Alberto Negri, Il Sole 24 Ore 21/3/2015, 21 marzo 2015
LE COLPE DELL’EUROPA PER IL CAOS DEL NORDAFRICA
La Tunisia chiama l’Europa e l’Europa risponde con fiammeggianti dichiarazioni di solidarietà. Vedremo quali fatti seguiranno alle parole pronunciate ieri che includono anche un’agitata preoccupazione per la Libia e la minaccia del Califfato. In Libia, informano i tunisini, sono stati addestrati due dei responsabili dell’attacco al Bardo, a dimostrazione che la rete jihadista non si ferma davanti alle loro porose frontiere. I terroristi vanno e vengono attraversando il deserto oppure utilizzano gli ancora più comodi passaggi lungo la costa.
Sigillare le frontiere, di terra e di mare, non è per niente semplice, forse è impossibile, ma su questo aspetto l’Unione europea potrebbe dare una mano, con mezzi, intelligence e addestramento, alle autorità di Tunisi. C’è da augurarsi che questa volta la missione sia più efficace delle disastrose iniziative Onu ed europee per il controllo delle frontiere libiche i cui responsabili soggiornavano perennemente in un hotel su lungomare di Tripoli. Mandare in giro per l’Africa azzimati funzionari di Bruxelles e dell’Onu che marciano su fuoristrada luccicanti è una specialità occidentale. Serve a tranquillizzare i benpensanti del Nord Europa, alle mance degli autisti, ma sono inefficaci.
L’aspetto più disarmante delle dichiarazioni europee è quasi sempre l’ipocrisia. Sono state le potenze europee, Francia e Gran Bretagna, con il benestare degli americani e della Lega Araba, a bombardare Gheddafi nel 2011, a innescare il disastro e poi a defilarsi quando le cose si sono messe male. La Tunisia porta la responsabilità di non avere frenato a sufficienza i suoi jihadisti e salafiti, accorsi a combattere in Siria, Iraq e Libia, ma paga un alto prezzo per la guerra in corso: in Tunisia è arrivato un milione di profughi libici.
Se quindi l’Europa spende qualche soldo per l’economia e la sicurezza dei tunisini (e quindi anche per la sua) non fa altro che riparare ai danni provocati. I colpevoli per altro non sono soltanto francesi e inglesi ma anche gli italiani, che poi parteciparono ai raid, e i tedeschi che si tirarono fuori dalla vicenda libica come se quello che avviene nel Mediterraneo, alle nostre ma anche alle loro frontiere, non debba riguardarli. La Germania in un certo senso è un esempio di quanto la politica estera e di difesa europea non serva a nulla quando le cose si fanno serie. Ma a volte è meglio non fare che nutrire ambizioni di inutile grandeur.
Gli europei in Libia e in Nordafrica di colpe ne hanno molte, soprattutto di negligenza politica. L’attuale guerra civile non era un esito scontato: nel 2012 l’ex Libia era riuscita a svolgere elezioni libere e pacifiche che avevano eletto un Parlamento nazionale meno influenzato dall’Islam politico rispetto alla stessa Tunisia e all’Egitto. Ma l’Europa tracheggiava e neppure i Fratelli Musulmani riuscivano a capire perché l’Italia, Paese di cui si fidavano a differenza della Francia e della Gran Bretagna, non guidasse una missione per la ricostruzione del Paese. La nostra diplomazia, che molto lavorava per tenere aperto il dialogo tra le fazioni, ne è testimone. Gli europei di solito perdono più tempo a farsi le scarpe tra loro che a risolvere i problemi. Ed è quanto accaduto in Libia quando inglesi e francesi si sono accorti che gli italiani non erano affatto odiati dalla popolazione. Gli europei hanno perso lo spirito di squadra che si ravviva o viene esacerbato quando intravedono qualche utile di ritorno da spartirsi.
Alla mediazione dell’Onu da tempo è stata affidata la disperata impresa di trovare un accordo tra Tripoli e Tobruk. Ma dove sono gli europei? Lavorano dietro le quinte palleggiandosi le relazioni con gli Stati arabi, sponsor delle fazioni che litigano tra di loro. Ma forse avendo intuito un altro possibile fallimento si preparano a chiudere la porta e voltare la testa dall’altra parte.
Alberto Negri, Il Sole 24 Ore 21/3/2015