Isabella Bufacchi, Il Sole 24 Ore 15/3/2015, 15 marzo 2015
LA BCE DA SOLA NON BASTA
Non è l’elicottero che fa piovere banconote dall’alto. Non è un distributore di banconote all’angolo della strada. Ma l’effetto del Qe atteso è questo. Come ha detto il Governatore Visco, l’acquisto di titoli rappresenta il metodo più rapido per creare moneta.
Così la liquidità virtuale del quantitative easing, un fenomeno che non ha precedenti in Europa e in Italia, si è rapidamente infiltrata nei lavori del workshop The European House – Ambrosetti, si è incanalata lungo i corridoi di Villa d’Este, ha sommerso la sala del convegno, i parterre, i salotti. Eppure l’unica liquidità certa durante questa due-giorni di dibattiti a Cernobbio è sembrata quella del Lago di Como. Il Qe da solo non basta a muovere l’economia, oltre all’offerta del credito serve anche la domanda di credito: sono stati in molti, tra politici, economisti , banchieri e imprenditori, a sostenerlo. E oltretutto, il Qe così com’è, nell’Eurozona non è detto che riesca a funzionare al meglio: perché il mercato del credito e dei titoli di Stato è ancora molto frammentato e questo può provocare la dispersione della moneta creata. Il costo del denaro è crollato di più nell’Eurozona “core”, in Germania, dove serve di meno.
A non essere affatto convinto dell’efficacia del Qe europeo è Richard Koo, il chief economist di Nomura che vede il problema principale nella “balance sheet recession” ovvero nella riduzione della leva finanziaria e negli investimenti da parte del settore privato. «In molti Stati europei, tra i quali l’Italia, è in corso il deleveraging del settore privato: le famiglie, le imprese non hanno voglia di indebitarsi neanche con i tassi allo zero per cento». Per contrastare il calo degli investimenti del settore privato, dove aumenta la tendenza al risparmio, serve lo stato e l’aumento degli investimenti pubblici. Il fatto che all’Italia i diktat di Maastricht e del Fiscal compact impediscano l’aumento del debito pubblico per Koo è una follia. «Ogni paese deve poter contare sui risparmi dei propri cittadini per aumentare gli investimenti pubblici, il risparmio degli italiani è pari al 6% del Pil ma non viene investito in titoli di Stato italiani perché l’euro consente agli italiani di investire all’estero senza correre il rischio di cambio». Per Koo il circolo virtuoso, per spezzare la spirale perversa della “balance sheet recession”, è quello di dirottare il risparmio nei titoli di Stato del proprio paese. Quello che sta facendo la Bce, in sostanza, dovrebbero farlo i risparmiatori italiani: lo spread non esiste in casa propria, come in effetti avviene in Giappone dove il risparmio dei giapponesi confluisce nei titoli di Stato nipponici anche se il debito/Pil supera il 200 per cento.
Una proposta provocatoria, quella di Koo, che però va nella stessa direzione di quella presentata a Cernobbio dal ministro greco Yanis Varoufakis, secondo il quale la Bce dovrebbe acquistare direttamente i bond emessi dalla Bei, che reinvestirebbe immediatamente la liquidità in infrastrutture e piani per la crescita e l’occupazione. Senza aumentare i debiti pubblici nazionali, come richiesto da Bruxelles. Per non parlare poi delle banche, di cui si è parlato a Cernobbio non solo come erogatori di credito a basso tasso ma anche come possessori di titoli di Stato ad alto rendimento, banche che non hanno alcuna intenzione di rivendere i bond alla Bce in mancanza di investimenti alternativi e altrettanto remunerativi, a rischio contenuto. Per Vittorio Grilli, chairman CIB Emea JPMorgan, «la manovra del Qe ha già dimostrato di essere efficace nella misura in cui ha già prodotto un impatto positivo sul tasso di cambio. I prossimi mesi ci diranno se anche l’inflazione e l’offerta del credito risentiranno positivamente come speriamo e come i primi segnali sembrano indicare».
Eppure, a Cernobbio un’altra scuola di pensiero ha insistito sulla inefficacia del Qe e della creazione di moneta e della liquidità e denaro a costo zero se il terreno resta inaridito dalla mancanza di fiducia. Non solo la fiducia nella prospettive di crescita del Paese, e nella capacità del settore pubblico e privato di ripagare i propri debiti, ma anche la fiducia semplicemente nella possibilità concreta di vedere i propri investimenti remunerati adeguatamente per il rischio. Mariana Mazzucato, professoressa di economics of innovation, ha ricordato una frase di Warren Buffet che può essere presa come il leit-motif del workshop , dove questi primi eccessi della liquidità del Qe (rendimenti sotto zero di buona parte della curva dei rendimenti dei titoli di Stato “core” e svalutazione dell’euro) sono stati ridimensionati da un fiume in piena di grafici, tabelle, proiezioni sul calo degli investimenti del settore privato e pubblico. Dice Buffet: «Nei miei 60 anni al fianco degli investitori non mi è mai capitato di trovarne uno che si tirasse indietro da un investimento per colpa del trattamento fiscale del suo capital gain. La gente investe per un motivo: fare soldi». “Fare soldi” alla fine è un motore per la crescita più potente del “dare soldi”?. È presto per tirare le somme sul Qe. Perché funzioni, bisogna anche avere fiducia nel Qe stesso.
Isabella Bufacchi, Il Sole 24 Ore 15/3/2015