Anais Ginori, la Repubblica 21/3/2015, 21 marzo 2015
NELLA BANLIEUE DIMENTICATA ALLA VIGILIA DELLE ELEZIONI “QUI NON È CAMBIATO NULLA NON SIAMO UNA PRIORITÀ”
PARIGI
«Qui il fuoco è sempre acceso, qui non è Parigi». Mohammed Mechmache ha fondato l’associazione ACLefeu, che significa proprio “basta fuoco”. Insieme ad altri abitanti di banlieue milita per un cambiamento nei quartieri popolari, i ghetti della République, dove nel 2005 scoppiò la più violenta ed estesa rivolta urbana del paese. Ventuno notti di assalti alle forze dell’ordine in diverse città, 10mila auto incendiate, 3mila fermati, finché è calato il coprifuoco come ai tempi della guerra d’Algeria. Dieci anni passati invano. «Non è successo niente semplicemente perché non siamo una priorità», racconta Mechmache.
Da Clichy a Charlie. Ora che alcuni dei figli delle banlieue francesi si sono trasformati in nemici interni, con gli attentati parigini di gennaio, la Francia fatica a prendere atto della sconfitta. Il 27 ottobre 2005 tre ragazzi di Clichy si erano nascosti nella centrale elettrica Edf per sfuggire a un controllo di polizia. Bouna e Zyed sono morti fulminati sul colpo, Muhittin si è miracolosamente salvato. Solo questa settimana si è svolto il processo ai due poliziotti coinvolti nell’incidente che scatenò gli scontri. «Non è il processo alla polizia, né quello sulle rivolte delle banlieue, né quello sulla politica», ha avvertito in apertura il presidente del tribunale di Rennes, dove si è svolto per cinque giorni il dibattimento.
La sentenza è attesa il 18 maggio, una decisione che potrebbe infiammare di nuovo le banlieue. Dieci anni dopo, Clichy-sous-Bois è un cimitero di promesse e speranze. Il coraggioso sindaco socialista, Claude Dilain, che nel 2005 vegliò giorno e notte per pacificare la sua città, è morto qualche settimana fa. Domani i francesi votano per rinnovare i departements, l’equivalente delle nostre province. Il Front National potrebbe incassare l’ennesima vittoria simbolica, anche se il voto dovrebbe premiare molti candidati l’Ump che in questa tornata si è alleato con i centristi. Marine Le Pen forse riuscirà a strappare uno o due dipartimenti, ma soprattutto potrebbe ritrovarsi di nuovo al primo posto delle preferenze in termini assoluti.
È nel famigerato dipartimento ‘93, quello di Seine-Saint-Denis, dove c’è anche Clichy, che si misurerà non tanto il successo del Front National, quando il tracollo della sinistra francese. La provincia a Nord di Parigi è stata governata per quarant’anni dal partito comunista e dal 2008 è in mano ai socialisti. Questa volta l’esito è incerto, il voto potrebbe consegnare la maggioranza all’Ump e ai centristi. Nelle banlieue ci sarà un picco di astensione: quasi il 70% dei giovani non è andato alle urne nelle scorse elezioni. Le distese di torri e palazzi, con piazze immense che sembrano spuntare da un quadro di De Chirico, sono le terre in cui la politica francese sembra aver abdicato. L’unico cambiamento davvero evidente per chi torna dopo anni è lo skyline: tanti palazzi nuovi, costruiti al posto di grattacieli fatiscenti. A Clichy i ministri sono venuti solo per tagliare nastri: nel 2012 c’è stata l’inaugurazione del nuovo commissariato e l’anno scorso sono state aperte un’agenzia di collocamento e una nuova scuola media. Ma il quartiere di Chêne-Pointu, dove cominciarono gli scontri, è rimasto tale e quale.
Clichy rimane un’enclave perfettamente isolata. Dista solo quindici chilometri dal centro di Parigi ma per andare nella capitale si impiegano oltre due ore di trasporti pubblici. Un nuovo tram è in costruzione: sarà pronto, forse, nel 2018. Due terzi dei 30mila residenti hanno origini straniere, il 75% della popolazione è considerata indigente e vive di sussidi pubblici. S’incontrano donne velate, la sera le strade sono deserte. Quattro moschee, una sola chiesa. In questi dieci anni i vari indicatori statistici, dalla disoccupazione al livello di diplomati, al tasso di criminalità, sono rimasti invariati.
Didier Leschi, uno dei due prefetti del dipartimento più “caldo” di Francia, cerca di moderare il pessimismo: «Gli investimenti pubblici ci sono stati, ma un piano di rinnovamento urbano necessita di tempo». È nel ‘93 che la polizia ha subito cercato i fratelli Kouachi dopo l’attacco a Charlie Hebdo. Qui vicino, a Aulnay-sous-Bois, c’è l’uomo che ha accompagnato Hayat Boumedienne, la moglie di Amédy Coulibaly, in Siria. Si chiama Mehdi Belhoucine e prima di fuggire aveva un regolare contratto con il comune come bidello nelle scuole. Uno dei poliziotti uccisi dai Kouachi, Ahmed Merabet, è sepolto nel cimitero musulmano del dipartimento a Bobigny.
Dieci anni fa la Francia guardava questa banlieue con preoccupazione. Ora la banlieue osserva il Paese con immutata rabbia, mista a nuova indifferenza. Tanti giovani, troppi, si sono tenuti alla larga dalla manifestazione contro il terrore dell’11 gennaio. “Je ne suis pas Charlie” è diventato il modo pacifico di esprimere l’ennesima rivolta contro lo Stato. Gli attentati non hanno provocato un elettroshock tra i ragazzi della periferia, una presa di coscienza su cosa significa il terrorismo islamico. Anzi, le partenze di foreign fighters per la Siria sono aumentate. «Non c’è inversione di tendenza», osserva il prefetto Leschi.
Clichy è uno specchio che rimanda un’immagine che il paese si ostina a non vedere. Anche dopo gli attentati parigini il dibattito sulle cause sociali del terrorismo è stato liquidato con una parola a effetto, “apartheid”, usata da Manuel Valls. Il premier ha criticato il silenzio de l mondo culturale: «Dove sono gli intellettuali?», si è chiesto a proposito della scalata del Front National. Rapidamente però è calato una sorta di “coprifuoco mentale”, come ha scritto Le Monde , in nome di un simulacro di pace sociale. Fino al prossimo incendio.
Anais Ginori, la Repubblica 21/3/2015