Vittorio Carlini, Il Sole 24 Ore 21/3/2015, 21 marzo 2015
PIAZZA AFFARI, SALE IL FLASH TRADING
Piazza Affari è sempre più flash. Nel senso del flash trading. Per la Consob infatti, nei primi due mesi dell’anno, gli investitori ad alta frequenza vantano una quota sugli scambi delle azioni del Ftse Mib del 30,1%. Cioè, in rialzo rispetto al valore complessivo del 2014 che si è assestato al 27,17%. Certo, può obiettarsi che nel resto dell’Europa gli operatori flash «corrono» su percentuali maggiori. L’Esma, ad esempio, in un suo report ha indicato che gli scambi veloci arrivano fino al 43% del controvalore scambiato. Ciò detto, però, la dinamica di fondo è innegabile: gli High frequency trader (Hft) scoprono sempre di più il piacere di investire nel Belpaese. Potrebbe dirsi: è il segnale del maggiore appeal di Piazza Affari. La Borsa di Milano si adegua agli altri listini: non lamentiamoci! La realtà, a ben vedere, è differente. La presenza degli Hft ha spesso dato vita a diverse polemiche. In particolare, rispetto alla stabilità finanziaria. Non è un caso che, in giro per il mondo, le diverse commissioni di controllo e le società di gestione dei mercati hanno stretto le maglie regolamentari. Così, ad esempio, Borsa Italiana ha introdotto un meccanismo d’incremento delle commissioni a fronte della crescita delle proposte di negoziazione (Pdn) cancellate dal flash trader. Cioè: più Pdn immetti nel listino, senza chiudere il contratto, è più paghi.
Peraltro, non sono solamente le normative passate. La nuova MiFid II, che entrerà completamente in vigore dal 2017, prevede anch’essa diverse regole. Tutte finalizzare a dare maggiore stabilità al fenomeno. «Le società che operano ad altra frequenza - ricorda Anna Kunkl, partner di BeConsulting - dovranno, tra le altre cose, conservare la registrazione accurata degli ordini collocati ed eseguiti. Compresi, poi, quelli cancellati». Inoltre, saranno tenute a «mettere a disposizione questa documentazione alle autorità competenti». Il tutto, evidentemente, al fine di «potere avere un quadro corretto della situazione» e potere, eventualmente, intervenire.
Già, intervenire. Qui gli operatori di mercato, non solo quelli ultra-rapidi, potrebbero obiettare: il flash trading non deve essere demonizzato. Su diversi fronti, a ben vedere, agevolano gli scambi in Borsa. Un esempio? È presto detto: la liquidità. Grazie infatti alla presenza degli High frequency trader, che per loro natura inseriscono migliaia di proposte al secondo, i book di negoziazione sono più «profondi». Cioè, è l’indicazione di molti, offrono la possibilità di concludere maggiori contratti.
L’argomentazione, in linea teorica, non fa una piega. E, però, la realtà è purtroppo un po’ differente. Diversi investitori, infatti, denunciano il fenomeno della cosiddetta «ghost liquidity», la liquidità fantasma. Accade cioè spesso che gli Hft, in un vero e proprio «lampo», decidano di ritirare le loro offerte dal mercato. La liquidità, insomma, in un attimo sparisce diventando, per l’appunto, fantasma. E questo non solo perché, ad esempio, si vuole realizzare una strategia più, o meno, lecita. Ma anche perché la loro stessa struttura glielo «impone». Il flash trader, infatti, tende ad avere un’esposizione netta pari allo zero. Il che, ovviamente, ha una sua logica: effettuando migliaia di operazioni al secondo, è giocoforza molto pericoloso rimanere con una posizione aperta dal controvalore elevato.
Ebbene, in un simile contesto, l’Hft non di rado decide di eliminare le sue Pdn per evitare eventuali rischi. Così facendo, però, «drena» liquidità in un micro-secondo, lasciando gli altri operatori con il classico cerino in mano.
Insomma, la stabilità dei mercati non è proprio al centro dei pensieri dei «flash boys». I quali, però, potrebbero ribattere: i flash crash, a ben vedere, sono diminuiti. Basta, quindi, con questa «persecuzione»!
Di nuovo, le cose sono in realtà differenti. A riprova di questo basta ricordare un interessante studio, realizzato un po’ di tempo fa, da Quant Lab. Cioè, la joint venture di ricerca tra la Scuola Normale Superiore di Pisa e List (società attiva nelle soluzioni per mercati elettronici).
Ebbene l’inchiesta, che ha passato ai raggi x dal 2001 al 2012 l’indice Russel 3000, è riuscita a rilevare un dato molto importante. Quale? È presto detto.
È ben vero che i singoli balzi sono diminuiti ma, nello stesso tempo, sono aumentati i flash crash multipli. Vale a dire, i micro-terremoti che coinvolgono contemporaneamente più azioni. In avvio di millennio, infatti, i «co-jump», con oltre 60 titoli, erano stati solo 9. Nel 2011, invece, hanno raggiunto quota 74 per, poi, diminuire un po’ nell’anno successivo (42). Al di là di quest’ultimo valore, la dinamica è comunque delineata: c’è stata la crescita del fenomeno che ha portato, dal 2001 al 2012, a ben 329 micro-terremoti. Salti sincroni che, a fronte del fatto che ogni anno sul Russel 3000 sono stati analizzati i 140 titoli più liquidi, coinvolgono una porzione molto ampia dell’operatività di Wall Street. Insomma, la tecnologia avanza e l’innovazione non può fermarsi. E, però, ricondurre la compra-vendita di titoli ad una gara di ultra-velocità è una scelta dannatamente sbagliata.
Vittorio Carlini, Il Sole 24 Ore 21/3/2015