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 2015  marzo 22 Domenica calendario

MA NELLA MILANO DEL BAR ORESTE SPLENDEVA IL SOLE

Se non vado errato siamo rimasti solo in quattro, testimoni viventi dei mirabili eventi che hanno portato alla nascita di Linus: Anna Maria Gandini, Bruno Cavallone, Vittorio Spinazzola ed io. Allora credevamo solo di divertirci e, leggendo anche il bel libro di Paolo Interdonato, (che dice tutto, veramente tutto, sulla storia di Linus), mi accorgo che stavamo facendo storia. Storia minore, certo, ma indubbiamente Linus ha contato molto per più di una generazione. Ricordo solo il mio disappunto quando avevo cercato di avere i diritti per Charlie Brown da pubblicare presso la Bompiani, e invece Giovanni Gandini mi aveva detto che li aveva già ottenuti lui. Poco male, e la soddisfazione ha vinto il disappunto: mi interessava più che Charlie Brown apparisse in italiano che non che apparisse presso l’editore per cui lavoravo. E così ho scritto la prefazione, credendo di dire cose scontate e invece trent’anni la New York Review of Books ha voluto pubblicare quel saggetto come se fosse una inedita riscoperta di Schulz. Nemo profeta in patria, si vede. Eppure avevo appreso proprio da saggisti americani che i fumetti dovevano essere considerati con attenzione critica. Di quei tempi ricordo con nostalgia le serate passate al bar Oreste di piazza Mirabello (che poi nel mio Pendolo di Foucault ho fatto diventare il bar Pilade sui Navigli). Gandini ci portava tanti suoi amici, tra i quali ricordo (dati i recenti eventi) Wolinski (mi aveva regalato una mia caricatura, che ho riscoperto con commozione proprio nei giorni del massacro a Charlie Hebdo). Ma venivano anche Topor, Copi e altri. Il bar Oreste era una sorta di osteria galattica alla Star Wars, dove apparivano sessantottini, giornalisti rappresentanti del sistema ormai in eschimo, belle ragazze che battevano soavemente il pube contro il flipper senza farlo andare in tilt, e un venditore di cravatte che tutti riconoscevano come una spia della polizia.
Gandini era un vulcano di idee e trascinava tutti. Tutti ha trascinato, non solo nell’impresa Linus ma sino all’esperimento gloriosamente fallimentare del Giornalone , e scopriva a mano a mano, dopo Pogo Possum, Krazy Kat, Li’l Abner e sodali, anche Crepax, Girighiz, Pratt e altri.
L’ultima volta che ho visto Giovanni, a Venezia, non riusciva quasi più a parlare e risolveva rebus e parole crociate, intrattenendosi sui più difficili. Forse, se avesse avuto tempo, avrebbe fondato una rivista di enigmistica autre. Come sarebbe stata poteva dirlo solo lui, e ha portato il suo segreto con sé.
Ranieri Carano traduceva quasi tutto, Vittorini e del Buono davano inizio a una lettura colta del fumetto classico (e Vittorini lo aveva fatto sin dai tempi del Politecnico), Franco Cavallone, con le sue orecchie da personaggio di Walt Disney, ricreava Charlie Brown in un italiano schulziano. Poi, dopo la pubblicazione americana del mio saggio, ho incontrato a Parigi Schulz che, come prima domanda, mi ha domandato “Che cosa pensa di Gesù Cristo?”, segno che non avevo sbagliato a leggere i suoi fumetti come un testo che manifestava qualche preoccupazione (come dire?) spirituale.
Vecchi tempi, quando Snoopy rievocava una notte buia e tempestosa, ma per noi erano giorni solari. Rivisitarli è una gioia, oltre che un dovere. E un modo di ritrovarsi, oggi, tra superstiti.
(Dall’intervento tenuto in occasione del convegno organizzato dall’Università Statale di Milano sui “Cinquant’anni di Linus” il 5 marzo scorso)
Umberto Eco, la Repubblica 22/3/2015