Roberto Giardina, ItaliaOggi 17/3/2015, 17 marzo 2015
MEGLIO UNA POESIA O UN BILANCIO?
Berlino
Sulle pagine economiche dell’autorevole Frankfurter Allgemeine hanno pubblicato un articolo sulla poesia. Vale la pena di studiare i sonetti di Shakespeare, di Goethe o di Dante, o imparare a leggere un bilancio aziendale? Il titolo non sembra avere dubbi: «Wer Gedichte kann, ist zu doof für das echte Leben», chi sa poetare è troppo sciocco per la vera vita, tradotto liberamente.
La questione è partita dalla protesta di Naina, una studentessa diciassettenne: «Tra poco sosterrò l’esame di maturità, e non so nulla di tasse, di affitti o di assicurazioni, ma posso scrivere un tema su un componimento poetico in quattro lingue».
La scuola tedesca, in base ai confronti internazionali, lascia alquanto a desiderare, e Naina ha provocato gli esperti, letterati, sociologici, economisti. Sui banchi si imparano cose inutili o si viene preparati ad affrontare la realtà sociale?
Ai tempi del mio lontano liceo, il professore all’ultimo anno ci faceva tradurre dal greco senza vocabolario, dopo cinque anni non vi dovrebbe servire, poi distribuiva i due e i tre. All’orale chiedeva che recitassimo alcuni versi a memoria di una tragedia, quella che volevamo. Quando sarete adulti solo ricordare qualche verso di Sofocle vi distinguerà da un operaio, ci ammoniva con sferzante ironia. Oggi lo denuncerebbero perché politically uncorrect, ma lui aveva rispetto per gli idraulici, non per noi. E io non ho dimenticato l’inizio dell’Edipo Re. Però non saprei leggere un giornale in greco moderno, e neppure un bilancio. Anche le lettere della mia banca mi mettono in difficoltà, in quattro lingue.
Tempo fa mi sono scatenato una raffica di critiche e insulti perché su Facebook, da cui voglio togliermi, avevo commentato la notizia orgogliosa di una professoressa: all’università del Salento gli iscritti a filosofia erano aumentati del 23%. I disoccupati di domani? chiesi. Negavo il diritto alla cultura, mi insultarono. Non nego nulla, solo insinuavo il dubbio che non tutte quelle matricole volessero studiare il pensiero di Hegel per pura passione. Che faranno dopo nella vita? Ne conosco alcuni che arrivano in cerca di un posto a Berlino, ma non riescono neanche a fare i camerieri perché non sanno il tedesco. Per studiare Kant, avrebbero dovuto impararlo. Come ha fatto Fernanda, mia moglie, studiosa appunto di Hegel.
In Germania, quelli che fanno carriera in pubblicità sono proprio i laureati in filosofia, perché sanno destreggiarsi meglio con le parole, ma all’università devono seguire qualche corso pratico. Non li si manda allo sbaraglio, non tutti potranno diventare professori. A Berlino avrei ricevuto meno critiche che nel Salento, e la giovane Naina ha trovato più sostenitori che critici: in rete, 15 mila commenti negativi contro 27 mila positivi. Perfino il procuratore generale alla Corte europea, il sivigliano Pedro Cruz Villalón, nel redigere il parere giuridico sulle decisioni della Bce, la Banca centrale del nostro Mario Draghi, ha ammesso: io e miei colleghi ci esprimiamo con una certa prudenza, io di economia e di finanza non capisco granché. Non cita Nania, ma avrebbe dovuto.
Darò l’impressione di contraddirmi, ma Naina non ha del tutto ragione. Io non mi orizzonto in un bilancio, e non ho mai capito perché i libri nel magazzino di un editore vanno conteggiati al passivo e non all’attivo, ma aver studiato a memoria i sonetti di Shakespeare e qualche atto delle tragedie greche mi permette di intuire che cosa si nasconde dietro quelle colonne di cifre. O, almeno, lo spero.
Roberto Giardina, ItaliaOggi 17/3/2015