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 2015  marzo 23 Lunedì calendario

ALLA SCUOLA SNA SI IMPARA A NON FARSI TAGLIARE LO STIPENDIO

Per Angelo Rughetti è l’ennesima dimostrazione che il Paese è in piena sindrome del Gattopardo. «Sono in tanti a lavorare per fare in modo che tutto cambi perché nulla cambi. Dalle Province alla formazione di Stato, dalla Rai alla spesa dei fondi per il Sud. Da un lato c’è chi come noi fatica ogni giorno per fare un passo in avanti e dall’altro coloro che in nome del benaltrismo e l’esegesi delle fonti normative sperano che passi la nottata e tutto torni com’era prima», sbotta il sottosegretario alla Pubblica amministrazione dopo aver letto un parere sfornato dal Consiglio di Stato il 23 febbraio. Anche se sarebbe più giusto definirlo un «non» parere. L’argomento è uno dei più pelosi in assoluto: gli stipendi degli alti burocrati pubblici che insegnano alla Sna, la neonata Scuola nazionale di amministrazione.
La riforma approvata dal parlamento l’11 agosto ha soppresso cinque scuole create negli anni per la formazione degli amministratori e la contestuale attribuzione delle loro funzioni a un’unica struttura sul modello della mitica Ena francese. Fra le scuole chiuse c’è la Scuola superiore dell’economia e delle finanze, che ha per certi versi una storia particolare. Giova ricordare qualche nome dell’elenco dei docenti ordinari del cosiddetto «ruolo ad esaurimento» tuttora presente nel sito di quell’organismo. C’è Vincenzo Fortunato, ex capo di gabinetto dell’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, oggi presidente della società immobiliare pubblica Invimit e già titolare nel 2011, prima dei tagli imposti dai governi di Mario Monti e Matteo Renzi (che hanno abbassato il tetto massimo prima a 300 mila e poi a 240 mila euro), di uno stipendio da 583 mila euro annui. C’è Marco Pinto, anch’egli ex collaboratore di Tremonti. C’è Marco Milanese, ex braccio destro del superministro, sospeso dalle funzioni, a causa del suo coinvolgimento in alcune inchieste giudiziarie per decisione dell’ex direttore della scuola Giuseppe Pisauro, il quale come prevede la legge ha potuto privarlo solo di metà della retribuzione (il che significa 97.166 euro). Ci sono poi l’ex parlamentare del Pdl Maurizio Leo, già dirigente delle Finanze nonché assessore al Comune di Roma e l’ex presidente della commissione Trasporti della Camera Ernesto Stajano.
Insieme a loro un piccolo manipolo di superburocrati meno noti, in posizione di fuori ruolo ma pagati piuttosto profumatamente per disposizioni ministeriali dalla Scuola, con compensi che all’epoca arrivavano a superare di slancio i tetti fissati in seguito. E qui sta il punto. Perché la riforma dello scorso anno prevede che «il trattamento economico è rideterminato con decreto al fine di renderlo omogeneo a quello degli altri docenti della Sna», che a sua volta «viene determinato sulla base di quello spettante, rispettivamente, ai professori o ai ricercatori universitari a tempo pieno con corrispondente anzianità».
Vale a dire, al massimo poco più della metà del famoso tetto dei 240 mila euro. Verissimo, ammette il «non» parere del Consiglio di Stato, chiamato dal governo a dire la sua proprio su quel decreto appena scritto. Ma bisogna chiedersi, argomenta l’estensore Damiano Nocilla, ex segretario generale del Senato, se la riforma ha o meno abrogato un decreto legislativo del 2009 (governo Berlusconi) che prescrive: «i docenti a tempo pieno della scuola, in posizione di comando, aspettativa o fuori ruolo, per il tempo dell’incarico conservano il trattamento economico in godimento». Trattamento, precisa il «non» parere, che «può essere ben diverso e superiore rispetto a quello dei docenti universitari». La risposta alla domanda? Ovvia: «la supposta abrogazione dell’art.10, co.2, d.lg.s. n. 178 del 2009 non sembra possa evincersi sic et sempliciter». Per non parlare, aggiunge Nocilla, del fatto che «l’immediata abrogazione della disposizione rischierebbe di privare la Sna di tutti quei docenti provenienti da carriere il cui trattamento è migliore in termini retributivi rispetto a quello dei professori universitari, con immaginabili ripercussioni sull’organizzazione e l’impostazione dei corsi». Ragion per cui il decreto va riscritto, e come nel gioco dell’oca si riparte dal via.