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 2015  marzo 19 Giovedì calendario

DOVE E PERCHÉ INVESTE LA CINA


[Note alla fine]

LA REPUBBLICA POPOLARE CINESE (RPC) è il primo paese al mondo per riserve di denaro in valuta estera, pari a circa 3.900 miliardi di dollari [1]. È questo enorme tesoro che le consente di investire in tutto il mondo. In tale ambito, il fondo sovrano China Investment Corporation (Cic) è uno dei più potenti – e dei meno trasparenti – strumenti nelle mani di Pechino [2]. Infatti, anche se formalmente l’obiettivo della Cic è investire in progetti redditizi sul piano commerciale, le sue attività suggeriscono che a tracciarne la rotta siano soprattutto gli obiettivi strategici del governo cinese.

La Cic e i suoi fratelli
Grazie all’aumento delle esportazioni e degli investimenti diretti esteri in entrata, dagli anni Novanta in poi la Cina ha accumulato riserve in valuta straniera in quantità superiore a quella necessaria per difendersi da possibili shock finanziari esterni. Larga parte di questo denaro è stata investita negli Stati Uniti. Nel 2007, il 70% era composto da attività denominate in dollari e la Cina era seconda dopo il Giappone per quantità di securities Usa. Di queste, il 50% erano titoli del Tesoro a lungo termine, il cui acquisto è considerato tuttora da Pechino come poco rischioso, ma anche a basso profitto [3]. La Cic è stata istituita per dirigere parte delle riserve valutarie cinesi verso investimenti più retributivi.
Il fondo risponde direttamente al Consiglio di Stato, la più importante autorità amministrativa della Rpc, ed è stato creato attraverso un’emissione di debito di 1,55 trilioni di yuan sotto forma di speciali buoni del Tesoro. Questa somma è stata utilizzata dal ministero delle Finanze per ottenere l’equivalente in valuta estera (200 miliardi di dollari) dalla People’s Bank of China, la Banca centrale cinese, e poi assegnarlo alla Cic. Il fondo deve quindi pagare al ministero delle Finanze un tasso d’interesse annuo del 4,5% circa. A tal fine, secondo l’ex presidente della Cic Lou Jiwei, l’istituto deve guadagnare almeno 40 milioni di dollari al giorno (14,6 miliardi all’anno) [4]. Con asset pari a circa 653 miliardi di dollari, la China Investment Corporation è oggi il quarto fondo sovrano al mondo, ma nel 2013 ha registrato un ritorno sugli investimenti del 9,3%, in calo rispetto al 10,6% del 2012. La notizia non è delle migliori, considerata l’onerosità del tasso d’interesse.
Il fondo ha due controllate: la Cic International per gli investimenti all’estero e la Central Huijin Investment per quelli in Cina. La seconda è azionista delle principali istituzioni finanziarie del paese, in primis Bank of China (67,72%), China Construction Bank (57,26%) e China Development Bank (47,63%) [6].
L’Rpc si serve anche di altri fondi sovrani. Il primo è la Safe Investment Company, una controllata della State Administration for Foreign Exchange (Safe), responsabile della gestione delle riserve in valuta estera cinese. Con un capitale di circa 568 miliardi di dollari, è il quinto fondo sovrano al mondo dopo la Cic [7].
È stata la Safe a creare la Central Huijin, il cui controllo ha poi ceduto alla China Investment Corporation. A seguire vi è il National Social Security Fund (Nssf, decimo fondo sovrano al mondo), un fondo pubblico pensionistico da 200 miliardi di dollari, di cui il 20% può essere speso fuori dalla Cina. Il quarto è il China-Africa Development Fund, che gestisce asset per 5 miliardi di dollari da investire nel Continente Nero. Questo fondo è stato istituito dalla China Development Bank, controllata dalla Central Huijin Investment [8].
Secondo il Linaburg-Maduell Transparency Index, che misura la trasparenza informativa dei fondi sovrani, in una scala da 1 a 10 (dove 10 è il punteggio massimo) la Cic ha valore 8, la Safe Investment Company 4, la Nssf e il China-Africa Development Fund 5. Insomma, le informazioni sul loro conto scarseggiano. Pare opportuno focalizzarsi sulla Cic, considerato l’enorme capitale a disposizione, la sua intraprendenza sul mercato e il fatto che, a differenza degli altri fondi sovrani cinesi, dipende direttamente dal Consiglio di Stato.

Le strategie della Cic
Nel 2007, appena fondata, la China Investment Corporation si è concentrata sull’acquisto di quote in società finanziarie statunitensi, come Blackstone e Morgan Stanley. La scelta non è stata delle migliori. L’anno dopo, i loro titoli sono crollati a causa della crisi finanziaria globale e la Cic ha avuto un ritorno sugli investimenti del -2,1%.
Nel 2009, il fondo ha cambiato strategia e ha deciso di concentrarsi sul settore energetico e dell’estrazione mineraria. La scelta si allaccia evidentemente agli interessi geoeconomici di Pechino. La prorompente crescita economica e la scarsità di gas e petrolio a disposizione hanno spinto (e spingono) la Cina ad acquistare quantità crescenti di materie prime e quote nelle aziende straniere che operano in tale contesto. Solo per fare alcuni esempi, quell’anno la Cic si è accaparrata il 45% del Nobel Oil Group, azienda energetica statale russa, alla quale ha poi pagato 150 milioni di dollari per ottenere il controllo dei suoi giacimenti in Russia [9]. Nel 2009, in Canada, il fondo sovrano ha speso 1,5 miliardi di dollari per diventare il principale azionista della Teck Resources, la più importante azienda del settore minerario locale. Poi ha investito nella Bumi Resources, azienda dell’Indonesia, tra i principali paesi a fornire carbone alla Cina. Il fondo ha anche ottenuto l’11% della KazMunaiGas Exploration Production, la più grande produttrice di metano in Kazakistan. Nel 2010, invece, ha formato una joint venture con la Penn West Energy Trust, azienda canadese tra le più importanti nel settore energetico del Nordamerica [10].
Tuttavia, concentrare i propri investimenti in un solo settore non è mai una scelta saggia. Perciò la Cic si è accaparrata anche quote azionarie di grandi multinazionali statunitensi come Apple, Bank of America, Coca-Cola, Motorola, Johnson & Johnson, Pfizer. Nel 2012, il fondo ha speso 726 milioni di dollari per acquistare il 10% della Heathrow Airport Holding, società che possiede l’omonimo aeroporto di Londra.
Anche l’Italia è meta dello shopping cinese. Lo scorso ottobre, la Cic ha firmato un accordo con il Fondo strategico italiano (Fsi, costola di Cassa depositi e prestiti) per operazioni d’investimento comune del valore massimo di 500 milioni di euro per ciascuno dei due istituti. La stessa Banca centrale cinese è particolarmente attiva sul nostro mercato. Attualmente detiene oltre il 2% in ciascuna delle seguenti aziende: Eni, Enel, Fiat Chrysler Automobiles, Telecom Italia e Prsymian, azienda italiana che opera nel settore di cavi e sistemi a elevata tecnologia per il trasporto di energia e telecomunicazioni [11]. La Shanghai Electric, invece, ha ottenuto il 40% di Ansaldo energia dall’Fsi. Mentre la State Grid Corporation, azienda energetica statale cinese, si è assicurata il 35% della Cdp Reti, una holding che controlla Snam (gruppo integrato che presidia le attività regolate del settore del gas) e Terna (operatore di reti per la trasmissione dell’energia) con quote azionarie di circa il 30% [12]. Insomma, la Cina si sta lentamente inserendo in aziende d’interesse strategico per l’Italia.
Rintracciare le operazioni della Cic diventa più complicato quando essa opera attraverso holding, delle quali il suo rapporto annuale non fornisce una lista dettagliata. Tra le più conosciute vi sono Land Breeze II, Beijing Wonderful Investment, Chengdong Investment Corporation, Fullbloom Investment Corporation [13] e SSbt Od05 Omnibus Account. Quest’ultima nel 2011 ha investito quantità ingenti di denaro in aziende giapponesi, tra cui Toshiba, Shiseido, Kirin Holdings, Tokyo Electric Power, Sony e Mitsubishi. I suoi movimenti non davano eccessivamente nell’occhio poiché le partecipazioni erano sotto il 5%, soglia sotto la quale non si è obbligati a fornire troppe informazioni. Eppure, secondo il Wall Street Journal, dietro i suoi investimenti ci sarebbero state proprio la Cic e la Safe [14]. Tenuto conto dello storico antagonismo tra Pechino e Tokyo viene da chiedersi se la presenza fantasma della Cina in aziende tecnologiche giapponesi di questo calibro celi ragioni geopolitiche che prescindano dalla logica del profitto.
Inoltre, si ritiene che il capitale fornito dalla Central Huijin alle banche statali menzionate in precedenza abbia consentito loro di appoggiare investimenti all’estero di aziende pubbliche e private della Rpc [15]. Per esempio, la China Development Bank avrebbe finanziato la Aluminium Corporation of China (Chinalco) nell’acquisto di azioni dell’impresa australiana di estrazione mineraria Rio Tinto, di cui oggi è il maggior azionista con il 9,8%. Si consideri che questo settore è particolarmente delicato per la Cina, che assorbe due terzi del minerale di ferro esportato nel mondo [16].
Nel 2013, la Cic ha adottato una strategia d’investimento più aggressiva, aumentando gli investimenti in azioni di società quotate in borsa dal 32% al 40,4%. Mentre i titoli a reddito fisso, come i buoni del Tesoro e le obbligazioni emesse da società private sono diminuiti dal 19,1 al 17%. Tuttavia, il fondo non è particolarmente soddisfatto riguardo ai risultati del 2014. Secondo Li Fangyu, direttore del dipartimento per le pubbliche relazioni del Cic, le misure protezionistiche adottate lo scorso anno da diversi paesi avrebbero impedito al fondo di accedere a investimenti promettenti [17].
Del resto questo fondo non è una macchina infallibile. A giugno scorso, il National Audit Office cinese l’ha accusato di negligenza, due diligence inadeguata [18] e carente gestione post-investimento. Le dimensioni delle perdite non sono state rese note, ma le critiche riguardano dodici investimenti realizzati all’estero dal 2008. Il National Audit Office ha affermato che il meccanismo di supervisione della Cic è inadeguato, ma non ha indicato una soluzione al problema [19].

Puntare sul cibo
Il settore energetico e quello minerario sono fondamentali per la Cic, ma il fondo intende espandere i propri investimenti anche in altri ambiti, a cominciare dalle infrastrutture. Per esempio, a novembre Pechino ha annunciato la creazione di un fondo da 40 miliardi di dollari per contribuire alla realizzazione della «cintura economica della via della seta», il nuovo progetto infrastrutturale/commerciale che dovrebbe collegare la Cina all’Europa attraverso una rotta terrestre e una marittima. Il 65% di questo fondo proverrà direttamente dal Consiglio di Stato, il resto sarà fornito dalla Cic (15%), dall’Export-Import Bank of China (15%) e dalla China Development Bank (5%) [20]. Investire nella costruzione di strade, porti, ferrovie e condutture di vario genere nei paesi coinvolti nel progetto è indispensabile affinché la «nuova via della seta» prenda vita.
Tuttavia, il settore che potrebbe rivelarsi più importante per la Cic è la produzione alimentare. In un’intervista rilasciata al Financial Times, il presidente del fondo Ding Xuedong ha affermato che «l’aumento della popolazione mondiale renderà sempre più difficile fornire cibo abbondante a prezzi convenienti». Ding ha poi detto che «il settore agricolo offre stabilità, protezione contro l’inflazione ed è uno strumento di diversificazione dei rischi. Intendiamo investire di più lungo tutta la catena del valore [...] in aree che aiuteranno a sbloccare il potenziale dell’industria, aumentare le forniture di cibo e offrire interessanti rendimenti». Il presidente della Cic ha dichiarato di voler collaborare con governi stranieri, organizzazioni multilaterali e altri investitori istituzionali. In questo modo, ha risposto a chi critica la Cina per l’attività di land grabbing, l’acquisto o l’affitto su larga scala di terreni agricoli nei paesi in via di sviluppo. «La food security è una questione globale che nessuno può permettersi d’ignorare», ha concluso Ding [21]. Certamente la Cic può ricavare grossi profitti da questo settore, ma il suo interesse dipende anche dalle esigenze alimentari dei cinesi.
La Rpc è abitata dal 22% della popolazione mondiale (1 miliardo e 400 milioni di abitanti), ma possiede solo il 7% delle terre coltivabili del pianeta. Inoltre, negli ultimi anni la seconda percentuale è scesa a causa dei gravi danni ambientali prodotti dalla crescita economica del paese: erosione del suolo, deforestazione, inquinamento dei fiumi e dei laghi. Al punto che, secondo Pechino, il 40% delle terre coltivabili della Rpc si è degradato [22]. Sono già stati intrapresi provvedimenti per contrastare l’inquinamento, ma i risultati al momento scarseggiano.
In più, la Cina si sta avvicinando a una nuova fase storica, quella della «nuova normalità» teorizzata dal presidente cinese Xi Jinping. Questa si distingue per un incremento annuo del pil (7,4% nel 2014) meno accentuato rispetto agli ultimi trent’anni (intorno al 10%), per il miglioramento progressivo della struttura economica e per la maggiore rilevanza accordata all’innovazione rispetto agli investimenti in entrata [23]. La «nuova normalità» di Xi prevede anche l’aumento del tasso di urbanizzazione, dal 53,7% al 60% entro il 2020. Pechino ritiene che la creazione di nuove città sia necessaria per far crescere la classe media, sviluppare il mercato interno e ridurre la dipendenza dall’export.
Questo quadro socioeconomico sta già incidendo sui consumi, sul tipo di dieta (più proteica) e sulle importazioni alimentari della Rpc. Tra il 1985 e il 2005, il consumo pro capite di latte è aumentato di dieci volte, quello di uova otto volte e quello di carne quattro volte [24]. Non a caso, lo scorso anno il colosso alimentare Shuanghui ha rilevato la Smithfield Foods (il più importante produttore di carne di maiale al mondo), concludendo la più grande acquisizione mai operata da un’azienda cinese negli Usa. Inoltre, tra gennaio e ottobre 2014 la Cina ha importato ben 72 milioni di tonnellate di cereali, inclusi riso, frumento, mais e germogli di soia [25]. Questi ultimi sono un ingrediente chiave nei mangimi dei bovini e dei suini e la Rpc ne è il primo importatore al mondo. Date le circostanze, il consumo di questi prodotti è destinato ad aumentare.
Insomma, per la Cic – e per l’Impero del Centro – investire nel settore alimentare è una priorità. Del resto, come recita un proverbio cinese ricordato dallo stesso Ding Xuedong, «per il popolo, il cibo è la cosa più importante sotto il cielo» [26]. E la Cina avrà sempre più fame.

Note:
1. Dati aggiornati al 30 settembre 2014, «The Time-Series Data of International Investment Position of China, Quarterly», State Administration of Foreign Exchange. goo.gl/JU34sM
2. I fondi sovrani sono «speciali fondi o strumenti d’investimento di proprietà statale» che operano su scala mondiale utilizzando di solito fondi derivanti da «surplus della bilancia dei pagamenti, operazioni ufficiali in valuta estera, proventi delle privatizzazioni, avanzi di bilancio pubblico e/o introiti derivanti dalle esportazioni di materie prime», International Working Group of Sovereign Wealth Funds, «Sovereign Wealth Funds: Generally Accepted Principles and Practices “Santiago Principles”», 2008, p. 3.
3. F. WU, A. SEAH, «The Rise of China Investment Corporation», World Economics, vol. 9 n. 2. aprile-giugno 2008.
4. M. MARTIN, «China’s Sovereign Wealth Fund», Congressional Research Service (Usa), 22/1/2008, goo.gl/GpyUqK
5. Dati aggiornati al 31 dicembre 2013, Annual Report 2013, China Investment Corporation, goo.gl/XBUZHQ
6. Ibidem.
7. Classifica dei fondi sovrani aggiornata al dicembre 2014, Sovereign Wealth Fund Institute, swfinstitute.org. goo.gl/XXRF
8. Dall’elenco si esclude il Hong Kong Monetary Authority Investment Portfolio, fondo sovrano della regione ad amministrazione speciale di Hong Kong (Hksar). Questo è gestito dall’autorità monetaria locale, di fatto la Banca centrale della Hksar. La regione ha una propria valuta, il dollaro di Hong Kong. I.N. KOCH-WESER, O.D. HAACKE, «China Investment Corporation: Recent Developments in Performance, Strategy, and Governance», U.S.-China Economic and Security Review Commission, 13/6/2013.
9. Ibidem.
10. LI QING, «Cic Buys Canadian Oil Assets», Caixin, 14/5/2010. Goo.gl/mJ8C7B.
11. F. SAVELLI, «La Banca centrale cinese al 2% di Fiat-Chrysler, Telecom, Prysmian», Corriere della Sera, 4/8/2014. goo.gl/nyeKbs
12. «Italia-Cina, firmato l’accordo tra Cassa depositi e prestiti e China State Grid», governo.it, 31/7/2014. goo.gl/VmMGIX
13. M. MARTIN, «China’s Sovereign Wealth Fund: Development And Policy Implications», Congressional research service, 23/9/2010.
14. ATSUKO FUKASE, «China’s Stealth Investments in Japan», Wall Street Journal, 25/2/2011, www.wsj.com/articles/SB 10001424052748703905404576163960689019754
15. Si veda la nota 13.
16. S. BELLOMO, «La Cina deciderà il risiko minerario», Il Sole 24 Ore, 8/10/2014, goo.gl/iAib5M
17. ZHANG CHUNYAN, ZHENG YANGPENG, «Strategy Changes Boost Sovereign Wealth Fund», China Daily, 22/8/2014. goo.gl/kZUOkk
18. Per due diligence s’intende l’analisi di gestione condotta da un investitore per stabilire il valore e le condizioni di un’azienda che s’intende acquisire o in cui si vuole investire.
19. Li QING, «Closer Look: Audit of Cic Shows Its Corporate Governance Must Be Enhanced», Caixin, 19/6/2014.
20. ZHANG YUZHE, «With New Fund, China Hits a Silk Road Stride», Caixin, 9/12/2014. goo.gl/Kh3C9Z
21. DING XUEDONG, «China Will Profit from Feeding the World’s Appetite», Financial Times, 17/6/2014, goo.gl/JFflnH
22. «More than 40% of China’s Arable Land Degraded», China Daily, 5/11/2014. goo.gl/bvw0LR
23. «Xijinping shouci xitng chanshu “xin changtai”» («La prima elaborazione sistemica di Xi Jinping della “nuova normalità”»), Xinhua, 9/11/2014. goo.gl/vm0TQ0
24. «The State of Food and Agricolture», Food and Agricolture Administration (Fao), 2009, p. 10.
25. ZHONG NAN, «Flexibility Pledged for Grain Imports to Ensure Food Security», China Daily, 6/12/2014. goo.gl/jCD175
26. DING XUEDONG, op. cit.