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 2015  marzo 18 Mercoledì calendario

QUELLA CONDANNA CHE NON TROVA IL MOVENTE

Dopo due sentenze di assoluzione, e un annullamento da parte della Cassazione nel caso dell’omicidio di Chiara Poggi, la Corte di Assise di Appello, sulla base di una rilettura degli atti, ma, soprattutto, dei risultati della rinnovazione istruttoria compiuta, ha giudicato raggiunta la prova certa della colpevolezza dell’imputato.
Di per sé il ribaltamento di due sentenze conformi di assoluzione non stupisce più di tanto. Certo, nella cornice di una giustizia ben funzionante sarebbe auspicabile che i giudici riuscissero a pronunciare sentenze in grado di reggere gli ulteriori gradi di giudizio. L’annullamento di una decisione è, sovente, dimostrazione di un errore, ma il sistema delle impugnazioni è stato predisposto proprio per rimediare agli eventuali errori commessi. Esso costituisce di per sé una garanzia, alla quale sarebbe grave rinunciare.
Nel caso di specie il punto è verificare se il nuovo giudice abbia fatto buon uso dei poteri che gli sono stati concessi. In questa sede non è evidentemente possibile ripercorrere tutti i passaggi che hanno convinto della colpevolezza di Alberto Stasi: i risultati dei nuovi accertamenti tecnici compiuti; l’individuazione della «finestra temporale» dalle 9.12 alle 9.35 durante la quale l’ex studente ha potuto uscire da casa, raggiungere l’abitazione della fidanzata, ucciderla e rincasare per continuare a scrivere la tesi al computer; la dinamica dell’aggressione; l’impossibilità che lo «Stasi scopritore» delle 13.50 abbia potuto percorrere il luogo del delitto senza macchiare di sangue le sue scarpe e, poi, i tappetini dell’auto con la quale si è recato dai carabinieri; il dna della vittima sui pedali sostituiti della bici; le bugie dell’imputato e le incongruenze delle sue dichiarazioni; il suo comportamento «sviante» che è riuscito, secondo quanto chiarisce la sentenza, «a rallentare gli accertamenti, anche grazie agli utili errori commessi» dagli investigatori. Il quadro degli indizi appare, in ogni caso, ampio e concordante.
Un profilo merita, forse, un’attenzione particolare. La Corte ha scritto che «Alberto Stasi ha ucciso la fidanzata, che evidentemente era diventata, per un motivo rimasto sconosciuto, una presenza pericolosa e scomoda»; ed ha soggiunto che, se pure «il movente è rimasto sconosciuto», si può comunque ipotizzare che la passione di Alberto per la pornografia, scoperta da Chiara, abbia potuto «provocare discussioni, anche con una fidanzata di larghe vedute», innescando difficoltà nel rapporto di coppia alla base di quella «motivazione forte» che ha «provocato il raptus omicida».
Manca dunque, nella sentenza Stasi, l’individuazione di un movente preciso dell’omicidio, e, soprattutto, il giudice si è limitato ad «ipotizzare» un contesto relazionale di coppia che «avrebbe potuto» innescare l’insorgere della volontà omicida. Una cosa è in ogni caso incontestabile: che se esiste un compendio indiziario oggettivamente in grado di dimostrare al di là di ogni ragionevole dubbio che un soggetto ha ucciso, la mancata individuazione del movente del reato non è, di per sé, in grado di vanificare la prova certa, altrimenti acquisita, della responsabilità penale. L’individuazione del movente, illuminando sulle ragioni del delitto commesso, può diventare decisiva soltanto in presenza di indizi oggettivi di per sé non del tutto univoci. Non mi sembra, quindi, che la mancata individuazione del movente possa, nel caso Stasi, dove gli elementi oggettivi indiziari raccolti sono numerosi e concordanti, inficiare la decisione assunta.
Sentenza giusta, o sconfitta per tutti, come ha commentato ieri uno dei difensori dell’imputato? Sarà, ancora una volta, la Cassazione a stabilirlo, dato che la difesa presenterà, come ha annunciato, un ulteriore ricorso. Se la Cassazione dovesse ancora una volta annullare, la sconfitta sarebbe, a quel punto, probabilmente certa.