Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  marzo 19 Giovedì calendario

DEBITO PUBBLICO


[Note alla fine]

C’è stato un tempo in cui gli Stati si potevano liberare facilmente del fardello del debito. Per esempio era sufficiente ai re di Francia far giustiziare i propri creditori per risanare le loro finanze: una forma balbettante ma comune di «restauro» (1). Il diritto internazionale ha privato i debitori di una tale soluzione. Esso aggrava la loro posizione imponendo loro la continuità dell’impegno.
Se i giuristi si riferiscono a quest’obbligo con una formula latina – Pacta sunt servanda - («I patti devono essere rispettati») -, le traduzioni più diverse sono circolate nel corso delle ultime settimane. Versione moralizzatrice: «La Grecia ha il dovere etico di rimborsare il suo debito» (Fronte nazionale). Versione nostalgica del cortile della ricreazione: «La Grecia deve pagare, sono le regole del gioco» (Benoît Coeuré, membro del direttivo della Banca centrale europea). Versione insensibile alle suscettibilità popolari: «Le elezioni non cambiano nulla» agli impegni degli Stati (Wolfgang Schäuble, ministro delle finanze tedesco) (2).

Il debito ellenico sfiora i 320 miliardi di euro; proporzionalmente alla produzione di ricchezza, è aumentato del 50% dal 2009. Secondo il Financial Times,«rimborsarlo richiederebbe alla Grecia di funzionare come un’economia in schiavitù» (27 gennaio 2015). Ma i «principi» mal si adattano all’aritmetica. «Un debito è un debito», martella la direttrice del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde (Le Monde, 19 gennaio 2015). Altrimenti detto: non importa sapere se la Grecia possa pagare o meno, è necessario che paghi...

La dottrina Pacta sunt servanda non ha tuttavia nulla di granitico (3): «L’obbligo di rimborsare i propri debiti formulato dal diritto internazionale non è mai stato considerato come assoluto e si è frequentemente visto limitato o sfumato», precisa un documento della Conferenza delle Nazioni unite sul commercio e lo sviluppo (Unced) (4). Denuncia di debito «odioso» (prestito realizzato da un governo dispotico [5]), di debiti «illegittimi» (contratti senza rispettare l’interesse generale della popolazione [6]) o da «vizi del consenso», gli argomenti giuridici per giustificare la sospensione dei pagamenti non mancano, o addirittura la cancellazione di tutti o parte dei debiti che opprimono un paese. A cominciare dall’articolo 103 della Carta dell’Organizzazione delle nazioni unite (Onu), che proclama: «In ogni caso di contrasto tra gli obblighi contratti dai Membri delle Nazioni unite con il presente Statuto e gli obblighi da esso assunti in base a qualsiasi altro accordo internazionale, prevarranno gli obblighi derivanti dal presente Statuto». Fra questi, troviamo, all’articolo 55 della Carta l’impegno degli Stati a favorire «un più elevato tenore di vita, il pieno impiego della manodopera, e condizioni di progresso e sviluppo economico e sociale».

Un giovane greco su due è disoccupato; il 30% della popolazione vive sotto la soglia di povertà; il 40% ha passato l’inverno senza riscaldamento. Una parte del debito è stata generata sotto la dittatura dei colonnelli (1967-1974) nel corso della quale è quadruplicata; un’altra è stata contratta in pregiudizio alla popolazione (visto che era largamente mirata a rimpinguare gli istituti di credito francesi e tedeschi); un’altra ancora deriva direttamente dalla corruzione dei dirigenti politici da parte di multinazionali desiderose di vendere i loro prodotti, talvolta difettosi, ad Atene (come la società tedesca Siemens [7]); senza parlare della bassezza di banche come Goldman Sachs, che ha aiutato il paese a dissimulare la sua fragilità economica... I greci dispongono di mille e una giustificazione per ricorrere al diritto internazionale e alleggerire il fardello di un debito che una verifica potrebbe stabilire come odioso, illegittimo e illegale. L’applicazione del diritto riposa però molto spesso sulla natura del rapporto di forza tra le parti.

Nel 1898 gli Stati uniti dichiarano guerra alla Spagna prendendo a pretesto un’esplosione a bordo della Uss Marine, ormeggiata nel porto de L’Avana. «Liberano» Cuba, che trasformano in protettorato – riducendo «l’indipendenza e la sovranità della Repubblica cubana allo stato di chimera (8)», secondo il generale cubano Juan Alberto Gómez che aveva partecipato alla guerra d’indipendenza. La Spagna esige il rimborso dei debiti che l’isola aveva «contratto sotto di essa»; nella fattispecie, le spese dell’aggressione subita. La Corona si appoggia su quello che il signor Coeuré avrebbe senza dubbio chiamato «regole del gioco». Come ricorda la ricercatrice Anaïs Tamen, «la richiesta spagnola si appoggiava su fatti analoghi, in particolare sui comportamenti delle sue ex colonie che avevano preso a proprio carico la parte di debito pubblico spagnolo che era servita alla loro colonizzazione». Gli Stati uniti stessi non avevano «riversato più di 15 milioni di sterline al Regno unito una volta avuta l’indipendenza» (9)?

Washington non l’intende così e avanza un’idea ancora più diffusa (che contribuirà a costruire la nozione di debito odioso); non si dovrebbe esigere da un popolo il rimborso di un debito contratto per asservirlo. La stampa statunitense riprende con fermezza questa posizione: «La Spagna non deve coltivare la minima speranza che gli Stati uniti siano abbastanza stupidi o molli da accettare la responsabilità delle somme servite a schiacciare i cubani», proclama il Chicago Tribune del 22 ottobre 1898. Cuba non verserà nemmeno un centesimo.

Qualche decennio prima, il Messico aveva tentato di sviluppare degli argomenti analoghi. Nel 1861, il presidente Benito Juárez sospende il pagamento del debito, in grande parte contratto dai regimi precedenti, fra i quali quello del dittatore Antonio López de Santa Anna. La Francia, la Gran Bretagna e la Spagna occupano allora il paese e fondano un impero che consegneranno poi a Massimiliano d’Austria.

Così come l’Urss, che nel 1918 annuncia che non rimborserà i debiti contratti da Nicola II (10), gli Stati uniti esercitano nuovamente la loro pressione a beneficio dell’Iraq all’inizio del XXI secolo. Qualche mese dopo l’invasione del paese, il segretario dell’Erario John Snow annuncia su Fox News: «È evidente che il popolo iracheno non deve essere sommerso dai debiti contratti a beneficio di un regime il cui dittatore è ormai in fuga» (11 aprile 2003). La cosa più urgente per Washington era assicurare la solvibilità del potere che aveva appena instaurato a Baghdad.

Emerge dunque un’idea che stupirebbe i sostenitori della teoria della «continuità degli impegni degli Stati»: il pagamento del debito sarebbe più una questione di matematica che di principio. «La cosa più importante è che il debito sia sostenibile», osa un editoriale del Financial Times il 16 giugno 2003. La logica conviene a Washington: i conti hanno parlato e gli Stati uniti si assicurano che il loro verdetto s’imponga agli occhi dei principali creditori dell’Iraq, Francia e Germania in testa (con rispettivamente 3 e 2,4 miliardi di dollari in titoli in loro possesso). Con l’urgenza di mostrarsi «giusti e flessibili» questi ultimi – che rifiutavano di cancellare più del 50% del valore dei titoli che detenevano – concedono alla fine una riduzione dell’80% dei loro crediti.

Tre anni prima né la legge dei numeri né quella del diritto internazionale erano state sufficienti per convincere i creditori di Buenos Aires a far prova di «flessibilità». Eppure, arrivando a circa 80 miliardi di dollari durante il default di pagamento, nel 2001, il debito argentino si rivela insostenibile. Deriva per di più da prestiti realizzati dalla dittatura (1976-1983), ciò che lo qualifica come odioso. Niente da fare: i creditori esigono di essere rimborsati, altrimenti interdiranno a Buenos Aires l’accesso ai mercati finanziari.

L’Argentina resiste. Le si prometteva la catastrofe? Fra il 2003 e il 2009 la sua economia registra un tasso di crescita fra il 7 e il 9%. Fra il 2002 e il 2005 il paese propone ai propri creditori di scambiare i loro titoli con titoli nuovi, del valore inferiore del 40%. Più di tre quarti accettano, riluttanti. Più tardi il governo rilancia nuovi negoziati che giungono, nel 2010, a un nuovo scambio di titoli con il 67% dei creditori restanti. L’8% dei titoli non ancora pagati dal 2001 non è stato tuttavia oggetto di un accordo. Alcuni fondi avvoltoio cercano oggi di farli rimborsare e minacciano l’Argentina di condurla a un nuovo default (11).

Le basi del miracolo tedesco

I creditori accettano, malvolentieri, la perdita di valore dei titoli che detengono. Eppure, si rassegnarono alla conferenza internazionale creata per alleggerire il debito pubblico della Repubblica federale tedesca (Rft), che si tenne a Londra fra il 1951 e il 1952. I dibattiti dell’epoca ricordano quelli che circondano la Grecia contemporanea, a cominciare dalla contraddizione fra «principi» e buon senso economico.
«Sono in gioco miliardi di dollari», scrive il giornalista Paul Heffernan, che segue il dibattito per il New York Times. «Ma non si tratta solo di una questione di denaro. Le conferenze al palazzo di Lancaster House tratteranno prima di tutto uno dei principi vitali del capitalismo internazionale: la natura sacrosanta dei contratti internazionali» (24 febbraio 1952). Con l’animo a queste preoccupazioni, i negoziatori – principalmente britannici, francesi e tedeschi – sentono ugualmente quelle della Germania. In una lettera del 6 marzo 1951, il cancelliere Konrad Adenauer intima ai suoi interlocutori di «prendere in considerazione la situazione economica della Repubblica federale», «in particolare il fatto che il carico del proprio debito cresce e che l’economia si contrae». Come riassunto dall’economista Timothy W. Guinnane, tutti si convinceranno presto che «ridurre il consumo tedesco non costituisce una valida soluzione per garantire il pagamento del debito (12)».

Un accordo viene infine firmato il 27 febbraio del 1953, anche dalla Grecia (13). Questo accordo prevede la riduzione di almeno il 50% dell’importo preso in prestito dalla Germania fra le due guerre mondiali; una moratoria di 5 anni per il rimborso dei debiti; un rinvio sine die dei debiti di guerra che avrebbero potuto essere stati reclamati a Bonn, ciò che conduce Eric Toussaint, del Comitato per l’annullamento del debito del terzo mondo (Cadtm) a stimare la riduzione dei debiti tedeschi al 90% (14); la possibilità per Bonn di rimborsare con la propria moneta; un limite agli importi destinati al servizio del debito (5% del valore delle esportazioni del paese) e al tasso d’interesse fornito dalla Germania (ugualmente del 5%). E non è tutto. Desiderosi, precisa Heffernan, «che un tale accordo non sia che il preludio ad uno sforzo mirato a dirigere la crescita tedesca», i creditori forniscono alla produzione tedesca i mercati dei quali ha bisogno e rinunciano a vendere i loro stessi prodotti alla Repubblica federale. Per lo storico dell’economia Albrecht Ritschl, «queste misure hanno tirato fuori dai guai Bonn e gettato le fondazioni finanziarie del miracolo economico tedesco(15)» degli anni ’50.

Da tempo Syriza – al potere in Grecia in seguito alle elezioni del 25 gennaio – domanda di poter beneficiare di una conferenza di questo tipo, animata dalle stesse preoccupazioni. In seno alle istituzioni di Bruxelles il sentimento sembra essere quello di Leonid Bershidsky: «La Germania meritava un alleggerimento del suo debito, non la Grecia». In un dibattito apparso il 27 gennaio 2015, il giornalista del gruppo Bloomberg sviluppa la sua analisi: «Una delle ragioni per le quali la Germania dell’ovest ha beneficiato di una riduzione del suo debito è che la Repubblica federale doveva diventare un muro contro il comunismo. (...) I governi della Germania occidentale che beneficiarono di queste misure erano risolutamente antimarxisti».

Il programma di Syriza non ha nulla di «marxista». La coalizione rivendica una forma di social democrazia moderata, comune ancora qualche decennio fa: Da Berlino a Bruxelles, sembrerebbe che ciò sia diventato intollerabile.


Note:
1. Sulla storia del debito si legga François Ruffin e Thomas Morel (a cura di), Vive la banqueroute!, Fakir editions, Amiens, 2013.
2. Rispettivamente su Lci, il 4 febbraio 2015: in International New York Times, il 3& gennaio ed l’1 febbraio 2015; e sulla British Broadcasting Corporation (Bbc), il 30 dicembre 2014.
3. Ciò che segue è un estratto dei lavori di Eric Toussaint e Renaud Vivien per il Comitato per l’annullamento del debito del terzo mondo (Cadtm), www.cadtm.org.
4. Cnuced, «The concept of odious debt in public international law», Discussion Papers, n. 185, Ginevra, luglio 2007.
5. Si legga Eric Toussaint, «Un “debito odioso”», Le Monde diplomatique/il manifesto, febbraio 2002.
6. Come nel caso della Francia. Si legga Jean Gadrey «Bisogna veramente pagare il debito?», Le Monde diplomatique/il manifesto, ottobre 2014.
7. Cff. Damien Millet e Eric Toussaint. La dette ou la vie. Aden-Cadtm, Bruxelles, 2011, trad. it: Debitocrazia: come e perché non pagare il debito pubblico. Alegre. Roma, 2011.
8. Citato da Richard Gott in Cuba: A New History, Yale University Press, New Haven, 2004.
9. Anaïs Tamen, «La doctrine de la dette “odieuse” ou l’utilisation du droit international dans les rapports de puissance», lavoro presentato l’11 dicembre 2003 al terzo convegno di diritto internazionale del Cadtm ad Amsterdam.
10. I famosi prestiti russi, depositati da numerosi risparmiatori francesi e alla fine rimborsati, per un totale di 400 milioni di dollari, a seguito di un accordo fra Parigi e Mosca, nel 1996.
11. Si legga Mark Weisbrot, «L’Argentina contro i fondi avvoltoi». Le Monde diplomatique/il manifesto, ottobre 2014.
12. Timoty W. Guinnane. «Financial Vergangenheitsbewältigung: The 1953 London debt agreement», Working Papers. n. 880, Economic Growth Center, Yale University, New Haven, gennaio 2004.
13. Non tratta del prestito forzato imposto da Berlino ad Atene nel 1941.
14. Intervista a Maud Bailly, «Restructuration, audit, suspension et annulation de la dette», 19 gennaio 2015, www.cadtm.org.
15. Albrecht Ritschl, «Germany was biggest debt transgressor of the 20th century», 21 giugno 2011, ww w.spiegel.de.

(Traduzione di Luca Endrizzi)