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 2015  marzo 20 Venerdì calendario

UN PIANO MARSHALL MAI DECOLLATO E IL MEDITERRANEO TORNA POLVERIERA

Le primavere arabe cominciarono con un’audace promessa dell’Occidente: un piano Marshall da 80 miliardi di dollari, 61 miliardi di euro, per il Nordafrica e il Medio Oriente. Era il 27 maggio del 2011 e a Deauville il G-8 annunciava solennemente un programma senza precedenti. Dopo la caduta dei dittatori si trattava di incoraggiare nel mondo arabo la creazione di uno stato di diritto sotto il controllo dei cittadini e assicurare prosperità alle nascenti democrazie.
Quelle illusioni, quattro anni dopo, sono crollate nel caos libico, nell’autoritarismo egiziano del generale Al Sisi, nelle guerre civili della Siria, dell’Iraq, dello Yemen, e ora le speranze sono sfiorite persino nell’unico caso di successo, quello della Tunisia.
Invece del piano Marshall adesso si rischia di perdere il Nordafrica e anche quella fascia di stati subsahariani, il ventre molle del continente, sempre più in crisi, dal Mali al Chad, dal Niger alla Nigeria, dove imperversano i Boko Haram affiliati al Califfato e le formazioni jihadiste ereditate da Al Qaeda che agiscono da anni nella fascia del Sahel tra Algeria, Mauritania, Marocco, per arrivare fino al Sinai e al Mar Rosso: un fronte di migliaia di chilometri dove l’”uomo bianco” senza scorta armata non mette più piede.
Il piano Marshall per gli arabi non ha mai avuto un domani. A volere essere velenosi ma realisti quel vertice dal sapore balneare del G-8 venne convocato dal presidente Nicolas Sarkozy per far dimenticare certe posizioni maldestre che avevano accompagnato la sollevazione araba. Tre giorni prima della caduta dei Ben Alì in Tunisia la ministra francese degli Esteri Michéle Alliot-Marie aveva offerto «le sue forze di sicurezza” per reprimere la rivolta. Sarkozy poi aveva dato il via al bombardamento di Gheddafi per coprire oscure e pericolose relazioni che lo legavano al dittatore libico.
Il piano di Deauville aveva ambizioni colossali. Oltre al G-8, i Paesi arabi erano coivolti come partner, con loro 10 organizzazioni internazionali e potenze regionali come Arabia Saudita, Emirati, Kuwait, Qatar, Turchia. Questi “partner regionali” che avrebbero dovuto stabilizzare i Paesi in transizione ora si stanno facendo la guerra schierandosi nei conflitti interni che imperversano in Libia, Siria e Iraq. In Libia l’Egitto si appoggia ai sauditi e agli Emirati aiutando in Cireanica il generale Khalifa Haftar, che bombarda Tripoli, mentre Turchia e Qatar sostengono il governo tripolino dei Fratelli Musulmani: si è quindi riprodotto lo stesso schieramento di alleanze che già si era scontrato in Egitto. Al Cairo non c’è stato nessun piano internazionale: sauditi, Emirati e Kuwait hanno versato al generale Abdel Fattah al Sisi 20 miliardi di dollari per far fuori nel 2013 i Fratelli Musulmani e l’incompetente presidente Morsi.
Dimenticati i buoni propositi di Deauville si sono scatenate delle guerre per procura e di queste la Siria, l’Iraq, la Libia, ne sono l’emblema più sanguinoso: all’affondamento di questi stati dobbiamo l’ascesa del Califfato. Altro che stabilizzazione.
Per questo ora bisogna salvare almeno la Tunisia e quel che resta del Nordafrica dal gorgo di questa lotta tra musulmani sunniti che sta retrocendo la regione verso un’Islam incompatibile con la civiltà. L’economia è la chiave di volta per sostenere dei processi di transizione accettabili e contrastare il terrorismo.
Basta guardare le cifre della disoccupazione giovanile nall’area Nordafrica-Medio Oriente (Mena), per capire da dove parte il problema. Siamo di fronte a dati ufficiali che vanno dal 25 al 30% della popolazione sotto i 25 anni ma le stime più vicine alla realtà parlano in media di tassi intorno al 50 per cento.
Una demografia di senza lavoro esplosiva. Dalle rivolte del 2011 a oggi per i giovani nordafricani è cambiato poco, anzi la situazione sta peggioranndo perché guerre come quella libica hanno privato il mondo arabo di un serbatoio di posti di lavoro: non si estrae quasi più petrolio, la ricchezza accumulata svanisce, l’economia è ferma. Non solo. La disgregazione colpisce gli stati ma anche intere società vengono destruttutate: la Tunisia ospita un milione di profughi libici, la Siria ha 9 milioni tra sfollati interni e rifugiati, altri due-tre milioni sono quelli iracheni. La nazione dei profughi è sempre più grande. In quali Paesi possono tornare e in quali città se la guerra ha distrutto intere economie?
Riprovarci oggi con un piano Marshall da parte dell’Europa può apparire ambizioso. Ma se l’Occidente non si inventa qualche cosa il vuoto verrà occupato da monarchie del Golfo e organizzazioni non statuali radicali interessate a propagandare la loro versione dell’Islam e della società. E quando un giorno ci affacceremo alla sponda Sud scrutando Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, Libia, non troveremo più neppure il simulacro di uno stato laico e democratico.