Filippo Ceccarelli, la Repubblica 23/3/2015, 23 marzo 2015
NON entrerà molto probabilmente nei libri di storia e forse neppure in quelli sull’evoluzione del costume politico sarà ricordata l’insinuazione di Alessandra Mussolini nei confronti della sua collega Nunzia De Girolamo
NON entrerà molto probabilmente nei libri di storia e forse neppure in quelli sull’evoluzione del costume politico sarà ricordata l’insinuazione di Alessandra Mussolini nei confronti della sua collega Nunzia De Girolamo. Una delle ragioni è che la prima non è nuova a questo particolare tipo di aggressioni; e a tale proposito è inevitabile ricordare che nel 2010 Mussolini si comportò in modo anche peggiore con un’altra donna impegnata in politica nel suo stesso partito, Mara Carfagna, allora ministro per le Pari Opportunità. Come nel caso odierno, anche allora sfuggivano le motivazioni per così dire politiche. Forse impicci attinenti alla Campania, forse rivalità personale allo stato brado, forse qualcos’altro per conto terzi, fatto sta che un giorno, in aula, Mussolini vide che Carfagna chiacchierava fitto fitto con Italo Bocchino, a quel tempo capo di stato maggiore dell’esercito dei traditori finiani. Tra i due, come riconosciuto in seguito da entrambi i piccioncini, c’era o c’era stato del tenero. Ormai da tempo gli osservatori della scena pubblica, già detentori di cospicui archivi, potevano documentare le profonde trasformazioni che li avevano portati ad accumulare una serie di competenze sull’intreccio inesorabile venutosi a creare tra gli scenari politici e le relazioni coniugali ed extraconiugali. Fatto sta che Mussolini pensò bene di puntare il suo telefonino sulla coppia Bocchino-Carfagna, o forse secondo un’altra lectio chiese di farlo a un deputato, fotografo sicario, e insomma: clic. Carfagna, che oltretutto stava pure per sposarsi con un ignaro ragazzo, se ne accorse e con rabbia le battè le mani, quell’altra dagli spalti le gridò addosso: “Vergogna!”. Le cronache, purtroppo manchevoli, tralasciano di riportare la reazione di Bocchino (che di lì a qualche tempo finì comunque per pentirsi e secondo alcuni articoletti andò pure da uno psicologo). In compenso per qualche giorno sui giornali risuonò un epiteto di origine napoletana, “vajassa”, graziosamente rivolto da Carfagna all’indirizzo di Mussolini. E poi tutto finì. In realtà le vicende pubbliche e private delle due parlamentari continuarono, eccome, con sviluppi interessanti e in qualche modo persino istruttivi. Ma ieri come oggi il non-detto era che quando le donne ci si mettono, sanno farsi male tra loro più di quanto riescano quegli scemotti e immaturi dei maschilisti — e a tale proposito vale certo la pena di rammentare che il supercampione della categoria, onorevole Pippo Gianni, baffuto udc siciliano, noto in sede di quote rosa per aver proclamato che “le donne non devono scassare la minchia” concluse la sua carriera romana come modello in una sfilata di moda. Tutto insomma sembra facile, ma è anche parecchio complicato. La fine dei confini tra pubblico e privato, l’immagine al posto delle idee, la personalizzazione dei conflitti, l’ammaestramento del pubblico all’intimità. Ha detto bene e ha detto male Annagrazia Calabria, Forza Italia, durante l’ultima campagna elettorale: “Se sei bella e giovane, se fai politica da anni, lotti e sei pulita, specie le donne te la fanno pagare”. E poi, a coronamento: “Le donne sono le peggiori”. Ma la confusione, per quanto riguarda l’altro schieramento, è confermata da ciò che sta accadendo in questi giorni in Puglia, dove alle elezioni il Pd ha presentato come capolista sei giovani donne. Con il che una parlamentare, Elena Gentile, ha definito tale scelta degna di un “catalogo Postalmarket”, sei donne “usate come bamboline — ha rincarato — in bella mostra e strumentalizzate”. La tentazione maschile, in questi casi, il riflesso più inopportuno, però anche il più inevitabile, è di analizzare tali fenomeni nell’ottica della lavanderia o, peggio, del gallinaio. Tra catfight ed Eva contro Eva, il giochetto è antico, ma le opportunità negli ultimi anni sono obiettivamente cresciute: dal gossip aggressivo-giudiziario che vede contrapposte l’attrice bulgara Dragomira Bonev e Francesca Pascale, a quello fantasmatico- revisionista che ha portato Daniela Santanchè a un assai azzardato confronto tra Nicole Minetti e Nilde Iotti: “Siccome si parla tanto di bunga bunga ci tengo a ricordare che la Iotti faceva bene la politica, ma nelle stanze sotto Botteghe Oscure, tutto il mondo è paese, le scorciatoie aiutano». Ecco, ci vorrà anche pazienza. Ma se pure tra le donne l’accusa politica per eccellenza, il disconoscimento di legittimità, scade così facilmente al livello della maldicenza; se tante belle carriere così frequentemente vengono spiegate con l’aspetto fisico o con relazioni inconfessabili, ecco, magari è anche perché ogni cosa, ogni problema, ogni disputa, ogni pretesa soluzione corrisponde oggi a una scorciatoia. Fa riflettere l’automatismo con cui tante donne hanno espresso la solidarietà a De Girolamo; così come fa riflettere il silenzio di altrettante donne. Ma soprattutto fa riflettere questo tempo che produce verità sempre più instabili, provvisorie, occasionali. Mezze verità che non faranno troppa strada, insieme da apprendere e da dimenticare.