Valerio Palmieri, Chi 18/3/2015, 18 marzo 2015
HO UNA PAROLA SOLA: VITTORIA
[Antonio Conte]
TORINO - MARZO
A vederlo arrivare incute timore, nonostante le rassicurazioni della sua manager, Giulia Mancini, («è molto simpatico»).
Antonio Conte è l’uomo che ha vinto tre scudetti di seguito con la Juventus come allenatore (cinque li aveva vinti da calciatore), tre “panchine d’oro” consecutive (premio assegnato dagli altri allenatori), tre premi AIC (quello, invece, votato dai calciatori) e dallo scorso luglio è il Ct della Nazionale. Conte è talmente esigente che la sua canzone preferita è Si può dare di più e si addolcisce solo quando parla della moglie, Elisabetta, e della figlia. Vittoria, di sette anni che, come vedremo, è l’unica a costringerlo a “staccare la spina” dal calcio, almeno quando è a casa. Difficile per uno come lui, da sempre abituato a vincere, e che, nonostante sia da pochi mesi alla guida della Nazionale, è conteso dai club di mezzo mondo (Paris Saint-German, Manchester City e Milan gli ultimi a farsi avanti).
Domanda. I calciatori si sposano giovani, lei ha conosciuto sua moglie quando ha smesso di giocare: in mezzo al campo non c’era spazio per i sentimenti?
Risposta. «Penso sia stata più una questione di maturazione, che mi ha permesso di trovare la persona giusta quando ero pronto a formare una famiglia».
D. Ci sono giocatori che, invece, non trovano pace, tipo Balotelli. Tutto quello che si scrive di lui sui giornali influenza il giudizio di un allenatore?
R. «No, assolutamente. Penso che per giudicare le persone bisogna conoscerle, non ci si può basare su racconti di altri o sul gossip. Già è difficile interpretare una persona, per farlo devi, almeno, avere un rapporto e capire chi ti trovi davanti».
D. Si dice che i giocatori della Juventus siano più “rilassati” senza di lei, le fa piacere o l’hanno fatta passare per il cattivo?
R. «Quando una squadra mi chiama lo fa perché vuole vincere. Una volta che ottengo l’obiettivo, l’importante è quello, le altre cose sono relative».
D. Da quando fa il Ct della Nazionale le manca non poter
andare al campo tutti i giorni ad allenare?
R. «Sicuramente faccio qualcosa di diverso rispetto al passato: prima avevo un contatto quotidiano con i giocatori e con il profumo dell’erba, ma ho deciso con il cuore e sono andato a scegliere la Nazionale in un momento non semplice, mi auguro che sia la cosa giusta».
D. Ha detto a Sanremo che resterà alla Nazionale, anche se non le hanno concesso gli stage che aveva richiesto: non le manca allenare la Juve o qualche altro grande club?
R. «Non è che manca il club. A me piace lavorare, vorrei lavorare, e mi sono accorto che in questa veste è più difficile farlo con una certa continuità e questo mi ha, fra virgolette, un po’ “deluso”».
D. Ha un contratto di due anni, fino all’Europeo.
R. «Stiamo lavorando per far crescere un gruppo di giovani emergenti insieme con i “senatori”, speriamo nei risultati».
D. È d’accordo con Arrigo Sacchi, il quale ha detto, forse con espressione infelice («ci sono troppi giocatori di colore nei settori giovanili»), che l’abbondanza di giocatori stranieri penalizza la Nazionale?
R. «Rispetto al 2006, quando l’Italia vinse il Mondiale, Lippi poteva scegliere fra un 64 per cento di giocatori italiani; oggi ho a disposizione un 33-34 per cento. Questo dato ti fa capire la difficoltà che ho nel selezionare i giocatori, è un grido che lanciamo da tempo, ma non viene recepito. Dispiace per Sacchi, per come è stato trattato (l’hanno accusato di razzismo, ndr), perché conosco la persona e il suo intendimento non era razzista».
D. Alla Juve le è mancata solo la Champions: che cosa si deve fare per vincere quel trofeo?
R. «Bisogna avere pazienza e anche l’umiltà di capire che oggi ci sono squadre di altri Paesi con più esperienza e più soldi. Detto questo, in Champions puoi andare avanti anche se hai un sorteggio favorevole, se non becchi il Bayern o il Real sino alla finale».
D. Il sogno come allenatore?
R. «Continuare a insegnare calcio oltre a vincere. Adesso sono in Nazionale, poi deciderò se cimentarmi all’estero o magari sposare qualche bel progetto in Italia».
D. Lasciò la Juve all’improvviso, forse per alcune divergenze sulla gestione del mercato e della squadra; ha chiesto più tempo per la Nazionale e non le è stato accordato: è lei che chiede troppo o sono gli altri che non la capiscono?
R. «Partiamo dal presupposto che da me ci si aspetta sempre il massimo risultato. Non è che chiedo troppo, ma so anche che, nell’immaginario collettivo, se una squadra prende Conte deve vincere. Negli ultimi sei anni ho vinto cinque campionati (tre di A e due di B, ndr), e la mia storia porta ad avere pressioni».
D. In che modo la sua famiglia la aiuta a staccare la spina?
R. «Non è semplice, quando allenavo i club mi portavo a casa i video delle partite, ma mia figlia voleva vedere i cartoni animati e mia moglie i film».
D. Conte contro Peppa Pig?
R. «No, mia figlia vuole Violetta!».
D. Fra una partita di Messi a Violetta chi vince a casa Conte?
R. «Non c’è discussione: vince Violetta».