Thomas Mackinson, il Fatto Quotidiano 23/3/2015, 23 marzo 2015
ALLA FACCIA DELLE CAYMAN: IL VERO PARADISO FISCALE È NELLA CITY DI LONDRA
Un biglietto da 19 euro, se va male qualcosa di più. L’innocente evasione può iniziare con un investimento modesto quanto un volo per l’ultimo paradiso fiscale d’Europa. La combinazione che spalanca le sue porte è 51 30 N 000 10 W, latitudine e longitudine della City. Heathrow, Stansted o Gatwick poco importa, la mappa per i furbetti con grossi portafogli consiglia di puntare dritto all’East End di Londra, l’area portuale un tempo malfamata e fuligginosa che oggi offre il più alto concentrato al mondo di studi legali associati, grandi banche d’affari e professionisti della consulenza fiscale. I grattacieli di vetro a specchio indicano i luoghi in cui schiere di zelanti contabili-tributaristi - statene certi - masticano italiano e nel caso attivano uffici di corrispondenza disseminati nel Continente. Chi non è milionario può invece rivolgersi ai più “agili” uffici di gestione del patrimonio del Myfair, a due passi da Piccadilly. Vuoi metterti al riparo dal Fisco? Qui c’è una soluzione per tutte le tasche. La Svizzera, del resto, è capitolata. Perfino il Vaticano rinuncia al segreto bancario e la croce è caduta anche sulle roccaforti di San Marino, Liechtenstein, Lussemburgo e Monte Carlo. Restano le mete esotiche, certo. Ma Londra - due ore di volo dall’Italia - ha ancora tanto da offrire.
Per pudore, forse, la chiamano ottimizzazione fiscale. Quella in salsa britannica pare miracolosa. Portare la residenza o la sede legale sotto il Big Ben è meglio che avere una holding alle Cayman: qui le imposte su dividendi e profitti, per legge, sono al 20%. Tutto regolare, solo bisogna arrivarci. Comprarsi il diritto di pagare le tasse a Londra, in realtà, è sorprendentemente facile e pure economico: costituire una Ltd costa 40 sterline, il capitale sociale minimo è di una soltanto e il tempo necessario è 48 ore. Ma questo è solo l’inizio. Con alcuni semplici accorgimenti la tassazione può scendere praticamente a zero. La “company”, ad esempio, può anche non far nulla. Anzi, meglio che non lo faccia e resti “dormiente”: se non avrà alcuna transazione significativa per un anno fiscale potrà godere di consistenti riduzioni degli adempimenti tributari. I beni e i valori che ha in pancia, magicamente, varranno di più.
Soluzioni «chiavi in mano» Si può evitare anche questa fatica grazie alla possibilità di comprare società precostituite subito pronte all’uso, con tutto il corredo: numero di Vat (la partita Iva), certificato di incorporazione, Memorandum of Article, lo statuto e i libri contabili. Per schermarle e conferire loro una patente di legalità si possono perfino noleggiare da società di consulenza gli amministratori, i direttori, gli azionisti e i segretari “fiduciari” residenti. Paghi ed esci con una dichiarazione giurata di fedeltà a garanzia che il nome reale della proprietà non apparirà in nessun registro pubblico (anche online) e al tempo stesso che i prescelti non avranno alcun ruolo esecutivo o decisionale, neppure l’accesso al conto bancario della società. Qui lo chiamano “nominee service”, da noi volgarmente “prestanome”. L’espediente è però legale, inutile dire che c’è chi ne approfitta.
Le tasse sulle persone fisiche sono al 45 per cento, ma non per tutti. La regina delle facilitazioni in questo campo è il cosiddetto “resident not dom”, residenti non domiciliati, un regime fiscale che permette di non sottoporre a imposte gli utili realizzati all’estero. L’Inghilterra lo ha storicamente incentivato per attrarre i ricconi ed è la soluzione perfetta anche per chi ha rendite finanziarie derivanti da partecipazioni qualificate o per i viaggiatori d’affari con redditi da lavoro dipendente. Ne hanno approfittato anche tanti “eroi” nazionali alla Valentino Rossi, poi finiti nel mirino dell’accertamento tributario. Il Bengodi è infatti vincolato da alcuni requisiti e l’inghippo, da sempre, è come aggirarli. I più stringenti riguardano la permanenza: si deve passare a Londra una media di 91 giorni l’anno su un periodo di quattro e un minimo di 183 giorni per anno fiscale. L’elusione, in questo campo, è ormai un’arte.
Capitolo rendite. Per far fruttare i patrimoni al sole non serve mica andare alle Tonga: a due passi da Londra ci sono le Channel Islands, le isole del canale della Manica, un arcipelago di otto isolette al largo della Normandia (Jersey, Guernsey, Sark le più note), dove è legale depositare i propri risparmi in conti a tasso d’interesse e regime fiscale straordinari. Per “proteggerli” poi non c’è che l’imbarazzo della scelta. Quassù c’è un Trust per ogni esigenza, sempre conforme alle norme: quello per evitare il pagamento dell’Iva sull’acquisto e l’uso di beni di lusso, come yacht e aerei, quello immobiliare che permette di creare un patrimonio separato e garantito che non potrà essere “aggredito” se non dai creditori del trust. Quello familiare consente di disciplinare anticipatamente casi di successione, rapporti di convivenza e parentela, crisi matrimoniali compresi i casi di separazione e divorzio. C’è anche quello per minori e perfino per disabili che permette di gestire i beni “in favore dei soggetti titolari”, senza incorrere nell’amministrazione di sostegno, tutela e curatela, dove il controllo giudiziario è preponderante e passa per le autorizzazioni emesse da un Tribunale. Ebbene sì, a Londra si può fare anche questo. Insomma, è o non è questo il Paradiso? Certo, c’è sempre qualcuno pronto a dire che la Belle Époque della sofisticazione societaria e delle residenze fittizie in salsa british ha le ore contate. E dunque a proporti una consulenza last-minute a prezzi vantaggiosi prima della grande glaciazione. Il costo, dicono i consulenti, lo fa il valore dell’operazione che deve però partire da 300mila euro. È questa la soglia minima per la quale un progetto di “ottimizzazione fiscale” ha ragion di esistere. “Altrimenti il bilancio costi-benefici non creerebbe alcun vantaggio competitivo per l’azienda, che si troverebbe a pagare per un servizio senza che questo sfoci in un beneficio reale”. Da prendere al volo, insistono, perché davvero il clima nella City sta cambiando.
Sarebbe poi colpa dei colossi della rivoluzione digitale, ma anche della britannica Marks&Spencer, quella dei grandi magazzini, che per anni sono riusciti a pagare poco o nulla al fisco nonostante miliardi di sterline di fatturato nel Regno Unito. “Evasione legalizzata” ha tuonato il quotidiano The Guardian. Ed è scoppiata la bufera. Il governo non ha più potuto eludere il problema e ha promesso di cancellare alcuni degli espedienti più smaccati, come quello di trasferire parte degli utili in Irlanda, dove le imposte sono le più basse d’Europa (12,5%) per poi farseli rimandare indietro sotto forma di prestiti. Ma dalle parti di Downing street la preoccupazione principale resta quella di continuare ad attrarre corporations e paperoni lungo il Tamigi, più che di tappare le vie d’uscita alle società per pagare meno tasse. E i furbetti nostrani - quelli che l’inglese manco lo devono sapere - potranno sempre canticchiare London calling to the faraway towns.