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 2015  marzo 17 Martedì calendario

UNA BCE SUL MODELLO BUNDESBANK NON HA DAVVERO PIÙ SENSO

Quando il ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, afferma che lo statuto della Bce è stato scritto dalla Bundesbank o, comunque, dalla Germania non va lontano dal vero. Prima ancora che nello statuto, comunque, prerogative e limiti della Bce sono descritti nel Trattato che stabilisce che il mandato dell’istituto, e in generale del Sistema europeo di banche centrali, è il mantenimento della stabilità dei prezzi e, solo fatto salvo questo obiettivo, sopravviene il sostegno alle politiche generali dell’Unione. Questa delimitazione netta è il frutto dell’accordo tra Helmut Kohl e François Mitterand. In sostanza, la Germania, ai tempi, dopo l’adesione francese alla sua unificazione, accettava l’unione monetaria ed economica con l’istituzione di una banca centrale europea e una moneta unica, a condizione che, nella sostanza, queste due ultime entità replicassero l’immagine della Buba e del marco. È probabile che, allora, si confidasse, da parte dei non tedeschi o non satelliti di questi, nell’evoluzione e, dunque, nella possibilità che con il tempo la configurazione istituzionale della Bce avrebbe potuto essere modificata; ma, chi avesse così pensato, non avrebbe fatto i conti con quel che significa, per i tedeschi, la stabilità monetaria e, prima ancora, con la Bundesbank, istituita dopo il secondo conflitto mondiale con alle spalle le macerie della guerra e dell’inflazione. Oggi dovrebbe essere all’ordine del giorno la rivisitazione della missione dell’istituto, ma nessuno compie questo passo perché ciò significherebbe aprire un durissimo contrasto con il capo della Bundesbank, Jens Weidmann e molto probabilmente con l’intero governo tedesco. Finora, si è andati avanti con una linea applicativa che, in alcuni passaggi, non ha interpretato assai restrittivamente il mandato - si vedano le Omt, operazioni di acquisto illimitato, ma condizionato, di titoli pubblici - fino al varo del Quantitative easing che si è ritenuto rientrare perfettamente nel mandato; anzi, giustamente si è considerato che il Qe è, nelle attuali condizioni, l’unico modo per ottemperare alla missione che impone di agire per mantenere la stabilità dei prezzi. E tuttavia, il problema del mandato, con il passare del tempo, diventa ineludibile: i contrasti sorgono spesso nei profili applicativi sui quali, a volte, una minoranza del Consiglio direttivo della Bce solleva dubbi e in Germania, ugualmente in forme per ora minoritarie, si levano critiche. Dal versante opposto, idee interessanti, quale quella che Varoufakis ha rilanciato, consistente nel varo di un grande piano di investimenti in Europa finanziato dalla Bei con emissione di titoli che sarebbero acquistati dalla Bce, trovano l’impedimento nell’obiezione puntualmente avanzata dai contrari, secondo la quale una tale operazione concreterebbe un finanziamento monetario del Tesoro dei singoli Paesi (e dell’Unione) vietato dal Trattato. Inutile richiamare, qui, le altre ancor più penetranti censure contro l’emissione di eurobond e la collettivizzazione di parte dei debiti pubblici. È stato giustamente osservato che, nel lanciare il Qe, sarebbe stato opportuno creare un aggancio con il piano Juncker, che evidentemente non si è neppure tentato, sempre per il timore di violare il suddetto divieto. Torna, dunque, quella che fu l’osservazione di Hans Tietmeyer, allora presidente della Bundesbank, temperata all’epoca in un confronto con Antonio Fazio, secondo la quale l’euro sarebbe stato, al più, un purgatorio.
Il fatto è che oggi, mentre incombe la necessità di risolvere la questione greca, non si può continuare a rimanere in surplace sia a quest’ultimo proposito sia nella individuazione di riforme nell’assetto istituzionale che sarebbero suscettibili, per le possibilità concrete che ne discenderebbero, di contribuire pure alla soluzione anzidetta. In ogni caso, la prossima riunione del 19 e 20 marzo dei Capi di Stato e di governo dell’Unione dovrebbe rappresentare un passo in avanti decisivo per sbloccare il negoziato con la Grecia e porre fine alle querelle e alle dichiarazioni di segno opposto che si susseguono dalle diverse parti. C’è bisogno di un punto fermo. Non si può seguitare con riunioni che rinviano a successive riunioni mentre progressivamente si allontana la possibilità per il governo ellenico di ricevere il finanziamento di 7,2 miliardi, in tutto o in parte. Poi occorrerà seriamente pensare a una modifica delle norme che regolano la Bce, pur avendo presente l’arduità del compito. Il rapporto franco-tedesco è importante, ma non ha più il ruolo pressoché esclusivo che aveva con Kohl e Mitterand.
Angelo De Mattia, MilanoFinanza 17/3/2015