Gabriele Romagnoli, Vanity Fair 18/3/2015, 18 marzo 2015
CHI HA UCCISO LA SERIE A?
Domenica scorsa, 15 marzo 2015, dopo lunga agonia, si è definitivamente spento il campionato italiano di calcio (conosciuto come serie A). Non lo ha ucciso la Juventus, che si limita da quattro anni a vincerlo per distacco e mancanza di avversari. Si è trattato piuttosto, come nei grandi delitti della storia, di una congiura a cui hanno partecipato, chi con entusiasmo e chi con indifferenza, numerosi complici tra i quali va divisa (ma non sarà assegnata) la responsabilità.
La fine è stata certificata alle 15 del pomeriggio. In quel momento, ancora ritenuto per inerzia, centrale, è andata in onda la diretta gol di Sky Sport (e, da qualche parte nell’etere, ciò che resta di Tutto il calcio minuto per minuto). Nonostante l’enfasi dei promo e la baldanza dei cronisti c’erano appena tre partite, queste: Atalanta-Udinese, Genoa-Chievo, Sassuolo-Parma. Come se in un ristorante a 5 stelle il menu si riducesse a tre piatti freddi: carne in scatola, fagiolini, sottilette. Per scaldare, hanno aggiunto il presunto big match della B: Bologna-Modena, tanto non si capiva la differenza, infatti è finito pure quello con uno squallido 0 a 0.
Poi non è che le partite del sabato sera, della domenica a pranzo, del lunedì a merenda abbiano cambiato il quadro: tristezza e noia. Se per fare una prova occorrono tre indizi, eccone dieci, capaci di dimostrare che lo sport più amato dagli italiani è alla frutta.
1. In estate, dopo il secondo fallimento mondiale consecutivo, ha cambiato la dirigenza affidandosi a un presidente federale (Tavecchio) così moderno che al confronto il califfo dell’Isis è un innovatore spericolato.
2. Il livello è tale che non solo stanno a galla, ma risultano i migliori, commendatori che hanno vinto un mondiale nel 2006 quando già erano belli maturi e che oggi hanno quasi quarant’anni, acciacchi e beghe familiari: Toni, Pirlo, Totti, Buffon.
3. Non affiora un giovane attaccante italiano di talento, non uno. E la Roma ha comprato Doumbia.
4. In fondo alla fila c’è una squadra, il Parma, che ogni tanto gioca e ogni tanto no. Che la società fosse allo sbando era chiaro da tempo: comprava e vendeva cento giocatori a mercato, ma non aveva mille euro per pagare l’Irpef. Eppure tutti han fatto finta di non vedere, come già fecero finanza, politica e media nel crac Parmalat. Allora si levò la voce profetica di un comico, Beppe Grillo. Oggi fa il leader di un partito. Un suo affiliato, benché ribelle, è sindaco a Parma.
5. È altrettanto prevedibile che, nel giro di due anni, altre società guidate da presidenti spettacolari riveleranno voragini nei conti, ma nessuno controlla o prende precauzioni.
6. Nel girone di ritorno si giocano partite combinate che solo i tifosi accecati scambiano per vere: squadre già salve e non in corsa per l’Europa perdono in casa contro altre che risalgono dal fondo promettendo in cambio i tre punti all’andata del torneo successivo. Su quelle partite girano scommesse milionarie piazzate da Tirana o Manila in nome e per conto di chi sa. E chi altro sa, tace.
7. L’anno scorso la finale di Coppa Italia è stata Napoli-Fiorentina e si è disputata a Roma, sede designata. Un film dell’orrore: aggressione ai napoletani, uccisione di un tifoso, stadio e autorità ostaggi di Genny ’a carogna. Mai più. Quest’anno la sede designata è: Roma. Probabili qualificate in virtù dell’andata delle semifinali: Napoli e Fiorentina.
8. Con le attuali classifiche nel prossimo campionato di serie A ci sarebbero solo due squadre del Sud (Napoli e Palermo). Lo stesso numero espresso dalla provincia di Modena (Sassuolo e Carpi).
9. Un concetto non è mai stato chiarito: i magnati stranieri che investono nel calcio italiano non hanno come scopo comprarsi una vecchia squadra, ma vendere uno stadio nuovo.
10. Uno studio commissionato dalla Figc prevede che nei prossimi dodici anni l’Italia faticherà perfino a qualificarsi a Mondiali ed Europei e nessuna delle sue squadre vincerà una competizione internazionale. Tavecchio non l’ha letto.
Esistono rimedi? Li suggeriscono da anni, ma la follia dei dirigenti non ha voluto saperne. Se non fanno orecchie da mercanti loro, chi altri? Venti squadre son troppe, tre retrocessioni pure. Occorrono un tetto alla rosa dei giocatori (massimo 25 più il vivaio) e un monte ingaggi. In fondo, così funziona il fantacalcio, ma quello è un gioco, ossia una cosa seria e chi lo pratica rispetta regole precise. Poi, ma questo è un sogno personale, sarebbe meraviglioso avere i play off, giocare da marzo come si gioca in Champions: due partite secche, uno sopravvive uno muore. La Fiorentina potrebbe eliminare la Juventus, il Torino il Napoli. Non sapresti a gennaio come va a finire. Avresti attese, sorprese, memorie. Invece, chi mai si ricorderà che cosa accadde domenica 15 marzo? Niente, come quando una cosa bella non c’è più.