Giulia Zonca, La Stampa 15/3/2015, 15 marzo 2015
QUANDO NUVOLARI PORTAVA FERITI LA VITA DEI CAMPIONI IN TRINCEA
La Grande Guerra per lo sport italiano inizia al porto di Genova. Il Torino rientra da una tournée in Brasile e non c’è festa ad attendere i giocatori ma un uomo che sventola fogli verdi e gialli. I richiami per le esercitazioni militari. l’Italia non è ancora entrata nel conflitto ma Vittorio Pozzo già guarda la battaglia dal ponte di una nave: «Quella guerra sulla cui durata avevamo scherzato era lì con le fauci aperte».
È uno dei ricordi strappati alla storia dal libro «La migliore gioventù» di Dario Ricci e Daniele Nardi, un giornalista e un alpinista e le due componenti servono perché nelle 204 pagine che raccolgono la vita dei campioni in trincea non c’è una racconto, ma una ricerca. I due autori hanno ripercorso le tracce rimaste con gli scarponi e il caschetto. Si sono arrampicati e hanno scavato nelle memorie per onorare il centenario della prima Guerra Mondiale. Hanno bevuto «caffè evocativi» prima di entrare nella baracca sulla parete sud del Piccolo Lagazuoi e calpestato rispettosamente strade cariche di eroismo «stando ben attenti a dove mettere i piedi». Non è un libro scenografico, di grande trasporto, è un percorso lento e accidentato tra parole da non tralasciare e luoghi da rispettare. Il tentativo di riportare a galla delle voci: il ritratto di una generazione di atleti che si è dovuta allenare troppo.
Avamposto austriaco
C’è chi in guerra ha portato lo spirito olimpico, definizione abusata che ritrova tutto l’originaria potenza nel capitolo dedicato a Nedo Nadi, plurimedagliato della scherma. Quando Nadi diventa sottotenente di cavalleria nel reggimento Alessandria ha già vinto un oro ai Giochi. Sotto la divisa c’è l’eleganza maturata in pedana, il coraggio imparato davanti agli avversari e l’onore con cui lo sport ti può marchiare. Costringe alla resa un avamposto austriaco e non infierisce sul nemico, soprattutto quando scopre che il capitano è un ex rivale. Lo abbraccia e per questo finisce sotto inchiesta. Un semplice dovuto gesto cancella le gesta militari. Nadi si difende così: «Era compagno di sport».
Il Cavallino e l’aviatore
Non si vive di solo eroismo, pure di coincidenze. La guerra potrebbe far incontrare prima del tempo Enzo Ferrari e Tazio Nuvolari entrambi arruolati dopo essere stati riformati per problemi fisici, entrambi malaticci e costretti a passare molto tempo in infermeria. Ferrari ferrava i muli, Nuvolari trasportava i feriti. Si sfioreranno senza incrociarsi e si conosceranno solo molti anni dopo, nel 1924. Ma allora i due ventenni vissero la Guerra dalle retrovie senza perderla mai di vista. Il Cavallino rampante arriva dal cielo grigio del primo conflitto Mondiale, dall’aereo di Francesco Baracca, asso dell’aviazione morto nel giugno 1918. All’ultimo metro.
Hurrà Juventus
Le voci di chi non è tornato a casa sono ancora più forti. Quella di Enrico Canfari è quasi sempre ironica, persino nel mezzo della paura. Calciatore e dirigente della primissima Juve, inventò i club organizzati. I suoi amici tennero lui e centinaia di altri commilitoni legati a casa con Hurrà Juventus, nato come «omaggio dei tifosi rimasti a Torino ai loro consoci sotto le armi». Canfari fu ucciso da un proiettile il 22 ottobre 1915, Resta di lui una medaglia d’argento al valore e la prova che le passioni calcistiche resistono anche alle condizioni peggiori.
Il 23 maggio 1915 si doveva giocare a calcio, ma l’Italia entrò in Guerra. Partite sospese, campionato fermo. Cento anni dopo la giornata prevede il derby di Roma, Juve-Napoli, Milan-Toro. Speriamo di onorare la memoria di chi allora fu costretto a togliere la maglia e indossare la divisa.
Giulia Zonca, La Stampa 15/3/2015