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 2015  marzo 17 Martedì calendario

GUADAGNARE COL PETROLIO LOW COST

Nuovi minimi segnati dal petrolio e nuovi scenari che si aprono all’orizzonte. Quali è presto detto. Intanto in molti si chiedono se si tratta di una trappola per orsi o se ci verranno effettivamente segnati nuovi record negativi. Per capirlo gli operatori professionali si avvalgono di adeguate correlazioni, cioè vanno a caccia delle attività finanziarie che più si muovono all’unisono con l’oro nero.
In quest’ambito rientra per esempio la relazione tra petrolio e tasso di cambio tra dollaro Usa e dollaro canadese (cross usd/cad). Gli andamenti delle due grandezze sono speculari, cioè quando il primo scende il secondo tende a salire e viceversa. Ma come si spiega questa correlazione? Il petrolio è quotato in dollari, quindi quando il biglietto verde si apprezza i produttori sono disposti a vendere l’oil anche a prezzi più bassi. La correlazione diventa però ancora più forte quando nella partita entra anche il dollaro canadese. Il Canada è uno dei più importanti produttori di greggio: un indebolimento del prezzo del petrolio peggiora quindi bilancia commerciale, prospettive di crescita, inflazione e tassi di interesse del Paese.
Gli spunti operativi. Ma, una volta visti i fondamentali relativi alla correlazione negativa fra petrolio e loonie (definizione in gergo del tasso di cambio usd/cad), occorre capire quali sono gli spunti operativi che offre in questo momento. Nelle ultime sedute il cross usd-cad sta testando l’importante resistenza a 1,2800 dopo una significativa salita di medio periodo. Allo stesso modo il petrolio sta puntando sul supporto psicologico a 45 dollari, dopo una congestione sul breve e una tendenza molto marcata al ribasso sul medio periodo. Sempre in ottica di analisi, il petrolio ha battuto un minimo a 43,58 alla fine del mese di gennaio. Da un punto di vista operativo, se il loonie (usd/cad) dovesse superare 1,2800 di slancio, il petrolio ha buone chance di portarsi al di sotto dei 45 dollari al barile. Quanto agli stop loss, quota 1,25 per il cambio usd/cad e i 50 dollari al barile sono le due soglie che se violate, rispettivamente verso il basso e verso l’alto, costringerebbero a rivedere le posizioni opposte.
Le ragioni fondamentali. Il trend ribassista è alimentato da due importanti fattori sul piano dei fondamentali, e cioè l’aumento molto consistente delle scorte e la caduta del dollaro americano.
Il primo è determinato dal calo della domanda cinese, in quanto il Paese non ha più i ritmi di crescita degli anni passati, e dalla nuova tecnica di estrazione del petrolio dalla roccia, il cosiddetto fracking, che nelle scorse settimane ha fatto registrare i massimi produttivi degli ultimi 80 anni.
L’investimento nel petrolio non passa solo attraverso i future perché esistono valide alternative come gli etp a leva.
Sul petrolio esistono due contratti, il brent e il Wti. Il contratto più vulnerabile al ribasso al momento è il Wti perché più esposto alla concorrenza del fracking.
Quanto ai margini, per poter operare sul petrolio esistono due tipi di contratti. Il primo è la versione online mini, il secondo è quella standard. Nel primo caso i margini in media sono pari a 2.500 euro, mentre nel secondo si sale a valori nettamente superiori, pari a 4.800 euro.
È evidente che anche i tick sono nettamente diversi. Nel primo caso la variazione minima di prezzo, pari a 0,0025, vale 12,50 dollari, nel secondo 0,01 che vale 10 dollari.
Chi va in controtendenza. Nonostante la caduta del prezzo del petrolio degli ultimi mesi, in realtà c’è ancora chi sta comprando, spinti dall’ipervenduto ma anche da altre motivazioni. Una di queste è che i prezzi sono scivolati troppo in basso rispetto alle necessità di conto economico di alcuni Paesi, procurando loro delle perdite. Sulle scrivanie di premier e ministri delle finanze di mezzo mondo campeggiano monitor con le ultime quotazioni del petrolio: la finalità non è il trading, ma l’impostazione del bilancio dell’anno. Molti Paesi hanno entrate fiscali indissolubilmente legate al prezzo del greggio e ai corsi attuali i conti saltano.
Più in dettaglio, secondo una ricerca targata Fitch e Market Data Group, ai prezzi attuali del Brent (56,53 dollari) molti dei Paesi produttori sarebbero fuori mercato. Di indiscrezioni del genere ne erano già circolate, ma il pregio di questa ricerca è di fissare una volta per tutte i punti di pareggio per ciascun Paese.
Il risultato è sconcertante: al momento solo due paesi, e cioè il Kuwait e la Norvegia, stanno producendo con un margine positivo. Il primo molto risicato, il secondo più significativo. La Norvegia ha un punto di pareggio poco sopra i 35 dollari, mentre il Kuwait è poco sopra i 50. Sul fronte opposto, il Paese in condizioni più drammatiche risulta la Libia. Grazie a questa analisi si comprendono anche i guasti geopolitici in corso nel Paese. Il punto di pareggio per la Libia è a 180 dollari.
Fuori in maniera significativa sono anche Iran e Algeria con break even a 125 dollari. Per Nigeria, Arabia Saudita, e Venezuela occorrerebbe invece una quotazione del greggio sopra i 100 dollari.
La ricerca fa emergere quindi un elemento di novità che vede il punto di pareggio per l’Arabia Saudita sopra i 100 dollari; qualcuno parlava di valori molto più bassi. E lo stesso vale per la Russia che sotto 100 dollari è già fuori budget.
Interessante in quest’ottica è capire anche il peso delle entrate fiscali derivanti dal petrolio sul totale del gettito tributario. Il 90% del gettito in Iraq è legato al petrolio, e lo stesso vale per il Bahrain. Algeria, Arabia Saudita, Oman, Kuwait e più in generale tutti i Paesi del Golfo sono invece vicini all’80%, mentre Quatar, Russia, Venezuela e Kazakistan scendono intorno al 50%.
Giuseppe Di Vittorio, MilanoFinanza 17/3/2015