Marco Onado, Il Sole 24 Ore 20/3/2015, 20 marzo 2015
ALICE NEL PAESE DEI TASSI NEGATIVI
Le politiche monetarie aggressive delle banche centrali hanno salvato l’economia mondiale dal disastro, ma non hanno avviato una ripresa sufficientemente robusta e soprattutto ci costringono ad inoltrarci sempre di più nelle acque inesplorate dei tassi di interesse ormai stabilmente vicini allo zero o addirittura negativi. Proprio ieri l’Irlanda, uno fra i paesi più colpiti dalla crisi e con un debito pubblico ormai oltre il 100 per cento del pil, ha collocato un’emissione di 500 milioni di euro (sottoscritta quattro volte) ad un tasso di poco inferiore allo zero. Gli investitori si sono cioè dimostrati disposti a pagare un piccolo prezzo allo stato irlandese per la sicurezza di avere indietro il capitale fra sei mesi. La buona notizia di un tasso di crescita elevato è bastata per attrarre i capitali impazziti nella cosiddetta flight for quality che ha già portato stabilmente sotto lo zero i tassi di oltre 2 trilioni di dollari di emissioni pubbliche, soprattutto in Europa. La reazione istintiva è quella di Alice in “Attraverso lo specchio”: non si può credere ad una cosa impossibile.
Eppure questo è il mondo in cui siamo costretti a vivere dalla difficoltà di affrontare una crisi senza precedenti o, se si preferisce, il prezzo che dobbiamo pagare per aver evitato una depressione mondiale analoga a quella degli anni Trenta. E poiché la differenza fondamentale fra le due crisi è data dalla diversa reazione delle banche centrali, non bisogna criticare i medici che hanno adottato terapie straordinarie, ma capire le controindicazioni che inevitabilmente si manifestano e soprattutto le cause che ci hanno portato ai confini del regno delle realtà economiche.
Le controindicazioni sono almeno due. La prima è quella, tipica delle situazioni in cui i tassi di rendimento scendono è che aumenta l’appetito per il rischio e questo è il combustibile principale di ogni bolla finanziaria. Quando scendono i tassi, scendono anche i premi al rischio persino per gli investimenti più aleatori. L’appetito si trasforma in fame cieca e la capacità di selezione del mercato si riduce drammaticamente. Lo abbiamo visto prima della crisi con i titoli più esotici e complessi, ed è possibile che accada in questi giorni in tanti comparti. Naturalmente senza dimenticare che ad ogni vigilia dello scoppio di una bolla, dagli anni Trenta ad oggi, abbondavano pensose e articolate spiegazioni sul come e qualmente i prezzi fossero giustificati dai “fondamentali”. In altre parole, dobbiamo caso mai prendercela con i banchieri centrali che a partire dagli anni Novanta hanno forzato la politica monetaria, guardando con benevole disinteresse all’“Esuberanza irrazionale” dei mercati di allora. I loro successori si trovano oggi ad affrontare uno scenario in cui le bolle speculative diventano una componente permanente del paesaggio.
La seconda controindicazione grave riguarda lo stato di salute del sistema finanziario. Qui le contraddizioni alla Lewis Carroll possono avere effetti devastanti. Banche e assicurazioni rischiano di veder crollare la redditività dei loro business tradizionali. Le banche perché anche i tassi attivi si avvicinano allo zero e dunque lo spread, che alimenta il margine fondamentale, si riduce drammaticamente mentre i costi operativi sono sostanzialmente fissi nel breve-medio termine. Nei paesi in cui ci sono molte imprese che possono attingere al mercato dei capitali, il problema può essere in qualche modo attenuato e anzi incoraggiato non solo per consentire anche alle imprese di sfruttare queste opportunità eccezionali, ma anche per muoversi verso una struttura meno bancocentrica. Ma paesi come l’Italia in cui il tessuto industriale è fatto per la quasi totalità da piccole e medie imprese (e deteniamo anche il record europeo delle microimprese) è ovvio che la fonte di finanziamento principale di finanziamento è e continuerà ad essere il sistema bancario. Ma se questo ha problemi fondamentali (e di cui non ha responsabilità) a trovare un adeguato margine, gli effetti sull’offerta di credito possono essere molto pesanti.
Se le banche piangono, le assicurazioni non ridono, neppure nei paesi centrali dell’area dell’euro. L’ultimo rapporto del Fondo monetario sulla Germania ricorda che i tassi negativi di oggi sono ben al di sotto delle promesse implicite in molti contratti in essere, che prevedono rendimenti fino al 3,3 per cento nel passato più remoto e del 1,75 in quello recente. E in ogni caso, in un mondo dominato dalla trappola della liquidità, è ovvio che vendere contratti a lungo termine come sono quelli assicurativi è un impresa ai limiti dell’impossibile.
Ma se siamo caduti in questi problemi è a causa dei difetti strutturali della crescita dei decenni precedenti la crisi, un periodo in cui (come ha spesso ricordato il premio Nobel Michael Spence) gli investimenti dei paesi industrializzati sono scesi ben al di sotto della media storica, creando inevitabilmente una pressione al ribasso sul livello dei tassi a lunga (su cui, checché se ne dica, i banchieri centrali possono poco o nulla) e le condizioni per un eccesso di risparmio (savings glut) a livello mondiale. E la crisi, accentuando la caduta degli investimenti, ha naturalmente reso il problema ancora più acuto.
La trappola della liquidità non fa ripartire gli investimenti privati e a questo si aggiunge il paradosso, che fa indignare Larry Summers, che non si sfrutta questo livello di bassi tassi di interesse per coprire il deficit di infrastrutture dei grandi paesi, cioè di uno degli impieghi con il più alto rendimento atteso. Oppure che i moniti del Fondo monetario alla Germania perché usi in altro modo il proprio enorme surplus di parte corrente, vengono tranquillamente rispediti al mittente, come missive senza francobollo. A dimostrazione del fatto che le colpe non sono delle politiche monetarie, ma delle politiche senza aggettivi.