VARIE 22/3/2015, 22 marzo 2015
APPUNTI PER GAZZETTA - PIRELLI AI CINESI
Pirelli, verso la chiusura
dell’operazione
che la porterà verso la Cina
Ufficialità prima dell’apertura dei mercati di lunedì mattina
REPUBBLICA,IT
MILANO - Ultime ore di lavoro sull’asse Milano-Mosca-Pechino per definire il riassetto di Pirelli. Tra la sera di domenica e lunedì mattina, prima che riapra Piazza Affari alle nove, dovrebbe essere ufficializzata la nuova catena di controllo dell’azienda degli Pneumatici. Il condizionale è ancora d’obbligo, perché l’operazione è assai complessa, ma non si pensa di andare oltre la giornata di lunedì. Entro la ripresa degli scambi si avrà dunque l’ingresso di China National Chemical Corporation.
A seguire, ciò determinerà il delisting dell’attuale Pirelli, che potrebbe poi tornare ad essere quotata, privata però della parte che si occupa dei pneumatici industriali che sarebbero fusi in una nuova società mista con Aeolus di ChemChina.
La prima mossa dell’operazione prevede la vendita del 26% di Pirelli oggi in mano alla Camfin (he è controllata alla pari dalla cordata italiana messa in fila da Tronchetti provera, con Intesa e Unicredit, e dai russi di Rosneft) a una nuova società. Questa verserà 1,90 miliardi alla Camfin per il pacchetto azionario; i soci ne reinvestiranno 665 milioni nella stessa nuova società, dove invece i cinesi di ChemChina metteranno 1,235 miliardi. Il rapporto di forza nella nuova scatola dovrebbe essere quindi di 2 a 1 circa in favore dei cinesi.
A quel punto, sempre a 15 euro per azione, si lancerà l’Opa per delistare la Pirelli. Perché ciò avvenga automaticamente servirebbe il 95% di adesioni, ma c’è chi può far valere il veto: è l’imprenditore ligure Vittorio Malacalza, che con il 7% di azioni (in proprietà diretta dopo il burrascoso cioglimento degli accordi con Tronchetti Provera), che potrebbe non aderire. La via per la nuova società di cinesi, italiani e russi sarebbe allora di rastrellare almeno il 67% del capitale, per poi procedere a una fusione di Pirelli nella newco non quotata e ottenere di fatto il delisting. Alla fine, l’accordo sarebbe di permettere ai soci italiani e russi di salire fino al 49%, mantenendo però i cinesi al 51%.
Proprio sui patti tra nuovi soci si lavora alacremente nelle ultime ore di questa complessa operazione. Stando alle ultime indiscrezioni, gli accordi si baserebbero su tre condizioni imprescindibili a difesa dell’italianità del gruppo: ricerca e tecnologia e la sede, sia fiscale sia legale, rimarranno in Italia, con Tronchetti Provera che rimarrà al comando fino al 2021.
GIOVANNI PONS SU REPUBBLICA.IT (ex Rep)
MILANO. Il simbolo della Milano industriale venduto ai cinesi. Non sarà facile ammettere, per i milanesi doc, che il colosso China National Chemical Corporation a breve avrà la maggioranza di una scatola finanziaria che controllerà il gruppo Pirelli, fondato nel 1872 dall’ingegner Giovan Battista con uno stabilimento per la produzione di articoli di gomma.
Ma così ha deciso Marco Tronchetti Provera, dominus incontrastato in azienda fin dal 1991, quando raccolse il testimone dal suocero Leopoldo Pirelli, fattosi da parte in seguito alla fallita scalata alla tedesca Continental. Tronchetti Provera è fin da subito manager ma anche azionista di rilievo e grazie a questa peculiarità è riuscito a rimanere al timone del gruppo per 24 anni, attraverso alterne vicende finanziarie e industriali. La più clamorosa è stata quella che ha portato la Pirelli nel 2001 a comprare il controllo di Telecom Italia, un’azienda cinque volte più grande che ha rischiato di far collassare anche il gruppo famoso nel mondo per gli pneumatici.
Ma a parte questa parentesi in acquisto durata sei anni e finita con una perdita per gli azionisti Pirelli pari a 3,2 miliardi di euro, la storia imprenditoriale di Tronchetti è fondata su buona gestione ordinaria e progressiva vendita dei pezzi industriali più pregiati. Per rimettere in sesto la Bicocca all’inizio degli anni Novanta decise la cessione dei cosiddetti "pro. di.", i prodotti diversificati (palle da tennis, gommoni, guanti, scarpe) che portarono nelle casse della Pirelli circa mille miliardi di lire e consentirono di ridurre i 3.700 miliardi di debiti rimasti in eredità.
Così come nel 2004 Tronchetti non esitò a cedere lo storico business dei cavi che nel 2000 era arrivato a contare per il 61% del fatturato totale, per finanziare l’aumento di capitale necessario a sostenere la fusione tra Telecom e Tim. In quel frangente scelse di tenersi gli immobili, la Pirelli real estate affidata a Carlo Puri Negri, figlio di Maddalena Pirelli, spinti ai massimi dalla bolla immobiliare. Ma anche questi sono finiti nella lista delle cessioni dolorose, una volta scoppiata la crisi finanziaria, e ancora oggi sono fonte di problemi per il gruppo.
Uscito malconcio dall’avventura Telecom il manager Tronchetti ha però saputo ritagliarsi una nuova fase di crescita in Pirelli, riuscendo a cavalcare lo sviluppo dei mercati emergenti grandi utilizzatori di auto, camion e pneumatici. Ma i debiti accumulati ai piani alti della catena societaria lo hanno costretto a più riprese a ristrutturare e a cercare soci dalle spalle forti. Il primo matrimonio con la famiglia genovese Malacalza è finito a carte bollate, quello più istituzionale con il fondo Clessidra è durato poco grazie al positivo andamento del titolo e quello con i russi di Rosneft rischiava una brusca caduta a causa delle recenti vicissitudini sulle sanzioni Ue per l’invasione Ucraina e il crollo del rublo.
Adesso Tronchetti ha deciso che è giunto il momento di vendere un altro gioiello di famiglia, i "truck", pneumatici pesanti che contribuiscono per un quarto dei ricavi e hanno raggiunto leadership di mercato in Sudamerica e Medio Oriente. Ma non fa un’asta e non cerca il migliore offerente, pur essendo in tanti ad aver bussato alla sua porta, dagli indiani ai cinesi. Li vende a quegli investitori che gli garantiscono la migliore "governance", a coloro che permettono al management da lui guidato di restare in sella e spuntare buone condizioni di uscita in futuro.
Sembra che nei patti parasociali, non ancora noti, sia garantita la permanenza della sede a Milano e della ricerca & sviluppo in Italia. Buone cose sicuramente, ma è altrettanto evidente che al termine del quinquennio Tronchetti, che non ha figli che lavorano in Pirelli, si farà da parte monetizzando la parte restante del suo investimento. E il simbolo della rinascita industriale di Milano, quella rappresentata dal grattacielo di Giò Ponti, rimarrà appannaggio di soci russi e cinesi o di chi subentrerà a loro. A Palazzo Chigi non si scandalizzano, è la conseguenza della globalizzazione e l’importante è che l’anima e gli investimenti in tecnologia rimangano sul suolo italiano. Ma se il Tronchetti imprenditore liberista avesse chiesto il supporto del Fondo strategico italiano, nato apposta per sostenere grandi imprese del made in Italy, forse non gli avrebbero risposto di no.
ILSOLE24ORE.IT
È un pezzo pregiato quello su cui hanno messo gli occhi i cinesi. È un pezzo pregiato di quell’Italia multinazionale che si è conquistata, non da ieri, spazi di crescita sui mercati esteri. La Pirelli - finita l’avventura non certo felice in Telecom Italia - e tornata al suo vecchio mestiere di produttore mondiale di pneumatici non ha smesso di inanellare record su record. Pur nel pieno della più grave crisi finanziaria del Dopoguerra.
Ricavi su del 50% dal 2009
Dal 2009 al 2014, la società della Bicocca ha visto salire del 50% il suo fatturato. Era di 4 miliardi nel pieno della crisi finanziaria mondiale, oggi i ricavi sono a quota 6 miliardi. Una crescita dovuta in massima parte al buon ritmo della domanda sui mercati emergenti. Del resto Pirelli guardando ai dati di vendita non è mai stata “davvero” italiana.
Il mercato domestico assorbe poco oggi poco più del 5% del fatturato, mentre nel 2009 valeva oltre il 10%. A compensare il minor dinamismo sul mercato interno ci ha pensato la crescita oltre frontiera. Più di un terzo dei ricavi viene strutturalmente dal Sudamerica; Asia e Usa insieme compongono un altro terzo del giro d’affari della Pirelli. Ma si può crescere quanto a giro d’affari a scapito della redditività. Non è stato così per la multinazionale dei pneumatici. La profittabilità industriale è salita a un ritmo superiore alla crescita del fatturato.
Redditività industriale al raddoppio
Il margine operativo lordo viaggia a fine 2014 al 19% delle vendite. Valeva poco più dell’11% a fine del 2009. Ancora più sostenuta la marcia del margine operativo netto salito da 261 milioni del 2009 ai 750 milioni del 2013. E del resto la buona salute del colosso degli pneumatici è nelle cifre dei profitti netti.
Oltre 1,1 miliardi di utili netti cumulati
Dal 2009 al 2013 Pirelli ha cumulato utili netti per oltre 1,1 miliardi. E all’appello manca il 2014 con il consenso di mercato che stima altri 370 milioni da aggiungere al ricco paniere. E la corsa della redditività è stata ottenuta con una struttura patrimoniale mantenuta in sostanziale equilibrio. Anzi in miglioramento. La posizione finanziaria netta è passiva per 980 milioni, ma era di ben 1,3 miliardi a fine del 2013.
Capitale due volte i debiti
Debiti in calo con un patrimonio netto che vale oltre 2,4 miliardi e quindi con un rapporto che vale oltre 2 volte i debiti finanziari netti. Il mercato ha accompagnato il buon trend dei fondamentali economici. Il titolo Pirelli oggi è ai massimi storici allineato ai valori dell’imminente Opa a 15 euro. Ma la corsa del titolo viene da lontano e di fatto ha rispecchiato la corsa degli utili. Il titolo ha cominciato a volare su scambi raddoppiati dal 10 marzo quando valeva poco sotto i 14 euro. C’era profumo di riassetto in vista.
Valore delle azioni triplicato
Ma escludendo l’operazione attuale, Pirelli è volata in Borsa negli ultimi 5 anni triplicando il valore delle azioni. E ora con l’Opa il guadagno per gli azionisti di lunga data di Pirelli vale il 200% del loro investimento ai prezzi di inizio 2010. Ovvio che vista così per i cinesi di ChemCina è un’occasione. O meglio investono ai massimi storici di Borsa ma sanno che comprano una società solida e soprattutto molto redditizia.
Negli ultimi la crescita della redditività di Pirelli è stata doppia rispetto a Michelin e superiore a Continental. Gli analisti di Credit Suisse si aspettano che nei prossimi anni quella crescita della redditività operativa rallenti per tutto il settore europeo, ma Pirelli dovrebbe mantenere un ritmo superiore ai diretti concorrenti. Si vedrà. Sta di fatto che ChemChina non ha guardato a caso, ma pare aver scelto la preda migliore su piazza.
ANTONELLA OLIVIERI
Il D-Day di ChemChina su Pirelli è iniziato con riunioni tecniche in vista del Cda di Camfin. Oggi infatti è prevista la chiusura delle trattative per il passaggio del controllo da Camfin, che ha 26,19% della Bicocca, alla Newco che avrà il colosso chimico cinese come socio di maggioranza e che lancerà un’Opa totalitaria per ritirare da Piazza Affari Pirelli. Da quanto emerge Marco Tronchetti Provera resterà alla guida del Gruppo fino al 2021 ed il cuore dell’azienda resterà in Italia.
E i sindacati alzano le barricate. “Evitare che l’Italia diventi un discount”, “Impressionante il silenzio del Governo”. Sono queste le prime reazioni di Uil, Cisl e Cgil di fronte all’acquisizione.
Secondo quanto riportato dal Sole 24 Ore di oggi, il numero uno della Bicocca e gli investitori cinesi hanno messo a punto un piano secondo il quale rimarrà in Italia la sede, il settore ricerca e sviluppo e il management.