Valentina Petrini, il Fatto Quotidiano 22/3/2015, 22 marzo 2015
NON SOLO IMMIGRATI, MA ANCHE BARCHE: L’AFFARE DEGLI SCIACALLI
a sud di Lampedusa
Il 3 marzo, alle sette del mattino, un barcone a 40 miglia dalle coste libiche chiama con il satellitare la centrale operativa della Guardia Costiera, che risponde da Roma. In balia del mare ci sono quaranta donne, due incinte, quindici bambini e un uomo in arresto cardiaco: lo tengono in vita con il massaggio e la respirazione bocca a bocca. Sono circa 800 in tutto i migranti da salvare. Il barcone è a otto ore di navigazione da dove ci troviamo noi in quel momento, a sud di Lampedusa. Tutti i mezzi nelle vicinanze vengono dirottati per il soccorso. Gli equipaggi della nave Dattilo e della Fiorillo della Guardia Costiera arrivano per primi. Mettono tutti in salvo ma il barcone, vuoto, resta al centro del Mediterraneo.
Sono le cinque del pomeriggio, arriva un’altra richiesta di soccorso: un naufragio, ci sono molti morti in mare. La Dattilo riaccende i motori: “Lo vedi lo sciacallo? Quel peschereccio laggiù”. È abbastanza grande e non sventola nessuna bandiera. A bordo, con il binocolo, si vedono solo le teste di quattro uomini, ben nascosti. “Appena ha visto il barcone vuoto sulla sua sinistra, ha rallentato, adesso ci gira intorno e aspetta che noi siamo più lontani...”. Lo sciacallo, indisturbato, aggancia la barca deserta (nuova di zecca, al suo primo viaggio) e fa rotta verso la Libia.
Prima salvare i superstiti, poi inseguire i criminali
Al centro di questo Mediterraneo i criminali ormai fanno profitti non più solo attraverso il traffico di uomini, ma anche grazie al recupero dei barconi: ammortizzano i costi e aumentano i guadagni. La sera, quando i migranti dormono sotto le coperte termiche, a bordo della Dattilo si continua a parlare dello sciacallo: “Ormai capita sempre più spesso. Noi ci allontaniamo per correre da un soccorso all’altro e loro si riprendono le imbarcazioni. Ci fottono i barconi sotto gli occhi e non possiamo fare niente”. Mentre navighiamo di notte la memoria va all’estate scorsa. “Un giorno eravamo partiti da Pozzallo, navigazione a Sud di Lampedusa, a un certo punto dalla plancia un collega ha visto delle braccia agitarsi nell’acqua. Erano 39 uomini, alcuni aggrappati alle taniche di benzina, altri completamente nudi, qualcuno legato alle corde del gommone semi affondato”. Li hanno tirati fuori dall’acqua uno ad uno, in agonia. “In quel caso lo sciacallo non ha potuto recuperare nulla: il gommone è affondato. Abbiamo visto i superstiti per caso mentre eravamo in navigazione… Un ragazzo era completamente ustionato: gli si era rovesciata la tanica di benzina sulle gambe e il sole l’aveva praticamente fritto”.
Chi riporta una barca in Libia o in Tunisia senza farsi arrestare, dopo un primo viaggio guadagna il doppio. L’hanno capito anche gli uomini della Dattilo che in mezzo al mare ci stanno 365 giorni l’anno e in queste acque fanno di tutto: dai soccorsi umanitari alle azioni di polizia giudiziaria. Perché i barconi non si possono affondare? “Affondarli non è consentito dalle norme ambientali internazionali – spiega il comandante della Dattilo, Alessio Morelli – potrebbe esserci benzina a bordo e quindi inquinare il mare. È una legge e va rispettata. I barconi si possono e si devono, quando possibile, rendere inutilizzabili, oppure si trainano in porto, dove vengono sequestrati e smaltiti”. In questo caso non possiamo fermarci: il naufragio al quale dobbiamo prestare soccorso è a diverse ore di navigazione da dove ci troviamo. “Più tardi arriviamo – continua Morelli – più morti potrebbero esserci e ogni volta che perdiamo qualcuno, ti chiedi: e se fossimo arrivati dieci minuti prima?”. Le regole d’ingaggio della Guardia Costiera sono chiare: prima il salvataggio poi, se resta tempo, l’attività di polizia. Le richieste di soccorso arrivano una dopo l’altra. Il 3 marzo, mentre eravamo in mare anche noi, in poche ore ne sono arrivate sette. Lo sciacallo l’ultima volta si è salvato grazie al naufragio: dieci i cadaveri recuperati e almeno cinquanta i dispersi.
Il barcone che fece la traversata due volte
Il 15 febbraio scorso, in queste acque, per la prima volta a Sud di Lampedusa, quattro trafficanti a bordo di un barchino veloce hanno aperto il fuoco contro una motovedetta della Guardia Costiera. Volevano riprendersi il barcone vuoto e per spaventare gli ufficiali (con 150 immigrati appena salvati a bordo) hanno mostrato i kalashnikov e sparato a pelo d’acqua.
A Roma ci sono le indagini dell’antiterrorismo, in Sicilia diverse procure hanno fascicoli aperti sugli ultimi sbarchi (Catania, Ragusa, Palermo). I trafficanti si muovono in queste acque come persone ben informate: conoscono le procedure SAR (search and rescue – ricerca e soccorso). Costringono i migranti a chiamare quasi subito la Centrale Operativa di Roma. Sanno che i soccorsi arrivano dopo sei-otto ore di navigazione. “L’estate scorsa è stata un inferno. Lavoravamo anche venti, venticinque giorni senza mai fermarci – raccontano gli uomini dell’equipaggio - All’inizio vedevamo questi sciacalli girarci intorno, ma non capivamo quali fossero le loro intenzioni”. Un giorno l’equipaggio della Dattilo soccorre una barca con circa trecento persone a bordo. Ci sono molti siriani, famiglie con bimbi e donne sole. I neri del centr’Africa, i più poveri, pagano meno per la traversata e quindi viaggiano nella stiva, attaccati al motore. I soccorritori notano un dettaglio: “Il barcone aveva una data scritta con la vernice, su un fianco: SAR 19 luglio 2014”. Era il 4 agosto, però, quando l’hanno soccorso. “Finalmente avevamo la prova di un sospetto : quel peschereccio era già stato utilizzato per un altro viaggio quindici giorni prima, poi recuperato, riportato in Libia e ricaricato. E quella era la seconda volta che lo ritrovavamo carico di migranti davanti alla Libia”. Un’organizzazione militare, non il gesto di qualche avventuriero. Quel barcone alla fine, è stato sequestrato. E la foto messa agli atti.
Con l’arrivo di Triton ci sono meno soldi e più sbarchi
Le regole d’ingaggio delle navi gestite dal ministero della Difesa, da quando Mare Nostrum si è interrotto, sono cambiate. Cosa fanno, quindi, davanti alle coste del Nord Africa, il 3 marzo scorso le navi della marina militare? Sono loro ad aver raccolto i morti dell’ultimo naufragio. Le navi ci passano davanti ma non si possono riprendere per questioni di sicurezza. L’operazione alla quale assistiamo praticamente in diretta (elaborata dagli stati maggiori e anticipata dalla agenzia AdnKronos) si dovrebbe chiamare “Mare sicuro”: quattro navi, tra cui unità dotate di attrezzature sanitarie ed elicotteri, aerei senza pilota Predator dell’Aeronautica. Circa un migliaio di militari italiani saranno impiegati per contrastare la minaccia jihadista nel Mediterraneo. Fermeranno anche gli sciacalli?
Dal primo novembre del 2014 Mare Nostrum non c’è più. È una missione archiviata. Copriva 400 miglia nautiche e aveva chiaramente come obiettivo la ricerca e il salvataggio in acque internazionali con un costo di 9,5 milioni di euro al mese (100 milioni complessivi a carico dell’Italia). Triton, la missione in vigore oggi, copre 30 miglia nautiche, l’obiettivo è il controllo della frontiera del Mediterraneo centrale e non più il soccorso umanitario. Costa soltanto 2,9 milioni di euro al mese: “Ma noi continuiamo a scendere fin sopra le coste libiche: anche a venti, trenta, quaranta miglia dalle coste africane. Il soccorso è soccorso, vale la legge del mare e quando la chiamata arriva, non ti giri dall’altra parte”. La Dattilo è stata l’unica nave della Guardia Costiera inserita nel dispositivo di Mare Nostrum: 10 mila le persone salvate da 49 uomini in sei mesi.
Il ministro dell’Interno Angelino Alfano l’anno scorso si è battuto molto perché Mare Nostrum fosse archiviata: missione troppo costosa ma soprattutto impopolare per la destra al governo. Ma il suo bilancio è di quasi 170 mila migranti tratti in salvo, 366 gli scafisti arrestati. La fine di questa missione europea avrebbe dovuto produrre una diminuzione degli sbarchi e invece i dati dicono il contrario: a gennaio e febbraio 2015 gli arrivi via mare superano quelli di gennaio e febbraio dello scorso anno. Con l’acuirsi delle crisi in nord Africa la gente continua a partire e l’estate, quando si muovono più barconi, è alle porte. C’è chi annuncia 500mila o un milione di persone pronte a salpare dai porti libici (Frontex). Chi invita alla cautela nel dare numeri approssimativi (le organizzazioni on governative). Lo sciacallo ha già recuperato un po’ di barconi in vista del business alle porte.
Valentina Petrini*, il Fatto Quotidiano 22/3/2015
*inviata di Piazzapulita, ogni lunedì su La7