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 2015  marzo 19 Giovedì calendario

L’AUSTRIA CI SUCCHIA IL FRIULI

[Intervista a Tommaso Cerno] –
La sua scrivania di direttore al Messaggero Veneto è un avamposto su un pezzo d’Europa. Tommaso Cerno, udinese, classe 1975 vede le grandi trasformazione che interessano l’Austria e la Slovenia, spesso subite, più che vissute, dal nostro Nord-Est. Ma da giornalista colto ed eclettico non rinuncia a sperimentare generi e linguaggi: dal 27 marzo porta su RaiTre, D-Day, un tentativo di fare storia, trattando le cadute di Hitler e Mussolini, 70 anni dopo, da un punto di vista psicologico e antropologico. E oltretutto in prima serata.
Domanda. Direttore, visto che sarà in onda a breve, questa chiacchierata sull’attualità politica facciamola partire dall’annunciata riforma della Rai.
Risposta. È importante l’idea di riformarla come azienda che cresce con il Paese, però, finché sarà solo un titolo è un po’ presto per parlarne. Come per molti libri i titoli possono essere meravigliosi ma non sempre corrispondono allo svolgimento. Leggeremo.
D. Allora passiamo a una riforma che c’è, come il Jobs Act, e di cui si registrano i primi effetti benefici a giudicare dalla notizia delle oltre 70mila imprese che hanno chiesto di assumere.
R. È una riforma che suscita l’interesse degli imprenditori per trovare, da parte della politica, una semplificazione che funzioni come enzima. Qualcosa che serva ad aziende che vorrebbero assumere ma che hanno una paura impercettibile di pericoli economici. Per questo mondo è un aiuto. Lo sarà anche per il lavoro? Un’azienda che assuma è una vittoria ma un posto di lavoro che si crea fa economia. E mi pare troppo presto per vedere se le cose vanno insieme.
D. Che tipo di imprenditori ha visto, in questo frangente?
R. Salvo una nicchia di coraggiosissimi, la media ha tenuto immobilizzati i propri soldi, timorosa. Ora si spera che smettano di pensare all’assunzione come spesa capestro, e che quindi tornino a investire in azienda. La sfida è creare lavoro nuovo: se si trattasse semplicemente di avere minori rigidità contrattuali, sarebbe deludente.
D. Il suo Friuli Venezia Giulia, da questo punto di vista, come sta andando?
R. La situazione è devastante. L’isola felice del Nord-Est non esiste più anzi, per almeno due ragioni, siamo quelli più in pericolo.
D. Cominciamo dalla prima.
R. La prima è che, per effetto di una riforma, dal 1997 la sanità è interamente a carico delle tasse dei friulani e si mangia la maggior parte della spesa pubblica regionale. Una sorta di federalismo obbligato, per cui lo Stato non paga più per noi. A questo quadro si sono aggiunti i tagli dell’attuale spending review nazionale.
D. Qual è il problema?
R. Che abbiamo supermercati per per cinque milioni e almeno sei strutture sanitarie di eccellenza più una miriade di piccoli ospedali in una regione che ha solo quattro province e un milione di abitanti. Difficilmente sostenibile.
D. L’altra questione?
R. I confini. Quello che una volta era un Muro di Berlino in piccolo, verso la Slovenia, e quello verso l’Austria, conducono oggi a una nuova Svizzera che offre alle nostre imprese di delocalizzare.
D. Che cosa occorre?
R. Strumenti legislativi: interventi a livello della tassazione, come accadeva una volta con la fiscalità di vantaggio e la benzina agevolata quando la gente andava in Slovenia a fare rifornimento, perché pagava meno. Oggi, che il concetto di agevolazione è superato, occorre almeno poter concedere al Friuli di modulare diversamente l’imposizione fiscale sulle aziende.
D. Sennò che accade?
R. Che siamo riusciti a trattenere l’Elettrolux ma che perderemo molte altre aziende che sono continuamente sollecitate, specialmente dall’Austria, che offre loro meno tasse, minore burocrazia, uno Stato meno aggressivo.
D. Facciamo un esempio?
R. La Danieli di Buttrio (Ud), multinazionale leader nella produzione di impianti siderurgici. Un gioiello. Resta perché radicata e perché il suo amministratore, Giampietro Benedetti, è legato a questa terra. Ma quanto potranno resistere alle lusinghe? Così perderemmo danaro e un marchio storico. Se Roma non interviene presto, sarà così.
D. Che cosa non capisce Roma?
R. Che ormai lo spostamento culturale non è più un problema, che si parla italiano anche aldilà di quei confini, che ci sono giovani ventenni che percepiscono la Lubijana o Vienna come casa loro. E se non puoi spostare l’Ilva da Taranto, per un’azienda che sta a Tarvisio (Ud) non è poi difficile.
D. Pensando a questi problemi, mi torna in mente una battuta che il suo ex-collega de L’Espresso, Marco Damilano, mi ha fatto l’altro giorno su Debora Serracchiani, governatrice del Friuli.
R. E quale?
D. Parlando della situazione del Pd, ha ricordato come Serracchiani sia presidente regionale e vicesegretario del partito e che parli di quest’ultimo come secondo lavoro ma che viene il dubbio che sia diventato il primo. Lei che ne pensa?
R. Che Serracchiani sta più in Friuli di qualunque governatore precedente. Il problema è casomai il renzismo.
D. Vale a dire?
R. Siccome Renzi, da sindaco di Firenze, è diventato premier, senza annunciarlo mai, nessuno crede più che il vicesegretario del Pd faccia il governatore. E la battuta di cui lei mi parla è la cosa meno renziana che Serracchiani potesse dire. Renzi non l’avrebbe fatta. Il problema è semmai un altro.
D. Ossia?
R. Che la vicenda, più che ambigua, è doppiamente difficile: Debora, da vicesegretario, deve avere a che fare con Matteo per la questione dell’autonomia, dato che lui, da sindaco della toscana comunale, ha ben presenti le storture del regionalismo e quindi mal sopporta questi piccoli stati. Ma poi...
D. Ma poi?
R. Ma poi Serracchiani, governatrice, deve rapportarsi a Renzi, premier, richiedendo quello di cui la sua regione ha bisogno. Un problema psicologico più che altro.
D. Durissima, oggi, difendere le regioni a statuto autonomo...
R. Tutti pensano che siano uguali, che il Friuli valga la Sicilia, dimenticando che sono agli antipodi: noi con la metà delle tasse trattenute, e quindi uno ventesimo dei soldi dei Siciliani, facciamo il doppio e stiamo in piedi.
D. Già che siamo arrivati a Renzi, mi dia un giudizio su questo governo a 13 mesi quasi dalla sua nascita.
R. Mi piaceva il Renzi-Davide contro Pier Luigi Bersani-Golia, c’era l’idea di un riformismo nuovo, di una nuova sinistra, in grado di abbattere la vecchia dottrina.
D. Oggi, invece?
R. Il Renzi-Golia di oggi è più complicato e meno originale.
D. Dove sta la complicazione?
R. Nelle riforme che annuncia e avvia effettivamente, anche se bisogna dire, onestamente, che, un tempo, i giornali giudicavano quelle di Amintore Fanfani in 25 anni, quelle di Ciriaco De Mita, in 10 e quelle di Silvio Berlusconi in cinque, mentre, per le riforme di Renzi, si vorrebbe poter valutare gli effetti in cinque mesi. Una fretta derivante anche dal metodo «einsteiniano» che lo stesso premier applica.
D. Prego?
R. Sì, Renzi mi pare convinto che la velocità alla quale viene fatta una riforma, ne modifichi anche la percezione da parte dei cittadini. È, praticamente, il Paradosso dei gemelli di Einstein.
D. Cioè una teoria fisica...
R. Sì, perché c’è una parte esausta del Paese che dice: meglio subito che dopo. Ma gli effetti, prima o poi, saranno misurabili, e quello sarà il vero banco di prova per il presidente del consiglio. Vedremo cioè se, oltre la velocità, c’è anche il ragionamento e la verifica politica.
D. Complessivamente il quadro politico come le pare?
R. Confuso. La sinistra, nel nome dell’antiberlusconismo, ha fatto scelte tutt’altro che progressiste nel campo della privacy e del rispetto della persona e dei suoi comportamenti sessuali. Incapace di farlo con le urne, sembra quasi aver affidato ad altri poteri il compito di abbatterlo. Così oggi B. fa il martire, sembra più viva dopo morto, come una madonna Laura di Petrarca. È non un caso che Renzi lo abbia battuto quando ha riporto tutto a un piano politico.
D. Mi sta dicendo che la sinistra ha fatto la destra?
R. Oltretutto una destra che non esiste neppure più, illiberale e spiona. Ed è diventata bacchettona la sinistra: reclamò il divorzio ma oggi sanziona moralmente l’adulterio. Pensi che il processo Ruby è stato reso possibile da una legge, assai discutibile, sulla prostituzione che la destra fece nel 2005 su pressioni della Lega. Siamo alla confusione degli schieramenti.
D. Nell’attualità politica dell’ultimo periodo c’è sempre di più il tema dei diritti gay. Renzi promette le unioni civili, lei che è stato dirigente dell’Arci Gay...
R. Al tempo: non lo sono mai stato, è una bufala che scrive Wikipedia. Certo sono omosessuale.
D. Bene, allora da omosessuale che cosa ne pensa?
R. È banale dire che è meglio essere tutti uguali, piuttosto che un po’ uguali e un po’ no.
D. Quindi?
R. Quindi capisco la semplicità della battaglia ma penso che il matrimonio egualitario sia il più grande favore che gli omosessuali possono fare alla destra conservatrice. Perché, se anche David Cameron è d’accordo, il trucco ci deve essere...
D. Spieghiamolo bene...
R. Essendo la famiglia tradizionale in crisi, per salvarla da morte certa, si fanno sposare tutti. Alle fine nel mondo omosex, siamo pieni di grandi teocon, per cui il nuovo mimetismo si chiama uguaglianza. La lotta dei diversi di un tempo è diventata battaglia degli uguali oggi, senza mai farsi una domanda su cosa stia succedendo.
D. E che cosa succede?
R. Che l’omofobia avanza anche tra i gay.
D. In che senso, mi scusi?
R. Nel senso che contano sempre più ricchezza e bellezza, sempre meno l’identità: un anziano viene trattato a pesci in faccia, un 50enne spesso snobbato. Abbiamo perso molti valori, se il matrimonio, da normale prassi, diventa un idolo significa che ci siamo persi per strada la grande battaglia di riforma del modello sociale che avevamo iniziato e ci accontentiamo di quello che c’è.
D. Lei su John versus Domenico Dolce che ha fatto, si è schierato?
R. John è simpatico, con la sua vocazione di diverso ma stando a corte, col titolo di baronetto. Dolce ha un’opinione legittima sui figli e ha diritto di volerla esprimere senza essere attaccati. Poi, però, ripenso alle reazioni che Dolce&Gabbana hanno avuto contro la giunta di Giuliano Pisapia, per alcune valutazioni espresse sull’inchieste fiscali che li aveva visti coinvolti e poi scagionati. C’è il diritto di manifestare un pensiero, ma anche il dovere di rispettare le istituzioni.
D. Torniamo alle unioni gay...
R. Sì, c’è la proposta di legge della senatrice Pd Monica Cirinnà, che mette insieme 18 proposte precedenti, e che potrebbe diventare quella definitiva.
D. Che gliene pare?
R. È po’ ipocrita dire, come si fa all’articolo 3, che, salvo l’adozione, produrrà tutti gli effetti del matrimonio, senza però avere il coraggio di pronunciare questo terminie. Io, che mi batto per le parole, credo che manchi qualcosa. E allora diremo che due uomini, o due donne, con quella legge, si potranno «cirinnare».
Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 19/3/2015