Marie Pierre Grondhal; Anne Sophie Lechevallier, Chi 18/3/2015, 18 marzo 2015
LE FOTO DELLO SCANDALO
[Yanis Varoufakis]
Siede sulla poltrona più scottante d’Europa, quella del ministero della Finanze elleniche: per una “mission impossibile” come salvare l’economia della Grecia, ci voleva un uomo speciale come Yanis Varoufakis. Che, però, ha fatto il suo primo passo falso: un servizio fotografico, quello che vedete in queste pagine, nel quale posa con la moglie ereditiera Danae Stratou nella loro bella casa ad Atene con vista sul Partenone. Sui social sono piovute le critiche e gli sfottò: Varoufakis fa il glamour mentre il suo Paese sprofonda nella crisi. Nelle foto la coppia mostra una sintonia e una leggerezza che sembrano comunque auspicare una ventata di ottimismo per tutto il Paese. Basterà l’amore per salvare le casse della Grecia? No, ma Varoufakis ci prova da quando gli è stato affidato il compito dal nuovo premier Alexis Tsipras. Dopo la formazione nel nuovo governo, l’Europa si interrogava su chi sarebbe stato l’interlocutore principale di Bruxelles. Nessuno si sarebbe aspettato un personaggio a sorpresa e carismatico come Varoufakis. Per trattare il debito greco si è presentato senza timori reverenziali e, allo stesso tempo, ha involontariamente imposto lo stile del politico virile tutto muscoli ma anche cervello. Classe 1961, Varoufakis è ormai il nuovo sex symbol della politica continentale e gli apprezzamenti degli addetti ai lavori (ma non solo) si sprecano. «Varoufakis è un uomo pieno di carisma», ha detto la conduttrice Marietta Slomka di Zdf, la seconda emittente pubblica tedesca. «Lo vedo bene come protagonista in un film come Die Hard 6». Folklore mediatico? Lui incassa i complimenti e tira dritto.
Domanda. A che punto è il suo Paese per quanto riguarda le finanze?
Risposta. «Nel 2010 la Grecia ha perduto l’accesso ai mercati. Purtroppo l’Europa e il governo greco di allora hanno deciso di rispondere a questo fallimento accordando al Paese il prestito più importante mai concesso. L’aritmetica prova che non può funzionare. Lo ripeto da cinque anni: questo “rimedio” non risolve niente. Ecco perché la crisi non finisce, nonostante gli enormi sforzi che hanno sopportato i greci. Hanno subito restrizioni, tagli alle pensioni, ai salari, alle spese pubbliche.
In questo periodo sono aumentate le tasse, ma quelle dei deboli, non quelle dei ricchi».
D. Bruxelles le ha concesso soltanto una tregua di qualche settimana.
R. «I tecnici dell’eurogruppo hanno quella che io definisco una naturale inerzia istituzionale. Nessuna istituzione ama cambiare. Difendendo accanitamente il nostro caso, siamo riusciti a smuoverli. Certo, si tratta di un successo temporaneo e si deve ancora definire la procedura. La strada è lunga non si può risolvere tutto in un giorno».
D. In giugno avrete bisogno di un nuovo piano di salvataggio?
R. «Nel 2010, in occasione del primo piano, la mia posizione era molto semplice: quando un paese è in default, non deve più prendere soldi a prestito. La penso ancora così. Anzitutto si deve ristrutturare lo Stato con le riforme e ridimensionare il debito negoziando. Poi, se avremo bisogno di ulteriori prestiti, li chiederemo».
D. Secondo lei chi desidera davvero che la Grecia esca dalla zona euro?
R. «Gli antieuropei, i membri della sinistra, e ce ne sono anche dentro Syriza (la coalizione greca della sinistra radicale, ndr), che ritengono che una “grexit” (l’uscita della Grecia dall’euro, ndr) sia sinonimo di libertà. E una posizione legittima, ma non sono affatto d’accordo con loro. Il nostro governo non prenderà mai in considerazione una “grexit”».
D. E la Germania, lo farà?
R. «Credo che neppure la Germania lo voglia. La “grexit” viene utilizzata come minaccia per spingere la parte avversa a piegarsi. È un errore. Così come, da parte nostra, sarebbe un errore utilizzarla per trattare».
D. Dopo i negoziati a Bruxelles, resta valida la sua affermazione che l’Europa “è una gabbia di ferro nella quale i cittadini si sentono soffocati e traditi”»?
R. «Il progetto europeo era un’idea fantastica: riunire insieme le grandi democrazie per condividere la prosperità. Oggi è nostro dovere impedire chel’Europa diventi quella gabbia di ferro, e possiamo farlo ripensando alle politiche che applichiamo».
D. Lei è uno dei ministri delle Finanze più qualificati. La sua conoscenza della macroeconomia è la spiegazione del perché i negoziati siano tesi?
R. «Le discussioni si svolgono in un tono molto legale e sono basate soltanto su diritto e procedure. Non abbiamo avuto occasione di discutere le conseguenze macroeconomiche delle decisioni che prendiamo. È molto strano. Fin dall’inizio degli anni Cinquanta l’Unione europea ha cercato di depoliticizzare il proprio funzionamento, e questo ha trasformato i dibattiti e ha creato una zona priva di democrazia. Quando l’eurogruppo cerca di depoliticizzare le discussioni, arriva a prendere pessime decisioni economiche e approda a politiche molto conservatrici».