Sara Faillaci, Vanity Fair 18/3/2015, 18 marzo 2015
NOI, PAPA’ PINO ABBIAMO CAPITO
«Claudio, ricordi? Saranno ormai trent’anni».
L’ultima volta che ha messo piede nello studio del fotografo Claudio Porcarelli, Fabiola Sciabbarrasi era una modella alle prime armi. Ci torna, oggi, da vedova di Pino Daniele, il cantautore morto il 4 gennaio. Che il 19 marzo, giorno anche del suo onomastico, avrebbe compiuto 60 anni.
Occhi blu, capelli lunghi ramati: Fabiola ha ancora la stessa bellezza, e lo stesso fisico sottile, quasi androgino. Proprio con l’idea di renderla più femminile, la madre la mandò, quando era ancora al liceo, a fare un corso di portamento. Finì che la scelsero per partecipare a Fantastico 8. Poi la chiamarono a Milano, a sfilare per Versace, Armani, Blumarine. Una carriera, però, breve. Fabiola aveva 24 anni quando incontrò Pino Daniele. Lui ne aveva 38 e si stava separando dalla prima moglie Dorina Giangrande, madre di Alessandro e Cristina. Seguirono le nozze, due decenni di totalizzante vita di coppia, tre figli: la diciottenne Sara, la tredicenne Sofia e Francesco, 9. Ma non erano destinati a invecchiare insieme.
La coppia è già in crisi quando, nel 2013, Pino conosce Amanda Bonini, con cui poco dopo decide di trasferirsi nella loro casa di famiglia in campagna a Magliano, in Toscana. L’epilogo, due mesi e mezzo fa: il cantautore, che soffre da sempre di cuore, ha un malore il 4 gennaio, mentre è in Maremma con la compagna e tre dei cinque figli. La tragedia si consuma in neppure due ore: la chiamata al pubblico intervento, l’ambulanza rimandata indietro per la decisione improvvisa di recarsi dal medico curante a Roma, la folle corsa in auto con Amanda, la gomma forse forata. Quando Pino arriva in ospedale, per lui non c’è più niente da fare.
Nel modo peggiore, quello che mai avrebbe voluto, Fabiola torna suo malgrado sotto i riflettori. Finisce su siti e giornali fotografata in lutto al funerale del marito, da cui non si è mai legalmente separata. Chiede pubblicamente la verità su quella notte, vuole sapere se il padre dei suoi figli, soccorso tempestivamente, si sarebbe potuto salvare. La nuova compagna si difende, dice di aver fatto solo quello che Pino le ha chiesto. Le procure di Grosseto e Roma aprono un’inchiesta che è ancora in corso.
Ma non è per parlare di questo che Fabiola ha accettato di farsi intervistare e fotografare con i suoi figli: è per dire, proprio a loro, una cosa importante. Il 19 marzo, oltre che il compleanno di Pino, è anche la festa del papà. Il marito e il padre che hanno perso resterà immortale grazie alla sua musica. Per loro, invece, la vita continua. Deve continuare.
È sparita per due mesi.
«Sono stata in una cripta, dico io. Avevo bisogno di metabolizzare e smaltire quello che è successo, che non sarebbe dovuto succedere. Un dolore improvviso a cui non eravamo preparati. Ho avuto paura di non farcela, di non reggere, da sola, la responsabilità dei nostri figli».
Ora però è qui, con i suoi ragazzi.
«Voglio mostrare loro che sono forte, che il dolore si può trasformare in vita. Li vedo così protettivi nei miei confronti. Il piccolo, poi, sembra diventato improvvisamente uomo. Lui e Sofia erano con il padre in Toscana la sera in cui si è sentito male, me li ha riportati a casa Cristina, la figlia grande di Pino. Non sapevo come dare la notizia a Francesco, gli ho detto: “Papà si è addormentato”. “E non si sveglia più?”. “No, amore, è diventato un angelo”. E lui, tutto serio: “Allora è morto. Va bene, mamma, ho capito. Adesso ci guarderà dall’alto e ci proteggerà. E comunque ci sono io accanto a te”».
Le figlie, invece?
«Affrontano il dolore a modo loro. Sara, giorni fa, si è messa i vestiti del padre e ha postato la sua foto con un messaggio su Instagram (vedi pag. 144). Sofia è quella che vuole apparire più forte, mi sprona a darmi da fare, chiede dei miei progetti. Capisco che il loro umore dipende dal mio sguardo e dal mio sorriso, per questo sono io la prima a dover riprendere a vivere, a lavorare».
Finora ha fatto la mamma?
«Con Pino c’era anche una collaborazione professionale: mi occupavo del marketing e dell’immagine di molti progetti. E poi, qualche anno fa, ho iniziato a fare cose per conto mio: sono stata consulente per la produzione artistica dello show di Panariello, prima ancora avevo avuto lo stesso ruolo nella Domenica In condotta da Lorella Cuccarini. Inoltre, c’era l’impegno sociale con la mia società F&LEntertainment (F sta per Forever, L per Love, ndr), che andava in parallelo con gli eventi di beneficenza di Pino. Ho intenzione di continuare, stiamo già programmando altre iniziative in collaborazione con due amiche care, Rosella Sensi e Lorella Cuccarini».
Rimpiange il mondo della moda?
«È stato il mio primo amore professionale, amavo il mio lavoro, ma non era la mia priorità. Ero una ragazza molto seria, cresciuta all’Eur da una famiglia semplice di origine siciliana, mi ero anche iscritta a Psicologia, ma poi ho incontrato Pino. Di carattere era schivo e, da buon napoletano, piuttosto geloso. La sua parola d’ordine, in fatto di abbigliamento, era “Copriti”. Non siamo mai stati una coppia da red carpet».
È stato il suo primo amore?
«In realtà a 21 anni avevo avuto un primo matrimonio, durato pochi mesi. Lui era un imprenditore romano, trent’anni più grande di me. Forse il tempo passato da sola a Milano mi aveva spinto a cercare inconsciamente una figura di protezione. Ma non ero felice, non la vedevamo allo stesso modo, per lui contava solo l’apparenza».
Con Pino, invece?
«Scattò subito un’intesa mentale, prima che fisica. Feci la sua conoscenza a casa di Massimo Troisi, compagno della mia amica e collega Nathalie Caldonazzo, una sera in cui non volevo neanche uscire perché ero fresca di separazione: li raggiunsi dopo cena, in tuta. Non conoscevo tutto il repertorio di Pino, ma adoravo la canzone Quando, che era la colonna sonora del film di Massimo Pensavo fosse amore invece era un calesse».
Lui come la conquistò?
«Con il suo sorriso. Come tanti napoletani, aveva una simpatia insolente e una grande ironia. Non era timido, era capace di essere molto solare quando voleva, ma anche di alzare barriere invalicabili se non voleva farti passare. Ci volle un anno, comunque, prima che ci mettessimo insieme. C’erano le separazioni da gestire: la sua, con due figli, era più complicata, e io volevo una situazione chiara. Nel frattempo uscì quel suo brano, Occhi blu non mi mollare. Lo presi in giro: “Hai sempre nel cassetto una canzone per far colpo sulle donne?”».
Anche il look di Pino, in quel periodo, cambiò.
«L’amore spinge a migliorarsi. Stavamo insieme già da due o tre anni, sempre con grande discrezione, quando uscì Io per lei. A un concerto Pino mi presentò Cecchetto, che subito mi disse: “Allora sei tu Io per lei”».
Non sarà stato sempre facile stare con lui.
«Era un uomo che andava protetto. Come tutti i buoni, a volte esplodeva, e litigava con il migliore amico, con il suo manager. Di solito ero l’unica che riusciva a calmarlo, a fare da paciere. Poi c’erano i momenti di introspezione, quando voleva stare da solo. I rapporti con gli altri potevano complicarsi molto, e i test di ammissione diventare sempre più
lunghi».
Con i figli che padre era?
«Li ha voluti e amati immensamente. Francesco, che è arrivato quando Pino aveva già 51 anni, gli ha dato una sferzata di energia. I grandi li aveva avuti molto giovane, se li era potuti godere di meno. Certo, occuparmi dei figli significava non poterlo più seguire: “Hai un altro uomo nella tua vita”, mi diceva con il suo sorriso ironico quando nacque il maschietto. Non era un padre presente nel quotidiano, ma la qualità del suo amore era importante, fino a quando non ci siamo allontanati».
Che cosa è successo?
«Quando Francesco è arrivato all’età della scuola materna ho sentito l’esigenza di rimettermi in pista, come spiegavo, anche con progetti professionali miei. Pino ne era felice ma il suo “integralismo” a volte prevaricava: sentiva di non avermi in esclusiva e questo lo destabilizzava. Il grande equivoco tra noi è stato pensare che qualcosa fosse davvero cambiato. Magari qualcosa era cambiato, ma l’abbiamo esasperato. Non c’erano ancora terze persone di mezzo, ma entrambi ci siamo creati in testa fantasmi sempre più ingombranti. Finisce che ti trovi nell’impossibilità di riavvicinarti perché non riconosci più il rapporto, soprattutto se pensi a come era prima».
Il matrimonio si poteva salvare?
«Forse, se avessimo comunicato di più. Ma all’improvviso, durante quell’allontanamento, si è inserita una terza persona e gli equivoci sono aumentati. Pino mi aveva sempre detto che non poteva stare solo: forse ho voluto metterlo alla prova, capire dove potevamo arrivare».
Rimpianti?
«Quello di non aver gestito la separazione con una serenità che avrebbe tutelato maggiormente i figli. A loro, purtroppo, abbiamo mostrato una brutta immagine che non rispondeva alla realtà. Ma il nostro era stato un amore grande e forse, come tale, ha avuto bisogno di uno strappo altrettanto grande per finire. Mi rammarico perché è vero che nelle separazioni c’è sempre dolore, ma io ho assistito a quelle di amici dove il padre continua a fare il padre, è presente. Purtroppo i miei ragazzi, nell’ultimo anno e mezzo, hanno vissuto poco l’amore del papà».
Perché?
«La scelta di Pino di andare a vivere in Toscana, quando i nostri figli vanno a scuola e vivono a Roma, ha parecchio ostacolato i rapporti. Le volte in cui riuscivano a vedersi, poi, i ragazzi si lamentavano con me per non essere mai rimasti soli con il padre. Non contesto la compagna che si è scelto, gli amori di una vita possono essere molto diversi tra loro. Contesto il modo in cui questa storia è stata imposta ai miei figli, causando in loro sofferenza, e allontanandoli da lui».
Le sue figlie sono abbastanza grandi. Non provarono a parlargli?
«Era cambiato anche il loro modo di comunicare. Mi hanno raccontato che Pino si mostrava ostile quando accennavano all’argomento, come se fosse vessato da qualcosa di oscuro che voleva rendere più profondo il distacco da noi. Amava troppo i figli per allontanarli volontariamente dalla sua vita in quel modo. E sono convinta che questo esilio gli abbia causato un dolore estremo. I figli per lui erano tutto: non averli vicino deve avergli creato uno strappo nell’anima».
E ora che lui non c’è più, la ferita come guarisce?
«Ai ragazzi ho dato una spiegazione che è quella che ho scelto per me: è come se il papà, da capobranco, sentendo che era in arrivo il distacco terreno definitivo, avesse voluto anticiparlo a piccoli passi, per abituarli alla sua assenza e renderlo per loro meno doloroso».
Lei come viveva la malattia di Pino?
«Quando ci siamo conosciuti era già stato operato, aveva dei bypass. Conoscevo la sua terapia a memoria, sapevo che in caso di malore la cosa più importante era la tempestività, in qualunque posto andassimo chiedevo subito dov’era il più vicino centro cardiologico e controllavo di avere tutti i farmaci dietro».
Lui questa cosa la viveva con ansia?
«No, ne era molto consapevole e sapeva come affrontarla. Del resto aveva un fisico molto forte altrimenti, con quel problema congenito, non avrebbe mai potuto fare quello che faceva. Era instancabile, finiva un concerto e subito ripartiva».
L’ha fatto anche la notte di Capodanno, dopo la serata a Courmayeur.
«Ho visto quell’esibizione solo dopo la sua morte. Se l’avessi visto prima... Era evidente, per me, che stava male. Me lo aveva anche scritto, in verità, ma sapevo che aveva un controllo il 5 gennaio. Al di là della dinamica di quella notte, che sarà accertata dai magistrati, mi chiedo come sia possibile pensare di trasportare un cardiopatico in pieno malore su una strada statale, a 200 all’ora, per 180 chilometri. Questa per me è stata la follia più grande».
Pino con Napoli aveva un rapporto contrastato. Vivevate a Roma.
«Se n’era andato da Napoli ben prima di conoscermi. Io ho sempre amato la sua città, e ringrazio il sindaco De Magistris per l’affetto che ha dimostrato nei nostri confronti. Proprio il 19 marzo ha organizzato una cerimonia di omaggio a Pino, durante la quale verranno consegnati a noi familiari i libri con le frasi che il popolo di Napoli gli ha dedicato, durante l’ostensione della sua urna al Maschio Angioino. Ci sarà poi un regalo speciale per il piccolo Francesco».
Prima parlava del suo futuro: ha intenzione di occuparsi anche dell’eredità e della memoria artistica di suo marito?
«Certo, faremo una fondazione, anche con i suoi figli Cristina e Alessandro, che lavoravano da tempo con lui. Tra noi c’è sempre stato grande rispetto, insieme eravamo una famiglia».
I rapporti con la famiglia d’origine di suo marito invece com’erano?
«I genitori ho fatto in tempo a vederli una volta, prima che mancassero. Con i fratelli Pino non si vedeva spesso, per la lontananza e per le normali dinamiche familiari, ma io l’ho sempre incoraggiato all’accoglienza, come è nel mio carattere».
Lei oggi ha qualcuno accanto.
«Penso sia giusto che accada, perché l’amore è vita. Le dimostrazioni di affetto che mi arrivano da chi mi vuole bene avvolgono me e, di conseguenza, i miei figli. Ma tutto avverrà nei giusti tempi, per non creare traumi. Ce ne sono stati già abbastanza».
Sara, Sofia e Francesco arrivano sul set dopo la fine delle lezioni. Hanno frequentato tutti la scuola americana, la più grande è iscritta a Scienze della comunicazione in lingua inglese. L’idea del fotografo è una Fabiola materna e protettiva, ma sono loro a circondare e abbracciare lei. Li guardo e penso che davvero Pino Daniele continua a vivere. Nella sua musica e, soprattutto, in loro.