Adriano Sofri, la Repubblica 21/3/2015, 21 marzo 2015
I VERI CROCIATI
A febbraio era toccato al ministro Gentiloni, evocato da radio-califfato come “il ministro dell’Italia crociata”.
Due giorni fa l’ufficio propaganda del-l’Is ha profuso di croci il suo gaudio per gli inermi trucidati a Tunisi. Ne ha tracciata una rossa sulla cordiale fisionomia del pensionato novarese ammazzato mentre sedeva su un pullman, l’ha chiamato “crociato”, l’ha dichiarato schiacciato “dai leoni del monoteismo”: i due vigliacchi invasati. Anche gli altri bersagli, visitatori da mezzo mondo, li ha chiamati “cittadini di paesi crociati”. Prima di prendere sul serio la genealogia dei loro epiteti, occorre dire che “crociato” è per loro sinonimo, nemmeno di cristiano, ma di nemico, e di un nemico il cui stato di servizio combattente coincide con la mera esistenza in vita: quella che gli permette di lavorare al municipio di Torino, di imbarcarsi in una gita sociale, di fare il giardiniere a Tokyo o il vigile a Parigi. Loro possono e vogliono ammazzare chiunque, disegnargli una croce sopra e chiamarlo crociato. La seconda avvertenza preliminare riguarda la nostra premura per la memoria, che ci fa curare e visitare i musei e ci sconsiglia di derivare i nostri diritti e le nostre pretese d’oggi dalle pietre variamente sacre dell’altroieri.
La nostra Gerusalemme è di tutti, sempre rinviata e liberata una volta per tutte, da quando abbiamo sottoscritto la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e della donna. Noi commemoriamo la Prima Guerra Mondiale mescolati, a Redipuglia, italiani e austriaci. (Loro non lo sanno, ma stanno facendosi la loro lunga guerra civile, analoga alla nostra tra il 1914 e il 1945, e ne potranno uscire, ne potremo, solo con qualcosa che somigli nel Vicino Oriente all’utopia della federazione europea). Noi siamo seri e ironici, abbiamo fatto la prima crociata e anche la terza — e abbiamo smesso. Non abbiamo territori che ci siano stati assegnati in eterno da Dio, e se finalmente andremo a fermare i loro coltelli da macelleria sarà perché una legge uguale per tutti vieta i genocidi, oltre a renderli umanamente insopportabili. Questi siamo, o dovremmo essere, “noi”. Dopo di che siamo stupidi. Disputiamo perfino se il bersaglio degli assassini fosse il parlamento tunisino, o i turisti stranieri, o specialmente gli italiani. A Tunisi, lo scorso 8 marzo, in un teatro pubblico una colorata compagnia di donne tunisine, artiste, parlamentari, militanti dei diritti, la signora ministro della cultura, hanno messo in scena con Emma Bonino e Serena Dandini “Ferite a morte”. Basterebbe a dire perché tenere alla Tunisia.
Crociati? Dalla Siria, dall’Iraq, dalla Libia, dalla Nigeria, dal Pakistan… si muovono appelli estenuati di cristiani — “assiri”, “caldei”, “copti”, cattolici, evangelisti… — massacrati, cacciati, schiavizzati, le chiese profanate e distrutte. Si vuole nascondere la persecuzione dei cristiani, si è sfogato Francesco. Il genocidio infierisce su minoranze (ma di centinaia di migliaia) come gli yazidi, e la carneficina ininterrotta decima la popolazione musulmana, con o senza pretesti settari di sunna e shia. Divincolandosi dalle proprie prudenze la Chiesa cattolica chiede che una forza legittima fermi le stragi: lo chiede in nome dell’unico Dio, non del proprio, aborre dalla crociata. Oriana Fallaci, di spirito profetico invasa, se la prese con Giovanni Paolo II: «È vero che tempo fa Lei chiese ai figli di Allah di perdonare le Crociate fatte dai Suoi predecessori per riprendersi il Santo Sepolcro? Boh! Ma loro Le hanno mai chiesto scusa per il fatto di esserselo ripreso?» (Credo che il papa avesse chiesto perdono ai confratelli ortodossi per le violenze dei crociati dirottati nel 1204 su Costantinopoli).
Alla forza legittima Francesco fa appello sempre più angosciosamente — e smettendo, forse, quella postilla, “Ma non con le bombe, eh!”: senza le bombe dei raid americani e francesi, yazidi e cristiani assiri sarebbero finiti tutti nella rete del Califfato l’estate scorsa; e oggi i giovani cristiani superstiti vanno a battersi con armi irrisorie. È messo a prova, il papa: è durissimo porgere la seconda guancia altrui. Noi abbiamo in orrore le guerre sante, quelle che “Dio lo vuole”, e però telefoniamo a Radio 3, e consideriamo la polizia internazionale un pleonasmo ipocrita per dire guerra. La polizia internazionale non ha a che fare con Dio. C’è una sfasatura di parecchi secoli fra le crociate e la jihad del nuovo califfato. Noi alle crociate abbiamo tolto il nervo e le abbiamo ridotte all’accezione domestica, la crociata contro il fumo, contro il traffico. I fanatici della jihad sono rimasti là, e là vorrebbero riportarci: loro il califfato, noi i crociati. L’occidente usa la parola, ogni tanto, distrattamente. All’indomani dell’11 settembre a George W. Bush scappò detto (quante cose scapparono a Bush) che «questa crociata, questa guerra al terrorismo è a una svolta». Bin Laden replicò incitando da Al Jazeera alla guerra «contro i crociati americani » e chiamò Bush «il primo crociato sotto la bandiera della Croce».
L’“invenzione delle crociate” è avvenuta più volte. I musulmani di allora descrissero i crociati come i crociati descrissero loro: dei barbari sanguinari. Alla fine, la classica Storia delle crociate di Steven Runciman le dichiarò «un lungo atto di intolleranza compiuto nel nome di Dio», «le ultime invasioni barbariche». C’era dell’ottimismo.
I nazijihadisti del Califfato tradiscono ignobilmente quei musulmani per i quali jihad vuol dire solo una lotta per migliorare se stessi, qualcosa di intimo come una conversione permanente. La loro è la più infame delle crociate — se si può rovesciar loro addosso il nome, visto il piacere col quale si dedicano alle pubbliche crocifissioni. Hanno ordinato a qualunque frustrato o esaltato di fare strage di inermi, cioè di crociati, regalando agli assassini la gloria dei cieli. Gli inermi subiscono, pensionati di Novara, impiegate di Torino, giardinieri giapponesi, donne delle pulizie tunisine, si accucciano sotto i mosaici, scappano spaventati e affannati lungo le scale, ripresi e rimandati impudicamente un milione di volte sugli schermi del mondo. Cambieranno rotta alle vacanze, poi non andranno più in vacanza, poi… Fino a quando? Gli inermi, cristiani o no, hanno usato, in Italia e nel resto d’Europa (non in Bosnia e nella ex-Jugoslavia, non nel Caucaso, non in Ucraina…) un lungo dopoguerra per addestrarsi ad aborrire la guerra e persuadersi di poterne star lontani. Erano in una crociera, non in una crociata. Si stancheranno degli agguati vigliacchi. Chiederanno il numero di telefono della polizia.
Adriano Sofri, la Repubblica 21/3/2015