Aldo Grasso, Sette 20/3/2015, 20 marzo 2015
VA BENE AVVOCATA E POMPIERA, MA STATE ATTENTE
Può darsi che un giorno nella lingua italiana si dirà avvocata, ingegnera, rettora, pompiera e così via, ma questi termini non si possono disporre dall’alto. La lingua non funziona così, non è un sistema rigido, è materia viva e oscillante, dominata più dall’uso che dalle regole. La variazione delle parole dipende da tanti motivi: dal contesto (situazione, relazioni, interlocutore, ecc.), dallo spazio (area geografica di provenienza di chi parla), dal mezzo (conversazione faccia a faccia, telefono, lettera, mail, chat) e da altro ancora. Quando il fascismo ha tentato di disciplinare l’intero repertorio linguistico italiano, non limitandosi al controllo della lingua nazionale (sua diffusione, insegnamento, uso) ma ingerendosi nelle parlate dialettali, in quelle dei territori alloglotti (Alto Adige e Venezia Giulia), e infine contrastando i prestiti da lingue straniere, ha mostrato tutta la sua pochezza culturale. Come ci ha insegnato George Orwell in 1984, ogni neolingua (Newspeak) ha un fondo ideologico che tende a «restringere al massimo la sfera d’azione del pensiero». Per questo, benché si possano condividere le “buone intenzioni” della presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini, che ha inviato a tutti i deputati una lettera per invitarli a rispettare la parità di genere linguistica quando parlano di deputate e ministre donne, evitando di riferirsi a loro con titoli maschili, si fa molta fatica a condividerne il tono prescrittivo. Certo, esiste un sessismo storico nella lingua italiana difficile da sradicare (anche perché la lingua italiana, rispetto al latino, ha perso il genere neutro, che avrebbe risolto un mucchio di problemi), ma, per esempio, se al posto di “uomo di strada” (per indicare l’uomo comune, l’ordinary man) metto “donna di strada” non basta il cambiamento di genere per fare igiene linguistica. C’è il rischio di creare equivoci e imbarazzi.
EFFETTO PERVERSO. Come aveva dimostrato Stefano Bartezzaghi nel suo libro Non se ne può più, bisogna stare attenti a declinare alcuni nomi dal maschile al femminile, perché l’effetto è spesso perverso (un cortigiano, un massaggiatore, un uomo facile, un cubista, un passeggiatore, un maiale, un uomo di vita, un mercenario, e così via). Forse è più ragionevole rispettare sempre un uso già consolidato, perché la lingua è un organismo vivo, non cristallizzato in una norma astratta lontana dalla realtà: cambia lentamente, secondo gli usi e i costumi. Come sostiene Gian Luigi Beccaria, «il grande giudice della lingua è l’uso (o “magistrato alle acque”), lento e levigante». È giusto combattere il sessismo linguistico, ma bisogna stare anche attenti al carattere prescrittivo (totalitarismo democratico?) che procede negando la realtà, cioè il fatto linguistico, e dando tutto il potere a formule “astratte” che deformano in modo anche grottesco ciò che nel sentire comune non è.