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 2015  marzo 21 Sabato calendario

CHARLIE

Undici tra giornalisti e disegnatori di Charlie Hebdo – tra i quali Luz, Patrick Pelloux e Laurent Léger – hanno costituito un collettivo per aprire negoziati con la direzione: vogliono passare da dipendenti ad azionisti paritari «per una ripartizione equa del capitale». I 30 milioni raccolti dopo la strage grazie alle vendite straordinarie e alle donazioni arrivate da tutto il mondo sono evidentemente difficili da gestire. Charlie Hebdo è detenuto al 40% dai genitori di Charb morto nella strage, per un altro 40% dal nuovo direttore Riss che fu ferito a una spalla, e il rimanente 20% è del direttore generale Eric Portheault. «Per il momento non siamo coinvolti in alcuna scelta del giornale – dice Patrick Pelloux, il 7 gennaio il primo ad arrivare sulla scena della strage –. Non abbiamo niente contro la direzione attuale, non c’è alcun conflitto, ma visto quel che è successo, i dipendenti chiedono un ruolo maggiore. Nel momento in cui un’impresa è decimata, ci si sente completamente legati ad essa. Non si tratta di dividere la torta, i soldi non ci interessano». L’avvocato della testata è amareggiato: «Prendiamo atto del desiderio dei dipendenti di essere associati alla vita del giornale, ma siamo molto lontani dalla riflessione sull’azionariato. Riss è ancora in ospedale, le parti di Charb sono bloccate dalla successione. Tutti questi soldi fanno più male che bene. Sembra uno di quei funerali dove al ritorno dal cimitero già si litiga per i gioielli della nonna». In un’email alla redazione Laurent Léger, il giornalista investigativo di Charlie Hebdo che si salvò nascondendosi sotto al tavolo della riunione, ha scritto che «abbiamo preso atto dell’impegno degli azionisti attuali a bloccare il denaro, ma più il controllo è diffuso e meglio è per tutti». Un altro disegnatore, che non fa parte del collettivo degli 11, ha rimproverato a Luz e gli altri di «parlare dei soldi di Charb quando i vermi non hanno ancora finito di mangiarselo».
Stefano Montefiori