Chiara Daina, il Fatto Quotidiano 15/3/2015, 15 marzo 2015
IL SUPERFARMACO C’È MA NON PER I MALATI “MORIREMO DI EPATITE”
Il medico non mi ha prescritto i farmaci, ha detto che in ospedale non arrivano. Per me è una questione di vita o di morte. Da un anno la mia situazione è precipitata e oggi mi ritrovo con la cirrosi, quattro noduli al fegato, la milza gonfia e il valore delle piastrine al minimo”.
Marco, 52 anni, residente in Emilia-Romagna, è uno dei 50 mila pazienti italiani affetti da epatite C e definiti gravi secondo le stime confermate dal ministero della Salute. E come gli altri è in attesa di ricevere il Sovaldi (il nome commerciale del sofosbuvir), la pillola miracolosa di ultima generazione che, usata in combinazione con altre molecole, assicurerebbe un tasso di guarigione del 90 per cento. A una cifra da capogiro però, circa 37 mila euro Iva esclusa per ogni trattamento secondo informazioni che l’Aifa, l’agenzia italiana del farmaco, non conferma ufficialmente: la trattativa con l’azienda produttrice, l’americana Gilead, rimane infatti segreta per non turbare i negoziati con altri Paesi. Sarebbe un po’ meno del prezzo di listino: 45mila euro Iva esclusa a paziente. Costi altissimi che costringono le Regioni a erogare il superfarmaco con il contagocce.
A distanza di oltre tre mesi, da quando cioè l’Aifa ne ha autorizzato la messa in commercio (il 5 dicembre scorso), “sono solo 600 le terapie iniziate”, denuncia Massimiliano Conforti, vicepresidente dell’associazione Epac, che raggruppa medici e pazienti di malattie al fegato su tutto il territorio nazionale e ha attivato un osservatorio per monitorare l’accesso alle nuove cure.
“Sono disperato, non so come fare. Vivo in Piemonte e da 20 anni mi segue una clinica in Lombardia. Prima i medici mi hanno messo in lista per la cura con il sofosbuvir associato alla ribavirina (un inibitore, ndr), poi dieci giorni fa mi hanno avvisato che serve l’autorizzazione della mia Regione. A chi mi devo rivolgere adesso? Nessuno me l’ha detto”, racconta Davide, 52 anni, che vive con una pensione di invalidità e non sa a chi chiedere aiuto. “Ho gonfiori alle gambe, dolori reumatici insopportabili, nausea, più aspetto e meno mi resta da vivere”, dice Saverio, 55 anni, piemontese anche lui. Ha contratto l’epatite C nell’infanzia. “Finché l’Aifa non autorizza il Daklinza, l’inibitore che devo prendere insieme al sofosbuvir, non posso fare niente, solo sperare di non morire”.
Nell’ultima legge di Stabilità il governo ha stanziato un fondo di un miliardo di euro per finanziare i farmaci innovativi contro l’epatite C. Un gruzzoletto ancora congelato, quindi alle Regioni tocca anticipare le spese. Allora si capisce perché i trattamenti partono a rilento. “Finché lo Stato non sgancia i soldi, il problema non si risolve”, attacca il vicepresidente di Epac, Conforti. Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin lo sa bene. L’11 marzo ha assicurato che “è in fase di predisposizione” il decreto che individua le modalità di ripartizione dei rimborsi tra le Regioni e che attiverà “tutti i controlli necessari, utilizzando anche gli ispettori del ministero, per verificare che i farmaci siano somministrati ai pazienti”. In Italia l’epatite C è una malattia endemica che colpisce un milione e mezzo di persone, un dato più alto della media dei Paesi dell’Europa occidentale che infatti pagano il Sovaldi anche più di noi. La rivoluzione delle ultime terapie è senza eguali. “I vecchi farmaci avevano scarsa efficacia, andavano assunti per un anno, erano a base di interferone, che dà parecchi effetti collaterali, e quindi inadatti ai pazienti con la cirrosi, lo stadio avanzato della malattia, perché avrebbero peggiorato ancora di più la loro salute – spiega Antonio Gasbarrini, epatologo dell’Università Cattolica di Roma –. Quelli nuovi invece non contengono interferone e funzionano in soli tre mesi, con straordinarie percentuali di successo”. Ma il costo proibitivo è una barriera non di poco conto.
Il simeprevir, un’altra molecola innovativa antiepatite (autorizzata dall’Aifa il 23 febbraio) vale intorno ai 17 mila euro. “È vero, però questi prodotti garantiscono un risparmio nel futuro Gasbarrini –. Per un paziente grave il sistema sanitario nazionale spende 30 mila euro l’anno. Se subentra un tumore, ne tira fuori altri 50 mila. Per un trapianto di fegato fino a centomila”.
Negli Stati più poveri il Sovaldi è low cost. In Egitto, per esempio, è venduto a 660 euro. In India a un dollaro soltanto. Perché? Risponde Luca Pani, direttore Aifa: “Gilead, che detiene il brevetto di Sovaldi, ha conferito la licenza per la produzione di questo medicinale ad alcune aziende generi-ciste in India per la vendita esclusivamente in 91 Paesi in via di sviluppo, compresa l’India. L’accordo non consente la vendita al di fuori dei paesi definiti dall’accordo e sulle vendite le aziende genericiste riconosceranno a Gilead le royalties concordate”. L’ufficio brevetti di Delhi aveva respinto la richiesta di registrazione avanzata dal produttore Usa, ritenendo non abbastanza innovativa la molecola, in linea con una legge indiana del 2005 che impedisce alle case farmaceutiche di ottenere l’esclusiva sulla revisione di farmaci già esistenti. “L’Italia invece – precisa Pani – non può permettersi di posizionarsi al di fuori delle regole del commercio internazionale e della normativa internazionale della tutela brevettuale”.
Chiara Daina, il Fatto Quotidiano 15/3/2015