Riccardo Ruggeri 18/3/2015, 18 marzo 2015
In questi mesi, molti lettori mi hanno scritto chiedendomi come andrà a finire la vicenda del rientro dei capitali dall’estero, sui quali Renzi e Padoan puntano molto per ricuperare risorse, al punto di aver sospeso (fino al 30 settembre prossimo) l’aumento del prezzo dei carburanti previsto dalle “clausole di salvaguardia”
In questi mesi, molti lettori mi hanno scritto chiedendomi come andrà a finire la vicenda del rientro dei capitali dall’estero, sui quali Renzi e Padoan puntano molto per ricuperare risorse, al punto di aver sospeso (fino al 30 settembre prossimo) l’aumento del prezzo dei carburanti previsto dalle “clausole di salvaguardia”. I lettori pensano che vivendo io all’estero da 25 anni, e da molto in Svizzera, dovrei essere in grado di rispondere. Ci provo, dopo aver intervistato amici svizzeri che il tema invece lo dominano. Anzitutto un paio di premesse. Prescindo dagli ovvi aspetti etici: sottrarre allo Stato i quattrini delle tasse dovute è furto, come lo è la corruzione-concussione degli impiegati statali, essere retribuiti senza lavorare e così via per gli infiniti scandali che vedono coinvolti politici centrali e regionali, industriali, coop e, a scendere, fino ai vigili urbani romani. Qui si tratta di ragionare sulle “tecniche” per far rientrare in Italia capitali sottratti al fisco. Gli italiani pensano che il vecchio stock di “capitali nascosti”, ancora sopravvissuti ai condoni del passato, siano tutti in Svizzera, in realtà, si dice, solo il 45% lo è, il 31% è in Lussemburgo, il 24% nel resto del mondo. Si dice pure, che l’ordine di grandezza sia di 150 miliardi di franchi (120 mld €), mentre l’Italia parla di 200 mld €, ma sono dati che nessuno conosce. La Svizzera ha firmato, nel maggio scorso, il Protocollo Ocse, quindi dal 2018, per i dati del 2017, parteciperà all’automatico scambio di informazioni bancarie. Nel frattempo la Svizzera è sulla black list italiana dei paradisi fiscali, quindi i due Paesi hanno 60 giorni per trovare un accordo per far sì che la Svizzera esca dalla black list. Attenzione black list ai soli fini della “Volontary disclosure”. E’ di ieri la dichiarazione del “confederale” Mario Tudor che l’intesa (compresi i “domicili” e i “frontalieri”) sia fattibile entro fine febbraio. Una notizia importante. Al di là del mandare un alto messaggio etico per il futuro (intendiamoci aspetto molto importante), chi beneficerà di questo accordo? La risposta dovrebbe essere ovvia: il Governo italiano, che dovrebbe impossessarsi, attraverso un percorso ordinato e legale, di una parte rilevante di questi capitali occulti. Non certo le Banche svizzere che da anni hanno deciso di non lavorare più con quattrini “neri”. Da tempo, se un italiano (idiota) si presenta in una Banca svizzera per depositarvi dei quattrini “neri”, di qualsiasi ammontare, si sente rispondere: “firmi questa dichiarazione, e sappia che la Banca provvederà a informare immediatamente l’autorità fiscale italiana dell’operazione”. Non certo quelli che in questi anni hanno portato i loro quattrini in altri luoghi (Emirati, Hong Kong, etc.), o hanno trasferito la loro residenza in Paesi extra europei, ricuperandoli a costo zero, o li hanno semplicemente spesi, piuttosto di correre il rischio di vederseli sottrarre. Forse i Comuni italiani limitrofi al Canton Ticino, dai quali provengono i 60.000 frontalieri, che potrebbero avere la certezza del ristorno del 40% delle imposte versate agli stessi. Senza però dimenticare che un tempo i frontalieri svolgevano un ruolo strategico nel Cantone, mentre ora la crisi, che ha colpito pure la Svizzera (l’indice di disoccupazione è in aumento) e la grande disponibilità in loco di mano d’opera immigrata dai paesi dell’Est, stanno rendendo i frontalieri marginali. Un dramma per queii Comuni che campano di questi ristorni. Peccato che tutti i Governi italiani (da Berlusconi in giù), a differenza per esempio di quello inglese, non abbiano adottato lo schema Rubic (dal nome del famoso rompicapo) proposto a suo tempo dalla Svizzera per i “capitali nascosti”. Questi sarebbe stati “sanati” attraverso il pagamento di un’imposta secca, definita dal Governo italiano, e le Banche svizzere si sarebbero impegnate a pagare al Governo sia la “tassa secca” una tantum sia, annualmente, una tassa del 26% sugli interessi percepiti, rivalendosi poi sui depositanti. Anni fa ne avevo scritto, ipotizzando che per l’evasore un’imposta secca media per esempio del 20% (vedi UK) che lo liberasse del “passato” sarebbe stata possibile. Poiché, anche allora le autorità italiane parlavano di 200 miliardi €, l’Italia avrebbe incassato una “una tantum di 40 miliardi €”, e poi, annualmente, il 26% degli interessi prodotti. Rifiutato lo schema Rubic, con i “suoi” 40 miliardi, oggi quale sarà l’introito effettivo della “Voluntary desclosure”? Sarà un successo o un flop? Qualche mese, e lo sapremo. Un amico svizzero, importante avvocato d’affari, mi conferma che il rapporto con gli inglesi ha funzionato (e funziona) benissimo, chiudendo con una battuta: “Lo scambio automatico di informazioni porta a uno scambio di carta, il metodo Rubic porta al pagamento certo di imposte”.