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 2015  marzo 22 Domenica calendario

IL FACILE TIFO PER CHI VINCE E LA DIGNITÀ CALPESTATA

Dal bello al brutto. Bello schierare due formazioni come si usava una volta, con i ruoli assegnati a caso tranne che per Pasolini, legato alla maglia numero 7. Prima formazione: London; Sereni, Soldati; Brera, Mailer, Buzzati; Galeano, Raboni, Hemingway, Arpino, Soriano. Seconda formazione: Saba; Pratolini, Cucchi; DeLillo, Sanguineti, Giudici; Pasolini, P. Roth, Sillitoe, Malamud, Echenoz. Leggo sul Manifesto di ieri che Donatello Santarone, critico letterario e docente di comparatistica a Roma, ha curato un’antologia di scritti sullo sport scegliendo per titolo un verso di Saba: «Trepido seguo il vostro gioco» (ed. Zanichelli, 250 pagine, 12,50 euro). Antologia che segnalo ai lettori. Non senza aver riportato una riflessione di Eduardo Galeano: «La storia del calcio è un triste viaggio dal piacere al dovere. A mano a mano che lo sport si è fatto industria, è andato perdendo la bellezza che nasce dall’allegria di giocare per giocare. Oggi il calcio professionistico condanna ciò che è inutile, ed è inutile ciò che non rende. Per fortuna appare ancora sui campi di gioco, sia pure molto di rado, qualche sfacciato con la faccia sporca che esce dallo spartito e commette lo sproposito di mettere a sedere tutta la squadra avversaria, l’arbitro e il pubblico delle tribune, per il puro piacere del corpo che si lancia verso l’avventura proibita della libertà». Evviva e amen.
Brutto quel che è accaduto dopo Roma-Fiorentina, giovedì. Non è una novità per i nostri campi, è solo una squallidissima replica. Cambia lo sfondo, cambiano i colori delle maglie e delle sciarpe. Non cambia la sostanza: i reprobi a capo chino sotto la curva, processati da loro tifosi autonominatisi giudici e custodi dell’onore. Parola troppo impegnativa e fuorviante, basterebbe sostituirla con dignità. Ma senza invocare, dico alle curve in genere, onore e dignità quando si è i primi a camminarci sopra. Non c’è dignità in quel rito tribale da secoli bui, nel minacciare mazzate e visite casa per casa se la Lazio vincesse il derby. Se il tifo è una forma d’amore, oltre che una malattia, non è un bell’amore quello che scorta, accarezza e sostiene finché le cose vanno bene (cioè finché si vince) e abbandona, colpisce e insulta quando non si vince più. I primi a ribellarsi a queste usanze barbare dovrebbero essere i giocatori, avessero un’intelligenza collettiva. Ma sono stati loro i primi a santificare la curva, andandoci sotto a festeggiare e a lanciare maglie e baci, come se lì fosse l’anima dello stadio, lì il tifo che veramente conta, e non una sorta di cane che scodinzola quando si vince e azzanna quando si perde. Basterebbe salutare dal centro del campo, come si fa quasi dappertutto, ossia in tutti gli stadi dove non sono le curve a dettar legge, come disse anni fa Capello, e aveva ragione. S’è visto a Dortmund, si vede sui campi inglesi, e infatti Cole era il più indignato, giovedì sera.
Chi ha detto ai giocatori di andare sotto la curva? Non si sa. Bocche chiuse. Ci ha messo la faccia, invecchiata di tre anni in tre mesi, Sabatini. Da Repubblica: “Il ds ha dovuto affrontare una marmaglia che ruggiva contro gli acquisti frettolosi («Doumbia è una pippa») e chiedeva «campioni, non ragazzini». Il ds ha ribattuto: «E aiutatela questa c...o di squadra»”. Non ho dubbi: 7 a Sabatini perché ci ha messo la faccia, in una società in cui molti sono restii a farlo, e per la sintesi. Ho un dubbio: pippa si può scrivere, evidentemente il termine è stato sdoganato. C...o no, a meno che non faccia parte di un’intercettazione telefonica. Urgono istruzioni di lessico senza nuvole. Ma è ben strana la vita: si contesta una squadra che è, pur declinante, al secondo posto. Come si contesta Benitez a Napoli. Nel festival dell’assurdo, su tutti i quotidiani di ieri le indiscrezioni su chi prenderebbe il posto di Garcia e Sabatini in caso di taglio o partenza volontaria: Mazzarri e Branca. Fatti fuori su massicce pressioni dei tifosi dell’Inter.
Sempre sui tifosi, interessante spunto su Sw. Il Legia Varsavia, che ha tifosi alquanto turbolenti, ha varato un programma di fidelizzazione chiamato, pensa un po’, Legiony. Più partite si vedono (pagando il biglietto, si osa sperare) più si accumulano punti che fanno grado nella scala gerarchica della curva. Chi passa da soldato semplice a sergente, a capitano, massimo dei gradi colonnello, ha diritto a privilegi. Un colonnello, per esempio, può partecipare alla riunione tecnica della squadra, può stare nel tunnel prima della partita e dare il cinque ai giocatori, può chiedere che i suoi figli entrino in campo con la squadra o, addirittura, passare la notte nello stadio illuminato in esclusiva per lui. Dichiarazione del presidente Boguslaw Lesnoodorski: «Vogliamo che i nostri sostenitori abbiano la possibilità di ottenere qualcosa che non può essere comprato». A parte che può essere comprato, pagando il biglietto, a parte che l’idea non è nuova (3), condivido le perplessità di Sw: che ne pensa l’Uefa?
Gianni Mura, la Repubblica 22/3/2015