Giorgio Terruzzi, Icon 20/3/2015, 20 marzo 2015
COME NASCE UN AMORE
Fotografie. Una sequenza. Protagonisti: Muhammad Ali e Belinda Boyd. Lui, 24 anni. Lei. 16. È il 1966 e siamo a Chicago. Sì. ma non basta. Tempo pochi istanti e l’osservazione dei fotogrammi determina la necessità di allungare la didascalia. C’è molto altro qui dentro. C’è, intanto, una storia da ascoltare. Raccontata dall’autore degli scatti. Thomas Hoepker: «Stavo realizzando un reportage su Ali, un lavoro iniziato a Londra e portato avanti a Chicago dove viveva. Lo accompagnavo da giorni, ovunque, collezionando una quantità di sorprese. Ali, si fermava per la strada, chiacchierava con tutti, non appena individuava dei bambini correva da loro, li abbracciava, si metteva a giocare. Andava pazzo per i bambini».
«Un giorno», continua il fotografo, «stavamo attraversando insieme la città dentro un’auto, il tragitto da casa sua alla palestra dove si allenava. Chiese di fare una sosta in una panetteria. Scese, per ritornare dopo alcuni minuti con un sacchetto di ciambelle appena sfornate. Non poteva mangiare dolci, stava preparandosi per un incontro, era a dieta. Divorò quei donuts piuttosto in fretta. E poco dopo decise di tornare di nuovo alla panetteria. Rimase lì dentro per un po’, quindi si ripresentò con altri dolciumi e ripartimmo. Quando ci ritrovammo per la terza volta di fronte allo stesso negozio cominciai a sospettare che lì dentro ci fosse qualcosa di strano. Così, entrai insieme a lui e capii immediatamente che Ali non era interessato ai dolci, ma alla figlia del panettiere. I due stavano flirtando. Scattai le fotografie. Lui vicino a me, lei dall’altra parte del bancone. Soltanto qualche anno più tardi scoprii che quella ragazza era diventata la sua seconda moglie. Si era trattato di un colpo di fortuna: avevo fissato sulla mia pellicola l’inizio di un amore».
Thomas Hoepker ha oggi 79 anni, è nato a Monaco, vive a New York, è membro della Magnum dal 1989. Il suo ritratto di Ali, con il pugno, chiuso e nudo in pieno fuoco, è più celebre di lui. Così invadente da oscurare altri scatti portentosi. Questi, per cominciare. Che non ritraggono semplicemente un grande pugile alle prese con la sua futura moglie. Ritraggono un ragazzo e una ragazza sul bordo di un trampolino. I brividi magnifici dell’amore al debutto, uno stato di grazia. Qualcosa che riguarda ciascuno di noi.
La grandezza di questa sequenza è fatta di dettagli delicatissimi e magnifici. La scena: linda, luminosa, brillante. Sembra preparata da un regista sensibile e attento. Una gamma di bianchi, a sgomberare il campo da ogni disturbo. Pareti, piani, persino un immaginario pavimento, come uno scrigno immacolato. È bianco, delicatissimo, addirittura infantile, l’abito della ragazza. È bianca, fresca, appena stirata, la camicia del ragazzo. Una superficie trasparente li divide. Pare una soglia. Prima, unica e ultima. Fornisce una distanza essenziale. Chiede di essere scavalcata da gesti ancora misurali, da parole scelte, dalla forza potentissima dei sorrisi.
Quei due, ecco, si sfiorano ma non si toccano, non ancora. Per farlo, forse domani, devono seguire un copione improvvisato, fragile, a rischio. Sanno perfettamente come procedere, sono i loro sguardi a dirlo, con una potenza romantica e struggente.
Amore al debutto, oh sì. Emozione da fremiti, mascherata da una battuta spiritosa, da un senso dell’umorismo provvidenziale.
La ragazza è consapevole. È certa della propria giovinezza, certa di piacere, di aver innescato la miccia. Il ragazzo è rilassato ma non del tutto, ha perso ogni sua spavalderia tipica, da ring. Avverte che questo combattimento vale molto, molto più di ogni altro, non può sbagliare una carezza, servono solo colpi buoni, anche se è forte, famoso, abituato a cavarsela ovunque. Ma è lei a tenere i fili, lei a giocare in casa.
Ha agganciato lo sguardo del suo uomo, lo trascina e lo trasporta in un mondo proprio. Parla, domanda, fa un passo e poi si ferma, aspetta, riparte. Due occhi come due fanali, sopra una strada spalancata all’improvviso, ma ampia, già propria. Guida, infatti, il suo passo è impeccabile. Ha tutto nelle mani, in un portamento da K.O. Sa benissimo dove sta viaggiando. Lui, dentro, a bordo, preso in pieno.
Sono accelerati i battili, misurati i gesti. È una mattina d’estate, un giorno che profuma di pane appena sfornato, di festa. Rumori da traffico, sempre più distanti, l’esatta percezione di un balzo ormai compiuto. Vuoto allo stomaco. Desideri che spuntano tra i ripiani del negozio come immagini di un film muto.
Gli istanti dell’innamoramento fissati su carta, carichi di una promessa reciproca, di una vaghissima inquietudine, di una esplorazione nella meraviglia.
Eccoli lì. Eccoci qui. Fotografie come manifesti. Protagonisti come attori. La scena adesso ci comprende, ci ha coinvolti. Sfiora un angolo della nostra anima. Offre un ricordo nostro, struggente e indelebile, un desiderio ancora intatto. L’amore come dono del vivere. Vita piena, potentissima, esposta e offerta.
Muhammad Ali e Belinda Boyd si sposarono un anno più tardi, 1967. Belinda prese il nome di Khalilah Ali, in osservanza della tradizione musulmana. Ebbero quattro figli, tre femmine e un maschio: Maryum (1968), le gemelle Jamillah e Rasheeda (1970) e Muhammad Ali Junior (1972). Divorziarono nel 1976 quando la relazione tra Muhammad Ali e Veronica Porsche era ormai una pubblica evidenza. Quando Muhammad Ali aveva perduto la memoria di quei primi istanti perfetti, appoggiato a un bancone, dentro una panetteria. Anche questo riguarda ciascuno di noi. Così come il rimpianto, talvolta, per ciò che abbiamo perduto.