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 2015  marzo 14 Sabato calendario

CINQUE MILIARDI DI TROPPO


«Sulla Terra noi umani siamo qualche miliardo di troppo». Alan Weisman non usa mezze parole, si appassiona, racconta storie vissute in Paesi lontani, snocciola cifre, interpreta statistiche, si lascia andare a considerazioni filosofico-religiose. Giornalista, scrittore, docente, fu anche autore di un best seller (Il mondo senza di noi, Einaudi 2008), in cui immaginava come sarebbe stato il nostro pianeta se un’epidemia o una catastrofe naturale avesse eliminato l’umanità. Weisman toma con un nuovo libro che negli Usa ha già fatto molto discuterete, innescando polemiche nel mondo ecologista, creando gruppi online di nuovi fans, e qualche irriducibile avversario, delle sue teorie.
Countdown: Our Last, Best Hope for a Future on Earth? (nell’edizione italiana: Conto alla rovescia – Quanto potremo ancora resistere?, Einaudi) parla della sovrappopolazione, ma detta così potrebbe sembrare un noioso saggio accademico. Niente di più falso. È un libro appassionante, un lungo racconto di viaggio nei Paesi più diversi – da Israele alle Filippine, dal Messico al Pakistan, dal Vaticano all’Iran, dal Canada al Giappone – che ha come filo conduttore una convinzione dichiarata: siamo in troppi, stiamo distruggendo il nostro meraviglioso pianeta, se non prendiamo rapidi e drastici provvedimenti rischiamo la catastrofe. In questa intervista esclusiva con D ci spiega perché.
«Scienziati, biologi, economisti hanno calcolato che la popolazione ideale – in modo che tutti possano vivere a livello del Primo Mondo e senza rovinare in modo irreparabile la Terra – non dovrebbe superare il miliardo e mezzo, massimo due miliardi. Praticamente la popolazione dei primi anni del ’900. Oggi siamo oltre sette miliardi, e secondo le Nazioni Unite entro la fine del secolo siamo destinati a raddoppiare. Non sono numeri sostenibili».
C’è solo un modo per evitare la catastrofe, «ed è quello di smettere di fare figli». Weisman, che si rende conto delle implicazioni affettive, culturali e religiose di un programma simile («ovviamente sto estremizzando»), porta a esempio il piccione migratore. «Nel XIX secolo era uno degli uccelli più diffusi in America, ce n’erano cinque milioni solo negli Usa. Nel 1914 era estinto. Un processo iniziato diversi anni prima, quando la qualità del suo habitat e la possibilità di trovare cibo erano già diminuite sotto il livello di sussistenza». Possibile che succeda anche a noi? Per il giornalista-scrittore la risposta è sì. «Partiamo dai numeri. Fino all’inizio del ’900 la popolazione umana è cresciuta in modo regolare. Per millenni l’uomo ha adattato la natura alle sue esigenze, ha trovato le risorse necessarie, il cibo prima di tutto. Nei primi decenni del XX secolo, con la scoperta dei fertilizzanti, è cambiato tutto. Si è potuto produrre molto più cibo e la popolazione ha avuto un’impennata che durerà ancora a lungo». Non nega che le tecniche moderne abbiano permesso di nutrire chi, in passato, sarebbe morto di fame. «Il punto è che, se produci più cibo, crei inevitabilmente più fame. Nei prossimi 50 anni, per nutrire tutti i miliardi di essere umani che ci saranno sulla Terra, dovremmo avere la stessa quantità di cibo prodotta in tutta la storia dell’umanità». E questo con Paesi, come quelli d’Europa, che non accettano gli ogm, e con le difficoltà legate al cambio climatico. «Gli esseri umani, ricchi o poveri, hanno bisogno di due cose: cibo e combustibile. Oggi le campagne vengono abbandonate e le città diventano megalopoli dove spesso si vive ai limiti della sopravvivenza. Sono stato nelle più povere bidonville del pianeta, e cosa ho visto? Che tutti hanno un cellulare, che siamo tutti dipendenti dall’energia elettrica. E non ci preoccupiamo del fatto che manchi l’acqua, che se continua così non saremo in grado di sfamare tutti, che prima o poi la natura si vendicherà di noi come ha fatto con altre specie. Non è meglio trovare una soluzione, prima che lo faccia la natura sotto forma di guerre, di carestia, di epidemie?».
Il rimedio è sempre lo stesso: ridurre drasticamente la popolazione. Lo ha capito parlando con un tipo curioso del Voluntary Human Extinction Movement, che diceva le stesse cose di diversi scienziati; lo ha capito andando in Israele, dove le imprese di costruzione sono preoccupate perché la sabbia sta scomparendo («in un territorio che è fatto per metà di deserto»); lo ha capito in Paesi diversi tra loro come il Messico e il Giappone, oppure le Filippine e il Canada. Lo ha imparato nei luoghi dove la religione conta di più. «Ogni tipo di religione, perché tutte hanno da sempre la stessa strategia: fate molti figli. É il modo storicamente più semplice di superare i vicini e battere i nemici. Abramo, Isacco e Giacobbe erano poligami per la stessa ragione per cui, in tempi più recenti, lo sono stati i mormoni. Poi é arrivato Giuseppe, che potremmo definire il primo ecologista della storia, con la sua unica moglie e due figli soltanto. Aveva capito che il mondo stava entrando in una fase di penuria».
Non solo dal Vecchio Testamento arrivano insegnamenti buoni anche oggi. «Le racconto un caso che ho vissuto in Niger. Due Imam citavano entrambi il Corano, ma uno invitava a fare più figli, l’altro a controllare le nascite. Ed erano fratelli! Di recente poi perfino papa Francesco ha raccomandato di non fare figli “come conigli”, smentendo secoli di esortazioni alla procreazione senza precauzioni anticoncezionali. E nonostante la chiesa sia contraria alla pillola, pensi al suo Paese, l’Italia, dove la grande maggioranza è o si dichiara cattolica. La natalità é quasi a zero. Cosa voglio dire? Che ci sono ideologie e religioni, e poi ci sono gli uomini e soprattutto le donne, che devono fare i conti con la realtà. Sono le donne le prime a capire che non possono fare troppi figli. É da loro che dobbiamo ripartire, dall’istruzione femminile. Anche nei Paesi islamici, ne ho avuto un esempio in Pakistan, le cose stanno cambiando. E poi c’è la Cina, con la sua politica del figlio unico, criticata da tutti, anche dai cinesi stessi. Le dico solo che senza quella politica, oggi avremmo nel mondo 400 milioni di persone in più».