l’essere continuamente forzato all’errore. Nella mia carriera ho visto moltissimi tennisti crollare dopo aver mandato in rete o fuori punti importantissimi che avrebbero dovuto vincere. Per questo motivo, pensando non solo ai vostri colpi ma anche al loro effetto sull’avversario, vi raccomando: non giocate mai un colpo senza impartire alla palla una rotazione consapevole, deliberata e intenzionale» [Tilden 1925].
• «Io dico sempre che nel tennis ho due principi fondamentali: “Ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo” e “Lavorare sempre per spezzare il gioco dell’avversario”. Il primo obiettivo si può ottenere con il colpo più piatto possibile. Ma per raggiungere il secondo bisogna saper combinare i colpi piatti con un uso attento e mirato di vari tipi di rotazione» [Tilden 1925].
• «Pochi giocatori di tennis sanno che il singolo e il doppio sono due specialità diverse. Molti pensano che basti giocare gli stessi colpi con le medesime modalità per avere ugualmente successo. Credono che le tattiche impiegate con esito positivo in uno vadano bene anche per l’altro. Niente di tutto ciò può essere più lontano dalla verità. Il singolare è essenzialmente un gioco di velocità, di forza, di atletismo; il doppio è un gioco di posizione, di finezza, di acume. Dunque la stessa tattica e gli stessi colpi non vanno bene per entrambi. Devono essere modificati per adattarli a una situazione diversa» [Tilden 1925].
• «Gli episodi a volte mascherano dei colpi di fortuna. Nessuno direbbe mai che la perdita di un dito possa rivelarsi un punto di forza per un giocatore di tennis, o un metodo ideale di allenamento e di apprendimento. Eppure, per quanto strano possa sembrare, la sfortuna di perdere il dito medio della mano destra mi ha portato a migliorare molto il gioco di volo, la volée e lo smash. Prima di questo episodio non ero in grado di chiudere il punto con frequenza e autorità nel gioco di rete. Me ne rendevo conto, eppure, per qualche ragione, finché ho avuto tutte le dita non sono riuscito a correggere questa lacuna» [Tilden 1925].
• Nel 1922 «persi il dito [medio – ndr] della mano destra e questo fatto inizialmente mi fece pensare alla fine della mia carriera. Finalmente, nella primavera del 1923, provai a tornare a giocare. Presto mi resi conto che certi colpi di finezza che ero solito giocare sotto rete mi avevano abbandonato per sempre. (…) Naturalmente la perdita del dito mi procurò un danno all’impugnatura, che non era più salda come prima. Questa nuova situazione mi costrinse a cercare una via veloce e pratica per chiudere il punto. Non potevo più affidarmi alla mia capacità di continuare a giocare la palla all’infinito e cominciai a cercare appena possibile il colpo vincente. Poco a poco la mia insistenza su volée e smash cominciò a dare risultati. Divenni più sicuro nel gioco al volo. Acquistai fiducia, e più aumentava la fiducia più miglioravo. (…) L’allenamento intensivo, indotto da uno stato di necessità così inconsueto, ha portato il mio gioco di volo a un livello fino a quel momento impensabile» [Tilden 1925].
• «Colmate le lacune del vostro gioco! Giocare a tennis vi sembrerà molto più piacevole se non avrete paura dei vostri colpi. Non c’è sensazione più emozionante dell’impatto della palla sulle corde della racchetta, quando un colpo perfetto la fa ritornare nel campo avversario» [Tilden 1925].
• «Ho sentito persone di sicura intelligenza, da cui non mi sarei mai aspettato giudizi avventati, sostenere che la numero uno al mondo fra le donne è forte quanto il numero uno degli uomini. Non c’è niente di più ridicolo. Non può esserci comparazione alcuna. La miglior giocatrice e il miglior giocatore non sono allo stesso livello di gioco, anzi, sono molto distanti. (…) Mi sembra evidente che la differenza fisica costituisce per le donne un handicap insormontabile, che nessuna abilità tecnica può colmare. La differenza nella velocità dei piedi e dei colpi fra uomini e donne si traduce in una differenza nel gioco. Nessuna donna è in grado di coprire il campo abbastanza rapidamente e di colpire con l’energia e la consistenza necessaria per mettere in difficoltà un uomo a parità di doti tecniche. (…) Ma se un giorno le donne riusciranno a coprire il campo con la stessa velocità degli uomini e a colpire la palla con la stessa loro forza, allora niente impedirà loro di giocare a tutto campo, e gli uomini faranno bene a stare attenti e a ricordarsi che, come ci ha insegnato Kipling, in tutte le specie la femmina è sempre più letale del maschio» [Tilden 1925].
• «In realtà con la parola “tennis” indichiamo molti tipi di gioco diversi. Tutti si attuano con le stesse regole e con lo stesso spirito, ma di fatto sono giochi differenti. C’è il tennis sull’erba, sulla terra battuta, sui campi duri (asfalto, cemento) e il tennis indoor (parquet e linoleum). Ognuna di queste superfici richiede una diversa tecnica e colpi differenti, anche se parliamo sempre di “tennis”. Il migliore di tutti è quello sull’erba» [Tilden 1925].
• «Le partite si vincono o si perdono in ragione di una somma complessiva di fattori, che comprendono la condizione fisica, il coraggio, l’intelligenza, l’esperienza e la qualità dei colpi che un giocatore esprime. Se la vostra somma totale è superiore a quella del vostro avversario, vincerete; viceversa, perderete» (W.T. Tilden, How to Play Better Tennis, 1950).
• «Il primo grande fondamento del tennis è allenarsi alla concentrazione, per imparare a restare sempre concentrati quando si è in campo» [Tilden 1950].
• «La forma perfetta del movimento è l’assenza stessa di una forma ideale. Ad esempio, se osservate i grandi campioni, di rado vi soffermerete a guardare i gesti che compiono prima di colpire la palla. Ciò che conta è l’attimo dell’effettivo impatto, ed è quello a restare impresso nella memoria quando guardiamo questi giocatori. Tutti i loro gesti sono così semplici e naturali da passare quasi inosservati. Ecco un esempio della semplicità che caratterizza la vera grandezza. In ogni campo dell’attività umana, i grandi maestri sanno compiere i loro gesti in un modo che a chi li osserva può sembrare facilissimo. Ciò avviene perché hanno eliminato sovrastrutture e sforzi, e tutto ciò che rimane è lo stretto necessario per esprimere la loro arte» [Tilden 1950].
• «Per fare un giocatore di tennis ci vogliono cinque anni, per fare un campione ne servono dieci. Se volete diventare campioni, dovete avere il coraggio di guardare avanti di dieci anni, e non esitare né vacillare mai, nemmeno nei periodi più neri, quando vi sembrerà di non riuscire ad approdare a nulla con il vostro gioco» [Tilden 1950].
• «Credetemi, non siete così bravi come vi definiscono quando vincete, e non siete tanto scarsi come pensate quando perdete. Un giocatore gioca bene in relazione a quanto gli permette di fare l’avversario. Se riconoscerete che molti dei vostri errori sono causati dalle capacità del vostro antagonista e non da una vostra cattiva giornata, allora riuscirete a rimanere in partita e a lottare al meglio, perché eviterete di occuparvi di spiegare al mondo i vostri errori» [Tilden 1950].
• «Il tennista di prima classe non solo conosce tutte le risposte sul piano tecnico, ma è anche in grado di sfruttare i fattori psicologici che possono danneggiare il suo avversario. Un buon giocatore ha già in testa il suo prossimo colpo nel momento in cui colpisce la palla, ma uno stratega veramente abile gioca sempre con una sequenza mentale di due colpi di vantaggio rispetto all’avversario» [Tilden 1950].
• «Il margine di differenza tra un campione e un buon giocatore è molto piccolo. Spesso non esistono differenze tecniche. Ho conosciuto molti giocatori con una tecnica sopraffina che non hanno mai fatto la differenza nel mondo del tennis. Dunque qual è la linea che divide un campione da un buon giocatore? Essa risiede in quella qualità intangibile che consente al campione di dare il meglio di sé sotto pressione, mentre induce il buon giocatore a esprimersi al di sotto del suo standard» [Tilden 1950].
• «Nell’anno 1874 veniva inventato in Inghilterra, dal maggiore Wingfield, il lawn tennis [tennis su prato – ndr]. Nel 1877 (prima edizione del torneo di Wimbledon) la forma del campo venne trasmutata in quella attuale e si abbassò la rete nel punto centrale da metri 1,45 fino a metri 0,98. A questi mutamenti degni di encomio tennero dietro altri collo scopo di sempre più migliorare il gioco (l’altezza al centro della rete fu abbassata nel 1883 a 91 centimetri). Non è punto dubbio che, senza le accennate trasformazioni del campo e dei suoi annessi, il gioco non avrebbe mai raggiunto la struttura attuale. L’antica battuta di sottomano, prediletta dai giocatori eleganti, fece posto a quella di sopracapo, ora usata dall’universale. Del resto, qualunque gioco, a forza di miglioramenti, deve alla fine toccare la perfezione, e, senza asserire che il nostro l’abbia raggiunta, non è men vero che esso procede dritto verso quella meta» (da Il Lawn Tennis di W. Baddeley, campione di Wimbledon di fine Ottocento, nella prima traduzione italiana del 1898).
• «La stella di William Tatem Tilden iniziò a risplendere nel firmamento del tennis subito dopo il primo conflitto mondiale, esattamente nel 1920. Da quel momento fino al 1926 Tilden fu quasi imbattibile. Le sue vittorie in Coppa Davis e i sette titoli individuali ai campionati americani sono record che resistono ancora oggi. Oltre a queste vittorie, non vanno certo dimenticati i tre successi a Wimbledon. Durante la carriera Tilden evitò la lunga trasferta australiana più volte, come d’altronde facevano quasi tutti i giocatori dell’epoca. Infatti i campionati australiani erano, al tempo, una sorta di torneo tra i giocatori di quell’area geografica. Inoltre al grande Bill non fu possibile, nei suoi anni migliori, partecipare al torneo parigino del Roland Garros, per il semplice motivo che non esisteva. Il Roland Garros fu istituito solo nel 1925».
• Tra il 1912 e il 1930 Tilden giocò nel tennis dilettantistico, «dove disputa 192 tornei vincendone 138, perdendo 28 finali. Inoltre disputerà 11 finali di Coppa Davis consecutive».
• «Nella seconda metà degli anni venti la supremazia di Tilden fu ridimensionata dai francesi Lacoste, Cochet e Borotra. Nel 1931, all’età di trentasette anni, Big Bill passò alle esibizioni del neonato professionismo, abbandonando il tennis amatoriale e conseguentemente la Davis e i tornei dello Slam. Da quel momento la scena fu occupata da altri grandi campioni».
• Tra il 1931 e il 1937, comunque, Tilden «domina la scena del tennis professionistico, vincendo undici titoli Pro, tra i quali quattro mondiali: due in America (1931, 1935) e due in Europa (1933, 1934)». Riuscirà inoltre a conquistare il titolo in doppio ai campionati professionistici ancora nel 1945, all’età di cinquantadue anni.
• Fino a buona parte degli anni Sessanta, il tennis, come all’epoca di Tilden, «era ancora diviso tra dilettanti e professionisti. I primi potevano partecipare alla Coppa Davis, ai tornei dello Slam e ad altre gare organizzate dalla federazione internazionale, i secondi erano esclusi da queste manifestazioni e disputavano un circuito pro da cui ricavavano guadagni che ai dilettanti erano proibiti. I migliori dilettanti passavano al professionismo, che Tilden aveva contribuito a creare e a lanciare negli anni Trenta. Alla fine di ogni stagione, il campione dei dilettanti diventato professionista si incontrava al Madison Square Garden di New York contro il numero uno dei professionisti».
• «Nel 1968 nasce il tennis che tutti conosciamo: il tennis Open. Questo passo epocale non si sarebbe mai realizzato senza l’opera di Tilden e dei suoi successori. Da quel momento in poi scomparvero i dilettanti; tutti i giocatori si trovavano sotto lo stesso tetto e i tornei erano finalmente dotati di montepremi in denaro. I tornei del Grande Slam cambiarono nome e superficie, fatta eccezione per Wimbledon e il Roland Garros. I campionati americani diventarono US Open e i campionati australiani Australian Open. Entrambi i tornei cambiarono superficie, passando dall’erba al cemento, tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta».
• «Nei primi anni del nuovo circuito Open, tra gli anni Sessanta e Settanta, si imposero quei giocatori che provenivano dal vecchio e osteggiato circuito professionistico. Nel 1969 Rod Laver vinse addirittura il Grande Slam, impresa tuttora ineguagliata nell’era Open. Oltre ai vecchi professionisti emersero anche nuovi campioni come Newcombe, Ashe, Smith e Nastase. (…) L’americano Ashe è stato il primo a vincere la prima edizione degli Us Open nel 1968, oltre ad essere l’unico giocatore di colore capace di vincere Wimbledon, fatto che accadde nel 1975».
• I principali successi italiani nella storia del tennis maschile furono conseguiti «attraverso le vittorie al Roland Garros di Parigi da Nicola Pietrangeli nel 1959 e nel 1960 e da Adriano Panatta nel 1976. Inoltre, Nicola Pietrangeli detiene il primato mondiale degli incontri disputati e vinti in Coppa Davis con 164 presenze e 120 vittorie, tra singolare e doppio. Infine, Adriano Panatta è stato l’alfiere della squadra azzurra composta da Barazzutti, Bertolucci, Zugarelli, che ha portato, sempre nel 1976, l’Italia alla conquista della Coppa Davis».
• «Nella stessa epoca di Tilden, in campo femminile brillò la stella della francese Suzanne Lenglen, soprannominata “La Divina”. Nel 1919 conquistò il primo di sei titoli consecutivi a Wimbledon, sconvolgendo gli inglesi. Si presentò in campo con le caviglie, i polpacci e quasi tutte le braccia nude, esibendo la sua formazione da ballerina e danzando per il campo. Dal 1919 al 1926, anno del suo ritiro, perse solo una partita e il fatto accadde perché era malata. Era una tennista passionale e durante le partite si indispettiva, protestava e piangeva in modo plateale. La Lenglen e Tilden diventarono quasi contemporaneamente le due stelle del firmamento del tennis mondiale».
• «Nell’edizione di Wimbledon del 1919 grazie alla Lenglen ci fu una richiesta di biglietti senza precedenti, tanto che molte persone rimasero fuori dai cancelli. Quindi furono immediatamente realizzati progetti per costruire una nuova sede. Iniziative rese ancora più urgenti l’anno successivo, quando Big Bill Tilden esordì a Wimbledon e vinse il suo primo titolo, conquistando quasi lo stesso seguito della campionessa francese».
• In Match Play and the Spin of the Ball (1925), Tilden accenna a un incontro disputato con la Lenglen nel 1921 a Parigi: «Dopo essere sceso dalla nave solo il giorno prima, giocai un set con Mademoiselle Lenglen e vinsi per 6-0».
• «La Lenglen passò successivamente al professionismo verso la fine del 1926, prima grande stella del tennis a compiere questo passo epocale. Il suo esordio la vide vincitrice contro Mary K. Brown al Madison Square Garden davanti a 13.000 spettatori».
• «Nel dopoguerra il tennis femminile non presentava nuovi scenari rispetto agli anni Venti e Trenta, anche perché tra le donne non esisteva un movimento organizzato di professioniste come tra gli uomini. Di conseguenza, le giocatrici rimanevano tutte ancorate al tennis dilettantistico, continuando a partecipare ai tornei dello Slam».
• «Negli anni cinquanta, epoca di rinascita e di sviluppo, risplende la luce dell’americana Maureen Connolly, che nel 1953 riuscì a vincere il Grande Slam. (…) Salì poi alla ribalta Althea Gibson, prima giocatrice di colore a vincere Wimbledon nel 1957».
• «I principali successi italiani nella storia del tennis in campo femminile riguardano la conquista della Fed Cup (la Coppa Davis femminile, nata nel 1963) nel 2006, 2009, 2010, 2013, la vittoria al Roland Garros da parte di Francesca Schiavone nel 2010 e nel 2014 il completamento del Career Slam di doppio da parte di Roberta Vinci e Sara Errani».
• «William Tatem Tilden è stato il Roger Federer della sua epoca; un artista della racchetta, individualista per eccellenza, che si è guadagnato il soprannome di “Invincibile”. Per gli addetti ai lavori Big Bill era considerato il più forte giocatore della sua generazione. Attraverso la sua opera il tennis ha cambiato volto, diventando una strabiliante prova mentale, fisica e tecnica. “Se il valore di un giocatore venisse misurato in relazione al suo dominio e all’influenza che ha saputo esercitare sopra uno sport,” ha scritto il famoso giornalista americano Bud Collins, “allora William Tatem Tilden può essere certamente considerato il più grande giocatore della storia del tennis”».
• «In occasione della sua prima trasferta a Londra, Tilden impressionò il pubblico per il suo gioco, il suo carisma, la sua eleganza. Molto tempo prima di Roger Federer, Big Bill entrò nel campo centrale di Wimbledon vestendo una giacca bianca personalizzata. Il grande Bill era approssimativamente alto quanto Federer e copriva il campo come lo svizzero, flottando e danzando rapidamente sulla superficie. Pareva che la sfiorasse, che non la toccasse affatto».
• «La Federazione americana non ha mai immortalato Tilden dedicandogli un evento, uno stadio o una statua, eppure egli è stato un campione unico che vanta record ancora imbattuti. Inoltre, è stato il primo americano della storia a vincere Wimbledon. Attraverso il suo gioco potente, ha cancellato la credenza che il tennis non fosse un vero sport. È stato il campione che in America ha elevato il tennis da sport secondario a sport principale. Nonostante questo, è rimasto a lungo dimenticato, i suoi meriti ed i suoi successi professionali oscurati a causa della sua discussa vita privata».
• «Tra i pochi riconoscimenti ottenuti da Tilden a fine carriera emerge quello dell’autorevole e prestigiosa Associazione della stampa americana, che nel 1950 inserì Big Bill nella stretta cerchia dei magnifici atleti che hanno segnato lo sport nella prima metà del Novecento. Tilden era il degno rappresentante del tennis e prese posto nel Pantheon dello sport insieme a Jack Dempsey, Bobby Jones e Babe Ruth».