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 2015  marzo 15 Domenica calendario

FITTO, IL “BAMBINO” CONDANNATO IN TRIBUNALE COME L’ODIATO CAIMANO

È stato il 2 ottobre scorso, di giovedì, che Silvio Berlusconi schiacciò un dito contro il naso di Raffaele Fitto. A Palazzo Grazioli, residenza di B. nella Capitale, era in corso l’ufficio di presidenza di Forza Italia e l’ex Cavaliere stroncò a modo suo l’insorgenza dell’ex governatore pugliese: “Finiscila Raffaele, tu sei figlio della vecchia Dc, sei un parroco di Lecce. Vaffanculo”. Secondogenito di un democristiano morto tragicamente, Fitto reagì malamente alle contumelie, avvicinandosi a Berlusconi: “Stai dicendo cose indegne”. B. arrossì di un rosso anomalo, tra la rabbia e il cerone, e allungò un dito contro il naso fittiano. “Sto diventando sordo, devo farmi più vicino”. Fitto: “Io non sono come gli altri che ti leccano il culo”. Berlusconi: “Ogni volta che vai in tv perdiamo il quattro per cento”. Fitto: “Io resto, non mi faccio cacciare”. Berlusconi: “Vaffanculo”. Dopo un’ora fu Denis Verdini a rampognare il consigliori fittiano, l’ex radicale Daniele Capezzone: “Ti impicco a un albero”.
DA EREDE DEL PADRE TOTÒ A PROTESI DELL’EX CAVALIERE
Raffaele Fitto ha 45 anni e continuano a dirgli che ha la faccia da bambino. Non ha mai lavorato, nel senso di un lavoro normale. Non era ventenne, che faceva già politica. L’influente mamma, di nome Leda, lo unse come erede del marito Salvatore nella funesta estate del 1988. Di ritorno da Taranto verso Maglie, in provincia di Lecce, Salvatore “Totò” Fitto morì insieme con l’autista in un incidente stradale. Cadeva il 29 agosto 1988 e Fitto senior era presidente della Regione Puglia. Il clan familiare dei Fitto è di Maglie, il paese di Aldo Moro. Ma loro, nella Dc, non sono mai stati morotei. Il nonno era monarchico-fascista e al funerale di Salvatore Fitto c’erano quattro ministri dorotei della Balena Bianca: Antonio Gava, Emilio Colombo, Remo Gaspari e Vito Lattanzio. Raffaele Fitto è stato democristiano dal 1988 al 1998. Poi si tuffò nell’azzurro di Forza Italia e divenne il governatore più giovane d’Italia. Era il duemila e aveva trent’anni. Berlusconi lo investì con parole alte e impegnative: “Raffaele Fitto è un po’ una mia protesi”.
LA RICHIESTA D’ARRESTO E IL PROCESSO “VELOCE”
Nonostante l’odio attuale con l’ex Cavaliere, Raffaele Fitto ha inverato una genuina protesi berlusconiana. Nel febbraio del 2013 viene condannato a 4 anni di carcere dal tribunale di Bari per corruzione, abuso d’ufficio e finanziamento illecito ai partiti e dopo 24 ore denuncia i giudici del collegio che lo ha dichiarato colpevole. Pur militando in un partito che si è speso senza risparmio per la “ragionevole durata” dei processi, Fitto lamenta “una velocità sospetta” a causa delle elezioni politiche. Avrebbe preferito una naturale lentezza. I giudici finiscono sotto inchiesta e si difendono segnalando che il processo non è stato “veloce” per i 40 rinvii chiesti da Fitto e dal suo legale Francesco Paolo Sisto per impegni parlamentari. Entrambi, infatti, sono deputati di Forza Italia.
LA GUERRA AI PUBBLICI MINISTERI E GLI STRANI SOSPETTI
La guerra di Fitto contro i magistrati che indagano su di lui è antica e serrata. Quattro anni prima, nel 2009, Fitto è ministro del governo Berlusconi e viene indagato per abuso d’ufficio insieme al collega Angelino Alfano, Guardasigilli, per un grave sospetto: aver tentato di bloccare la nomina di Marco Dinapoli a capo della Procura di Brindisi. Nel 2006, Dinapoli, da procuratore aggiunto di Bari, chiese con altri tre pm l’arresto di Fitto nell’inchiesta alla base della condanna del 2013. Nel 2009, il sospetto prende forma in una conversazione intercettata dalla Procura di Bari tra un magistrato e un docente universitario. Dice il primo: “Oggi sono andato a un matrimonio dove ho incontrato Raffaele (Fitto, ndr) e volutamente ho preso l’argomento Brindisi. Lui mi pare fortemente intenzionato a sbarrare la strada a quell’amico (Dinapoli, ndr)”.
IL NO BIPARTISAN DELLA CAMERA ALLE MANETTE PER CORRUZIONE
Il 19 luglio 2006, nell’emiciclo di Montecitorio, Sergio Mattarella, deputato della Margherita, si alza dal suo banco e corre sorridente dalla parte opposta, dove siede Raffaele Fitto. Gli stringe la mano, con calore. I presenti sono 462 e ben 457 hanno appena votato contro la richiesta di arresti domiciliari per Fitto. Prima del convinto voto bipartisan, il parlamentare di Maglie ha fatto finta di chiedere l’autorizzazione ai suoi colleghi: “Chiedo a quest’aula di concedere che si eseguano gli arresti domiciliari nei miei confronti. La mia vicenda si basa su un record di oltre 150 mila intercettazioni su di me e i miei collaboratori. Ma io non ho mai preso tangenti, perché se le avessi prese davvero oggi forse non sarei qui a difendermi”. Al governo c’è l’Unione di Romano Prodi. Clemente Mastella è ministro della Giustizia e dispone un’ispezione per “valutare la condotta” del già citato Dinapoli. Un mese prima, il 20 giugno, Giampaolo Angelucci è stato arrestato dai magistrati di Bari per una mazzetta di mezzo milione di euro versata a Fitto. Angelucci è il figlio di Antonio Angelucci, ras della sanità privata nel Lazio e in Puglia nonché editore di Libero e Riformista. Nel 2008, Antonio Angelucci verrà eletto deputato del Pdl, legato a Denis Verdini, l’ex macellaio toscano. La tangente è il prezzo per un appalto di 198 milioni di euro vinto da Tosinvest, la società degli Angelucci , per la gestione di undici residenze sanitarie assistite (Rsa) nella regione governata dal centrodestra. Le Rsa curano disabili e anziani non autosufficienti. Fitto non nega il versamento ma ribatte che si tratta di un contributo “regolarmente registrato e speso per la campagna elettorale”. Sette anni dopo, nel 2013, Fitto viene condannato in primo grado per corruzione, abuso d’ufficio e finanziamento illecito ai partiti.
LA TELEFONATA DI ANGELUCCI: “DISPONI SEMPRE DI ME”
I soldi di Angelucci, 500 mila euro, sono un contributo al movimento civico fondato dallo stesso Fitto, “La Puglia prima di tutto”, lista civetta organizzata per racimolare un po’ di voti alle Regionali del 2005. Fitto si candida da governatore uscente ma perde contro Nichi Vendola. Agli atti dell’inchiesta c’è questa telefonata intercettata tra Giampaolo Angelucci e Fitto, alcuni giorni dopo la sconfitta elettorale. Angelucci: “Per me rimani sempre il governatore della Puglia”. Fitto: “Senti, io ti volevo vedere poi. Vediamo la prossima settimana perché io su quelle attivazioni (le Rsa, ndr) c’avevo tutta una serie di impegni e di cose che vorrei mantenere”. Angelucci: “Dimmi quando devo venire e vengo. Qualsiasi cosa ti occorre due volte adesso, non una. Disponi di me come credi”. L’accordo “corruttivo” tra Fitto e Angelucci è stato ribadito dall’accusa nel processo d’Appello, venerdì scorso. Il secondo grado di giudizio è alle battute finali e quasi tutti i reati sono ormai prescritti.
“LA PUGLIA PRIMA DI TUTTO”: IN LISTA D’ADDARIO E MONTEREALE
Alle elezioni comunali di Bari del 2009, Fitto affida a Tato Greco la gestione delle liste della “Puglia prima di tutto”. Greco è un bamboccione politico come Fitto. Entrambi hanno avuto poltrone e pacchetti di voti per via dinastica. Greco è stato parlamentare dell’Udc ed è nipote dei Matarrese, costruttori baresi tra cui si distingue Antonio, già presidente della Lega Calcio. Greco inserisce nelle liste per le comunali due donne: Patrizia D’Addario e Barbara Montereale. Entrambe frequentano di notte Palazzo Grazioli, la residenza di Silvio Berlusconi a Roma. La prima, la D’Addario, in cambio di soldi e la promessa di un favore edilizio, nel novembre del 2008 ha diviso con B. il famigerato lettone di Putin. Scrive la D’Addario nella sua autobiografia: “Non ho stoffa per la politica, eppure è così vicina al mondo dello spettacolo, sono sicura che con un maestro appassionato sarei potuta diventare brava pure io”. Alle elezioni, la prima escort degli scandali sessuali dell’ex Cavaliere prende 7 voti.
IL SISTEMA DI POTERE MODELLO DC: DENARO PUBBLICO E NOMINE BLINDATE
Alle elezioni europee di un anno fa, Fitto è stato eletto nel parlamento di Strasburgo con 284 mila e 547 voti, nella lista di Forza Italia. In ventisette anni di carriera politica, il figlio di “Totò” Fitto è stato consigliere regionale e governatore in Puglia, deputato e ministro. Il suo sistema di potere è ben rodato e consolidato, tipico dei democristiani del sud: controllo del flusso di denaro pubblico e nomine blindate agli enti regionali. Nell’inchiesta che lo ha fatto condannare emergono relazioni strette e di affari con altri imprenditori e persino vescovi. Due zii di Fitto, Antonio e Raffaele, vennero arrestati nell’aprile del 1993 nella Tangentopoli pugliese. Mazzette per suoli e licenze edilizie a Maglie. E quattro mesi di carcere per corruzione. Nel 1998, il reato si estinse in Appello per prescrizione.
CAPEZZONE, BRACCIO DESTRO PER IL CAMERON DI MAGLIE
Lo scorso 11 febbraio, festività della Madonna di Lourdes, Silvio Berlusconi ha di nuovo minacciato Fitto, in un’assemblea dei gruppi parlamentari di Forza Italia: “I fittiani devono decidere cosa fare, o dentro o fuori. E se vanno via prenderanno l’1,3 per cento”. Dopo un paio d’ore, da Strasburgo Fitto risponde come fece a suo tempo Gianfranco Fini: “Che fai ci cacci?”. L’ex governatore pugliese controlla una quarantina circa di parlamentari, tra deputati e senatori. Il suo consigliere principale è Daniele Capezzone, che ha già pronto il simbolo di un nuovo partito conservatore sul modello Cameron. Ma nel frattempo, i due, Fitto e Capezzone, si agiteranno per fare i “Ricostruttori”. Ma ricostruttori di cosa?
Fabrizio d’Esposito, il Fatto Quotidiano 15/3/2015