Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  marzo 19 Giovedì calendario

Nei primi venti giorni di febbraio quasi 80 mila aziende hanno fatto domanda per assumere delle persone (in tutto, probabilmente, più di 100-150 mila)

Nei primi venti giorni di febbraio quasi 80 mila aziende hanno fatto domanda per assumere delle persone (in tutto, probabilmente, più di 100-150 mila). E negli ambienti governativi si è gridato al miracolo e alla meravigliose virtù del Jobs Act. Serviranno analisi più dettagliate, ma per ora sembra (e la cosa è abbastanza logica) che si tratti, almeno per l’80 per cento, della semplice “messa in regola” di gente che già lavorava per queste aziende con contratti atipici e che adesso viene assunta regolarmente: tanto con il Jobs Act le protezioni sociali all’inizio sono quasi zero. L’azienda sta a posto e risparmia pure dei soldi. Insomma, un miglioramento c’è, ma è molto piccolo e è assai probabile che alla fine (a fronte anche di 400-500 mila “nuovi assunti”) il tasso di disoccupazione rimanga esattamente dove si trova adesso. E questo per una ragione molto semplice. Nonostante tutto l’ottimismo esternato dal governo e da altri centri più o meno ufficiali, la crescita economica dell’Italia quest’anno resterà molto bassa. C’è chi sostiene, e con buone ragioni, che non si arriverà nemmeno allo 0,5 per cento. I più ottimisti i spingono fino a immaginare una crescita italiana pari allo 0,8 per cento. Ma più in là non si va. Non solo: anche nei prossimi due-tre anni non sarà mai superato il valore dell’1 per cento nell’aumento del Pil. E questi numeri sono troppo bassi perché possano comportare un aumento significativo dell’occupazione: non è possibile che un sistema economico continui a fare le stesse cose dell’anno precedente, ma con molta più gente sotto i capannoni e negli uffici. Anzi, semmai cercherà di andare avanti con meno personale rispetto a prima, e questo per contenere un po’ i conti e essere più competitivo. E’ vero che con il Jobs Act le aziende saranno invogliate a assumere stabilmente più lavoratori. Ma, alla fine, si scoprirà che in gran parte si tratterà di persone che già lavoravano per quelle ditte, sia pure con contratti diversi. Il dibattito si sposta quindi nel solito punto: se si vuole intaccare davvero la disoccupazione, bisogna avere una crescita più forte. I conti sono presto fatti. Oggi abbiamo tre milioni e 600 mila disoccupati, con un tasso di senza lavoro superiore al 12 per cento. Per essere un paese “normale” dovremmo essere in grado di dimezzare questa cifra. Dovremmo essere capaci di creare cioè un milione e 800 mila posti di lavoro. Ma questo non si fa con una crescita economica che sta al di sotto dell’1 per cento. Bisogna arrivare al 2-3 per cento o anche più su. Di questo, e non di altro, dovrebbero discutere i nostri politici. Invece preferiscono altri temi, a loro più vicini e più facili da trattare. (Da "Tiscali - canale finanza" del 18 marzo 2015)