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 2015  marzo 21 Sabato calendario

L’IMMAGINARIO PRESO A PUGNI E CALCI

In coper­tina viene incon­tro a chi tiene in mano que­sto libro in forma di albo, l’immagine in bian­coe­nero di Pier Paolo Paso­lini con la maglia della nazio­nale di cal­cio men­tre esce dal campo dopo una delle ultime, sap­piamo acca­ni­tis­sime, par­tite ama­to­riali e sull’erba intanto si pro­fi­lano, stam­pati a carat­teri di lapide, alcuni versi che Umberto Saba, lui invece ignaro del foot­ball, dedicò ai cal­cia­tori della Trie­stina sul prin­ci­pio degli anni trenta: infatti, nel segno di Paso­lini (che definì para­dos­sal­mente il cal­cio l’ultima sacra rap­pre­sen­ta­zione del nostro tempo) e con un verso di Saba mede­simo si inti­tola Tre­pido seguo il vostro gioco. Anto­lo­gia di sport e let­te­ra­tura (Zani­chelli, pp. 250, euro 12,50), una splen­dida sil­loge curata da Dona­tello San­ta­rone e indi­riz­zata sia agli stu­denti sia al pub­blico degli appas­sio­nati. San­ta­rone, docente di com­pa­ra­ti­stica a Roma e cri­tico let­te­ra­rio (basti pen­sare ai suoi annosi con­tri­buti su Franco For­tini), muove dalla con­sa­pe­vo­lezza che lo sport, qui e adesso, non solo è parte inte­grante dell’immaginario col­let­tivo ma è anche una pra­tica lin­gui­stica e/o uno scam­bio sim­bo­lico che ha saputo gene­rare una impo­nente letteratura.
Cam­pioni del modernismo

Ordi­nato per sezioni intro­dotte con pre­ci­sione tec­nica e lim­pi­dezza di lin­guag­gio (per­ché San­ta­rone non dà nulla per scon­tato e mira, sull’esempio gram­sciano, al senso comune del let­tore), suf­fra­gato da appa­rati infor­ma­tivi e biblio­gra­fici, infine arric­chito da una ico­no­gra­fia di rara ori­gi­na­lità (un fatto, que­sto, sor­pren­dente nella tra­san­data edi­to­ria di oggi), il volume è diviso in sei sezioni, la prima e l’ultima riguar­dano il cal­cio, le inter­me­die la boxe, il cicli­smo, la mara­tona e il base­ball: ciò signi­fica che l’antologista ha voluto incro­ciare il cri­te­rio sto­rico (per esem­pio la mara­tona quale sport antico per eccel­lenza) con quello geo­gra­fico (il base­ball quale pra­tica di un con­ti­nente ege­mone nel Nove­cento) esclu­dendo le disci­pline che pre­sen­tino una let­te­ra­tura più mar­gi­nale.
Non è un caso che la boxe tenga il campo con le pagine di alcuni cam­pioni del moder­ni­smo, da Jack Lon­don a Ernst Heming­way, i quali l’hanno intesa tanto una epo­pea del dar­wi­ni­smo sociale (dun­que come una pra­tica esclusiva/inclusiva del pro­le­ta­riato urbano nella società capi­ta­li­sta) quanto una vicenda di reden­zione raz­ziale, se è vero che il capo­la­voro di Nor­man Mai­ler, La sfida, un sedi­cente instant book dedi­cato all’incontro fra Ali e Fore­man, decreta il com­pi­mento della para­bola sto­rica del pugi­lato pro­prio nella notte in cui a Kin­shasa, nell’ex Congo belga ridi­ve­nuto Zaire, la négri­tude attinge la sua apo­teosi. Nem­meno è un caso che a un simile decorso si affian­chi nell’antologia quello del cicli­smo che in Ita­lia, il paese della riva­lità fra Coppi e Bar­tali, risulta la disci­plina più dome­stica e insieme l’arte della fatica nera, con le pagine di alcuni inviati d’eccezione al Giro (Dino Buz­zati, Vasco Pra­to­lini) e gli stralci dai libri più belli di chi fu un pio­niere e un mera­vi­glioso inven­tore della scrit­tura spor­tiva, Gianni Brera, fir­ma­ta­rio fra l’altro di una bio­gra­fia del Cam­pio­nis­simo, Coppi e il diavolo.
Un pro­blema di disciplina

Se al cimento asce­tico della mara­tona sono riser­vate le pagine di alcuni outsi­der (da Alan Sil­li­toe, il bardo pro­le­ta­rio di Not­tin­gham, a due fieri post­mo­der­ni­sti come Mura­kami Haruki e Jean Eche­noz), vice­versa pro­prio al base­ball va la palma della qua­lità let­te­ra­ria: è infatti nel paese-guida del neo­ca­pi­ta­li­smo che, da un lato, lo sport nazio­nale ha più com­piu­ta­mente per­meato l’immaginario col­let­tivo e, dall’altro, la let­te­ra­tura ne ha tra­sceso i dati nuda­mente tec­nici tra­sfor­man­dolo in alle­go­ria e palin­se­sto epico, come nei casi di Ber­nard Mala­mud (Il fuo­ri­classe), di Phi­lip Roth (Il Grande Romanzo Ame­ri­cano) e spe­cial­mente di Don DeLillo che, con Under­world, ha for­nito una delle grandi opere del nostro tempo, lad­dove una sem­plice pal­lina da base­ball, pas­sata di mano in mano, si sco­pre emblema della comu­nità nazio­nale e, nello stesso tempo, la trac­cia iti­ne­rante di una coe­si­stenza domi­nata dalla Guerra Fredda e di con­ti­nuo ricat­tata dalla paura ato­mica. Ma è appunto al cal­cio, né poteva essere altri­menti, che sono riser­vate le sezioni di cer­niera, l’una sulla disci­plina spor­tiva in sé, l’altra sullo spet­ta­colo pla­ne­ta­rio che da tempo sono dive­nuti i Mondiali.

Nella prima figu­rano le pagine cano­ni­che dei poeti (il già citato Saba delle Cin­que poe­sie sul gioco del cal­cio ma anche Vit­to­rio Sereni, Gio­vanni Giu­dici, Gio­vanni Raboni, Mau­ri­zio Cuc­chi e un Edoardo San­gui­neti tifoso del Genoa che non ci aspet­te­remmo), men­tre nella seconda, che è anche la sezione più aper­ta­mente cri­tica ed eti­mo­lo­gi­ca­mente poli­tica del volume, si intro­du­cono i pro­blemi della mer­ci­fi­ca­zione di que­sto sport, ad ogni suo livello, e del tifo come vera e pro­pria reli­gione media­tica. Scrive San­ta­rone, in pro­po­sito: «Un cal­cio che prende pro­gres­si­va­mente una dire­zione mer­can­tile. Ciò rischia di com­pro­met­tere in maniera defi­ni­tiva il carat­tere gio­coso e impre­ve­di­bile di que­sto sport. Le società dive­nute sem­pre più com­plessi finanziari-industriali; i cal­cia­tori pagati con sti­pendi da capo­giro, che ne fanno uomini in vetrina distanti anni luce dai pro­blemi di tutti; i diritti tele­vi­sivi, che inci­dono pesan­te­mente sui bilanci delle società; (…) lo stra­po­tere dei potenti del cal­cio mon­diale: tutto ciò, insieme alla spesso opaca pre­senza di ban­che, oli­gar­chi ed emiri di ogni risma, sta ridu­cendo il sistema-calcio a stru­mento per accu­mu­lare pro­fitti e pri­vi­legi, sem­pre meno legato al mondo degli appas­sio­nati e dei tifosi».
Un’industria glo­bale

Qui gli autori sele­zio­nati virano sul ver­sante di un’acre nostal­gia (è il caso di Mario Sol­dati che, set­tan­tenne, è inviato del Cor­riere della Sera ai Mon­diali di Spa­gna ’82 e rac­co­glie l’anno dopo le sue cro­na­che in ah! Il Mun­dial!) ovvero di un aperto sar­ca­smo, lo stesso che Gio­vanni Arpino devolve, con il romanzo Azzurro tene­bra, alla disfatta degli azzurri ai Mon­diali di Ger­ma­nia ’74. Ma le pagine più inven­tive e ispi­rate sono a firma di due fuo­ri­classe che i let­tori del mani­fe­sto cono­scono bene, l’indimenticabile Osvaldo Soriano (pre­sente con uno dei rac­conti più cele­bri, Il rigore più lungo del mondo) e Eduardo Galeano, colui che meglio di ogni altro sa resti­tuire l’epopea del foot­ball, i suoi anti­chi ricordi e i suoi attuali spet­tri, al tempo della globalizzazione.

Ha scritto Galeano nell’ormai clas­sico Splen­dori e mise­rie del gioco del cal­cio: «La sto­ria del cal­cio è un tri­ste viag­gio dal pia­cere al dovere. A mano a mano che lo sport si è fatto indu­stria, è andato per­dendo la bel­lezza che nasce dall’allegria di gio­care per gio­care. Oggi, il cal­cio pro­fes­sio­ni­stico con­danna ciò che è inu­tile, ed è inu­tile ciò che non rende. Per for­tuna appare ancora sui campi di gioco, sia pure molto di rado, qual­che sfac­ciato con la fac­cia sporca che esce dallo spar­tito e com­mette lo spro­po­sito di met­tere a sedere tutta la squa­dra avver­sa­ria, l’arbitro e il pub­blico delle tri­bune, per il puro pia­cere del corpo che si lan­cia verso l’avventura proi­bita della libertà». Non si potrebbe dirlo meglio né di meglio si potrebbe augu­rare a quanti dopo tutto lo gio­cano, lo amano e con­ti­nuano a leg­gerne le res gestae.