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 2015  marzo 20 Venerdì calendario

PALLINATO SUL SANGUE DI SAN GENNARO

Sabato 21 marzo papa Francesco sarà in visita a Napoli. Nel primo pomeriggio, alle 15, il papa si recherà al Duomo, dove sono custodite le ampolle con il sangue di San Gennaro. Si avvicinerà alla teca e la bacerà. Grande è l’attesa della Curia che spera nello scioglimento del sangue davanti al Papa, anche se non si tratta di una delle tre date tradizionali (il sabato precedente la prima domenica di maggio, il 19 settembre e il 16 dicembre).

Al cospetto di un pontefice il sangue si è sciolto in passato solo con Pio IX (non con Wojtyla e Ratzinger). (Alessandro Chetta, Corriere del Mezzogiorno, 18/3/2015)

Nel novembre del 1848, in fuga dai moti rivoluzionari di Roma, Pio IX ripara a Napoli, ospite di Ferdinando II. Devoto e affranto, prima ancora di ritirarsi nella reggia di Portici, il Papa cerca conforto in San Gennaro. Dell’avvenuto scioglimento del sangue non vi è traccia nei documenti ufficiali. Ma se ne parla da sempre, e nessuno nutre dubbi in proposito. A conferma, c’è poi il dono lasciato da Pio IX: un calice d’oro massiccio che costituisce una delle dieci meraviglie del Tesoro di San Gennaro, a sua volta tra i più ricchi del mondo. (Marco Demarco, Corriere della Sera, 18/3/2015)

Il sangue non si è sciolto con Giovanni Paolo II che visitò Napoli il 21 ottobre del 1979 (Carmine Festa, Corriere.it 14/3/2015)

Il 21 ottobre 2007 Benedetto XVI entra nel Duomo, avvicina al sangue del santo patrono e martire, si inginocchia davanti alla teca e, in preghiera, la bacia. «Un bacio dato con la mente e con il cuore», racconta Crescenzio Sepe nel libro Lettere a Francesco (Guida editore). «Sembrava quasi che il Papa non volesse più staccarsi dalla reliquia», insiste commosso Cardinale. «Tuttavia – aggiunge subito dopo – il prodigio della liquefazione del san- gue non avvenne». (Marco Demarco, Corriere della Sera, 18/3/2015)

«Tranne eccezioni, inciampi e dinieghi, come nel 1973, al tempo del colera e delle cozze infette, il sangue di San Gennaro si scioglie tre volte all’anno: alla vigilia della prima domenica di maggio, il 19 settembre e il 16 dicembre». (Marco Demarco, Corriere della Sera, 18/3/2015).

Secondo gli agiografi cristiani, san Gennaro era un nobile appartenente alla famiglia romana dei Gianuarii, diventato vescovo di Benevento e martirizzato nel 305 d.C. a Pozzuoli. Nel 303 l’imperatore Diocleziano emanò un editto di persecuzione contro i cristiani e nel giro di pochi anni vennero portate a termine molte esecuzioni. Secondo la tradizione nel 305 Gennaro, insieme ad altri martiri, Sossio, Festo e Desiderio, fu portato nell’anfiteatro di Pozzuoli dove gli orsi che avrebbero dovuto sbranare i cristiani si accucciarono ai suoi piedi. Il governatore Timoteo, indispettito, decise di farli decapitare. (Maurizio Magnani, Spiegare i miracoli. Interpretazione critica di prodigi e guarigioni miracolose, Dedalo, 2005).

San Gennaro fu decapitato il 19 settembre del 305 a Pozzuoli. La tradizione narra che subito dopo la decapitazione una devota di nome Eusebia raccolse il sangue del martire e lo conservò in due ampolle. Le spoglie di San Gennaro furono rubate dai beneventani nel 315, perché i sanniti lo ritenevano loro concittadino essendo stato vescovo di Benevento, e solo nel 1497 tornarono a Napoli. (Roberto Saviano, la Repubblica, 19/9/2010).

Il sangue di san Gennaro è conservato nel Duomo di Napoli (assieme al busto aureo ed argenteo del Santo e al suo cranio) in una boccetta di vetro sigillata, con volume stimato di circa 60 millilitri, riempita per metà dal liquido. Questa bottiglietta, accanto ad un’altra più piccola e vuota (il contenuto fu sottratto da re Carlo di Borbone), è contenuta tra due pareti di vetro in un reliquiario portatile d’argento conservato nella cassaforte dietro l’altare della Cappella del Tesoro di San Gennaro. Tre volte l’anno le ampolle vengono esposte ai fedeli che attendono nei pressi dell’altare il “miracolo” dello scioglimento del sangue con suppliche, preghiere e litanie in dialetto (www.napolitoday.it, 19/9/2014; wikipedia)

Le celebrazioni in onore di San Gennaro vennero istituite nel 1337 per iniziativa dell’allora arcivescovo monsignor Orsini. Nel 1382 una cronaca di Napoli descrive nei dettagli il culto di San Gennaro ma non fa ancora menzione della reliquia né tanto meno del miracolo che viene segnalato ufficialmente la prima volta nel 1389, il 17 agosto, in un documento steso per iscritto. Dunque ci sono oltre 1000 anni di intervallo tra la morte del martire e la prima segnalazione del miracolo di sangue. (Maurizio Magnani, Spiegare i miracoli. Interpretazione critica di prodigi e guarigioni miracolose, Dedalo, 2005)

La reliquia di san Gennaro non è certo la prima né l’ultima che comparve improvvisamente nel XIV secolo, il secolo in cui le cronache registrano per la prima volta miracoli e reliquie importanti per la cristianità, come la Sindone di Torino. Altre reliquie comparse in quel periodo: la fede nuziale di Maria, le fasce del bambino Gesù, le piume dell’arcangelo Gabriele, i chiodi della croce di Cristo, ecc. (Maurizio Magnani, Spiegare i miracoli. Interpretazione critica di prodigi e guarigioni miracolose, Dedalo, 2005)

Penultima volta che è avvenuto il miracolo dello scioglimento del sangue: il 19 settembre 2014. La notizia del miracolo è stata salutata dai fedeli nella cattedrale di Napoli con un lungo applauso. Sventolato, secondo l’antica tradizione, il fazzoletto bianco. Il prodigio della liquefazione del sangue di San Gennaro è significativo del fatto che il santo «ci vuole bene, vuole molto bene a Napoli». Queste le parole pronunciate dall’altare della Cattedrale dall’arcivescovo di Napoli, Crescenzio Sepe. «E’ segno della sua bontà e della sua misericordia. Segno che San Gennaro è ancora vivo nel suo sangue e continua a proteggere Napoli» (Valeria Scotti, Napolitoday.it 19/9/2014).

Ultima volta che è avvenuto il miracolo dello scioglimento del sangue: il 16 dicembre 2014. «San Gennaro è vivo nel suo sangue e ama Napoli», ha detto il cardinale Sepe (Famiglia Cristiana, 19/9/2014).

Dati di uno studio statistico di Giovanni Battista Alfano e Antonio Amitrano pubblicato nel 1924: quando il sangue di San Gennaro non si è sciolto ci sono state 22 epidemie, 11 rivoluzioni, 3 siccità, un’invasione dei turchi, 13 morti di arcivescovi, 3 persecuzioni religiose, 7 piogge disastrose, 9 morti di pontefici, 11 eruzioni del Vesuvio, 19 terremoti, 3 carestie, 4 guerre. Quando si è sciolto non ci sono state epidemie, rivoluzioni, siccità, invasioni, ci sono state una guerra, una carestia, la morte di un arcivescovo, 2 piogge disastrose, 5 persecuzioni religiose, 5 eruzioni del Vesuvio, 11 morti di pontefici, 11 terremoti. (Corriere della Sera 19/9/1998).

Come riporta il blog di Fabrizio Reale, Laboratorio Napoletano, il Santo non ha fatto il miracolo nel settembre del 1939 e del 1940, inizio della seconda guerra mondiale e dell’entrata nel conflitto dell’Italia; nel settembre del 1943, data dell’occupazione nazista, nel settembre del 1973, periodo della diffusione del colera a Napoli e nel settembre del 1980, anno del terremoto in Irpinia (vesuviolive.it).

È assai diffusa, ancora oggi, la credenza secondo cui dal prodigio possa dipendere in qualche modo il destino prossimo di Napoli. (Marco Demarco, Corriere della Sera, 18/3/2015)

Secondo tre ricercatori del Cicap (Franco Ramaccini, Sergio Della Sala e Luigi Garlaschelli), non c’è sangue nella reliquia, bensì una gelatina realizzata presumibilmente nel Medioevo, che si scioglie se agitata e si solidifica se lasciata riposare (fenomeno conosciuto col nome scientifico di tissotropia). La rivista Nature riporta i risultati ottenuti dall’équipe che nel 1991 ha riprodotto in laboratorio la composizione del sangue del santo, utilizzando solo materie reperibili nel Trecento: gusci d’uovo, sale da cucina e carbonato di ferro. Lo scioglimento avviene agitando il composto coagulato. «Resta però il problema che in genere tale composto dopo qualche anno scade. L’unica risposta potrebbe venire analizzando il liquido contenuto nelle ampolle, ma la Chiesa non acconsente al prelievo che potrebbe arrecare danno al liquido. Proprio la Chiesa, però, per anni è stata dubbiosa sul miracolo. (Roberto Saviano, la Repubblica, 19/9/2010).

Dopo la pubblicazione dello studio su Nature, Mariano Del Preite, responsabile dell’ufficio stampa della curia napoletana, fece notare su Avvenire che a differenza di quanto ci si potrebbe attendere per una miscela tissotropica, la liquefazione è tutt’altro che riproducibile: qualche volta il solido resta tale anche dopo molti giorni di movimento del reliquiario, qualche altra è già fluido all’apertura della cassaforte. Gianni Fochi, La Stampa, 9/9/1998

Secondo il professor Giuseppe Geraci, docente di Biologia molecolare, la «tissotropia» non c’entra nulla, perché non è gelatina ma proprio sangue quello che si conserva nel Duomo e sono le reazioni chimiche che hanno luogo nell’ampolla a generare i cambiamenti di forma e colore. Il professore ha replicato il fenomeno nel suo laboratorio utilizzando il sangue contenuto in una reliquia vecchia di trecento anni, un’ampollina del Tesoro dei monaci camaldolesi: «Il sangue c’è, il miracolo no, tutto nasce dalla degradazione chimica dei prodotti, che crea delle reazioni e delle variazioni anche con il mutare delle condizioni ambientali». (Antonio Emanuele Piedimonte, Corriere del Mezzogiorno, 5/2/2010)

La Chiesa definisce la liquefazione non un miracolo ma un prodigio, cioè fenomeno non di esclusiva natura divina (Marco Demarco, Corriere della Sera 18/3/2015)

«Il fenomeno della liquefazione da sempre impressiona e stupisce i presenti e non solo la gente semplice, tanto che sono state fornite descrizioni personali del prodigio: qualcuno ha visto il contenuto dell’ampolla ribollire e spumeggiare, qualcuno ha visto la massa aumentare di volume, qualcun altro avrebbe testimoniato che il peso del contenuto avrebbe subito variazioni durante il miracolo (i gesuiti nel 1905 pubblicarono sul loro giornale “Civiltà cattolica” un articolo che sosteneva che nel corso del miracolo il peso passava da 987 a 1015 grammi con una variazione del 2,75 per cento) ma nessuno ha poi dimostrato di averlo pesato (neanche i gesuiti, i quali fecero il nome di alcuni tecnici dell’Università di Napoli, in realtà neanche esistenti)» (Maurizio Magnani, Spiegare i miracoli. Interpretazione critica di prodigi e guarigioni miracolose, Dedalo, 2005)

In una pubblicazione edita dalla curia di Napoli nel 1992 (“Ianuarius”, anno 73) si legge che «recentemente, tentativi eseguiti con bilance elettriche, durati cinque anni, non hanno confrmato variazioni di peso» (Maurizio Magnani, Spiegare i miracoli. Interpretazione critica di prodigi e guarigioni miracolose, Dedalo, 2005).

Durante il Concilio Vaticano II, la Chiesa «decise persino di depennare San Gennaro dal calendario. Ma si scontrò con la comunità napoletana pronta alle barricate se il suo santo non avesse riavuto il posto che gli spettava. Così la Chiesa dovette tornare sui suoi passi, degradandolo - in pochi lo sanno - al rango di santo locale. Ma questo poco cambia per i napoletani». (Roberto Saviano, la Repubblica, 19/9/2010)

Paolo VI durante il suo pontificato si pronunciò, nel corso di un suo soggiorno a Napoli, contro la natura miracolosa del fenomeno. Il giorno dopo, sui muri della città, comparvero scritte tipo: «San Gennà, futtitenne» (Maurizio Magnani, Spiegare i miracoli. Interpretazione critica di prodigi e guarigioni miracolose, Dedalo, 2005).
«Nel 1631, quando le ampolle con la reliquia furono esposte mentre era in corso un’eruzione del Vesuvio, la lava si arrestò al Ponte dei Granili senza entrare in città. Norman Lewis, ufficiale britannico di stanza nel sud Italia, descrive il comportamento degli abitanti di San Sebastiano, piccolo comune ai piedi del Vesuvio, che per fermare la lava utilizzavano l’effigie del loro santo patrono. Ma di riserva e ben nascosto sotto un lenzuolo - perché San Sebastiano non si offendesse - conservavano anche una statua di San Gennaro, l’asso nella manica che avrebbero sfoderato solo in caso di pericolo estremo perché chiedere la grazia al santo fuori le mura di Napoli è sempre un rischio, data la sua atavica avversione per la provincia». (Roberto Saviano, la Repubblica, 19/9/2010)

«San Gennaro, come scriveva Matilde Serao, "è un amico del cielo" e non ha quasi nulla dei santi cui la tradizione cristiana ci ha abituati. San Gennaro è colui a cui può essere richiesto davvero qualsiasi cosa. Che un furto vada a buon fine, o che la pastiera venga buona. Gli viene chiesto di guarire o di avere un figlio (anche se per ottenere questo miracolo i napoletani si rivolgono spesso anche a Santa Maria Francesca), di fermare la lava, di pulire le strade dalla peste e dal colera ma anche di indovinare i numeri al lotto. Invocarlo non è una risorsa estrema cui si ricorre solo per le questioni più importanti, perché San Gennaro accoglie tutto e sente tutti. E soprattutto non giudica. Sta a sentire e provvede. Non impone ai suoi devoti una rigida osservanza pratica. È un santo capriccioso che protegge la città e i suoi abitanti, non in quanto buoni cristiani o fedeli meritevoli ma in quanto napoletani e basta. E poi ce l’ha a morte col resto della regione che lo ha tradito, lo ha ucciso». (Roberto Saviano, la Repubblica, 19/9/2010)

«Uno dei racconti più belli sul santo e la città l’ha scritto Matilde Serao nel piccolo capolavoro San Gennaro nella leggenda e nella vita (Palomar). Ricorda che Napoli ha 50 patroni, visto che per una città così grande e difficile ci vogliono molti santi. Un patrono per ogni tipo di disgrazie. Ma è solo San Gennaro a ricevere tutte le richieste, tutti i ringraziamenti e tutti i doni. I doni che nobili, borghesi e popolani hanno portato e continuano a offrirgli hanno creato un tesoro famoso in tutto il mondo. È nel tesoro di San Gennaro che c’è quello che viene considerato un artefatto dal valore inestimabile: la mitra, il copricapo vescovile creato da un orafo del Settecento con 3700 rubini, smeraldi e diamanti incastonati, per la cui realizzazione furono raccolti ventimila ducati fra il popolo, il clero, gli artigiani, i nobili e il sovrano. Ma il pezzo più pregiato è la collana di San Gennaro, probabilmente il gioiello più prezioso al mondo. Una collana con grosse maglie in oro massiccio alla quale sono appese croci tempestate di zaffiri, diamanti e smeraldi donate da Carlo di Borbone, dai principi di Sassonia, da Maria Carolina d’Austria, da Giuseppe Bonaparte, da Vittorio Emanuele II di Savoia. Persino il fratello di Napoleone non poteva fare a meno di rendere omaggio alla città attraverso il dono al suo santo. A Napoli anche le piante che ornano gli ingressi degli alberghi o dei negozi di lusso devono essere incatenate e chiuse con lucchetti enormi per evitare furti, eppure il tesoro di San Gennaro non è mai stato toccato. (Roberto Saviano, la Repubblica, 19/9/2010).

«Il furto del tesoro non andò a segno nemmeno in Operazione San Gennaro divertentissimo film di Dino Risi, in cui il Dudù (Nino Manfredi) avrebbe dovuto, in combutta con una banda di americani e su indicazioni di Totò, rubare il tesoro. Dudù, chiede il permesso al santo, prima di accettare con gli americani di rubare il tesoro e scorge in un raggio di sole che illumina la statua del santo, il suo assenso. Durante la guerra affidarono l’oro al vaticano. La città era continuamente sotto bombardamento. Il 4 aprile 1943 una bomba aveva colpito il Duomo. Finita la guerra, i napoletani chiesero di riavere il tesoro. Ma era impossibile trasportare un carico di preziosi dal valore stimato all’epoca in tre miliardi di lire, attraverso strade distrutte, infestate di malviventi, senza poter contare su poliziotti o carabinieri, perché non ce ne erano abbastanza. Si offrì Giuseppe Navarra, piccolo camorrista ex palombaro dal fisico massiccio, chiamato "il re di Poggioreale", che si era arricchito trafficando prima a Marsiglia e poi a Napoli, dove girava con una Alfa 2880 appartenuta a Mussolini. Navarra partì per Roma accompagnato solo dal novantenne principe Stefano Colonna di Paliano, vicepresidente della Deputazione di San Gennaro. Al ritorno li bloccò prima una piena del Garigliano e poi due malintenzionati. Ma Navarra riuscì nell’impresa e rifiutò la ricompensa offertagli dal cardinale: "Mi basta l’onore di aver reso un servizio a San Gennaro e a voi, il denaro datelo ai poveri"». (Roberto Saviano, la Repubblica, 19/9/2010)

“Parenti di San Gennaro”, venti donne che vantano discendenza dal santo e per questo hanno l’incarico di incitarlo a liquefarsi: se il miracolo non avviene lo maledicono: "Faccia ‘ngialluta", "Santu malamente", "Miezu limone". (Matilde Passa, Lacrime e sangue. Viaggio nella religiosità popolare, Baldini&Castoldi, 2000).

Roberto Saviano: «Faccia gialluta! Ma che stai arrabbiato? Nun fa o’ fess’ San Genna’, ti vott’ a copp’ a bascie». Quel che mi aveva sconvolto la prima volta che fui portato - un 19 settembre - ad assistere allo scioglimento del sangue furono gli insulti. Decine e decine di donne imprecavano contro il santo per provocarlo e spingerlo a fare il suo dovere. Mi sembravano tutte vecchissime, ma le loro voci flebili durante la preghiera, diventavano improvvisamente acute se il sangue non si scioglieva e il vescovo girava e rigirava inutilmente l’ampolla. È così, sempre. Più il miracolo ritarda, più la tensione nel Duomo di Napoli cresce, più il coro di lamenti e imprecazioni si fa disordinato, assordante, sboccato. Ero un bambino e mai avrei creduto si potessero pronunciare tanti insulti in una chiesa. Ma il miracolo non arrivava e tra la folla già si iniziavano ad elencare le sciagure che Napoli aveva subito negli anni» (Roberto Saviano, la Repubblica, 19/9/2010)

Una cronaca del XIX secolo: «Le Parenti di San Gennaro si buttano carponi, respingendo con i piedi i vicini. Alcune piangono, implorando dal Santo la remissione dei peccati; altre urlano con cadenza strana di nenia orientale. Nella vasta Cappella del Tesoro, qua e là scoppiano singulti; molte si picchiano il petto; altre levano le mani giunte, in atto di fervente preghiera, verso il busto di San Gennaro». (vesuviolive.it)

Norman Lewis in Napoli ‘44 (Adelphi) scrive: «Da quattordici secoli, a partire dal giorno del suo martirio a Pozzuoli, san Gennaro limita la sua attività miracolosa a Napoli, e si è convinti che non alzerebbe un dito per salvare il resto del mondo dalla distruzione» (Roberto Saviano, la Repubblica, 19/9/2010).