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 2015  marzo 15 Domenica calendario

“RIPRESA? IN PARROCCHIA VEDIAMO SOPRATTUTTO IL DISAGIO DELLE FAMIGLIE”

[Intervista al cardinale Angelo Bagnasco] –
Si parla di segnali di ripresa, ma non c’è lavoro e cresce il disagio delle famiglie». Il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei non legge la situazione del Paese con gli occhiali rosei delle stime sulla crescita ma con l’esperienza di parrocchie e Caritas. In questa intervista con La Stampa parla di Jobs Act, dell’elezione di Mattarella, dell’Italia lasciata sola di fronte all’emergenza immigrazione e della barbarie dell’Isis. Ci riceve all’istituto delle Suore di Ravasco, a poche decine di metri dalle mura vaticane, dove alloggia quando si trova nella capitale.
Come vede la situazione dell’Italia? Stiamo uscendo dalla crisi?
«Si parla di segnali di ripresa, speriamo che siano reali. Ma dal punto di vista delle parrocchie, delle associazioni di volontariato, delle Caritas, i dati che emergono sono quelli di una crisi e di un disagio crescente nelle famiglie. Se ci sono segnali di ripresa a livello di macroeconomia e di finanza, per ora non ne vediamo assolutamente le ricadute a livello occupazionale. La gente continua a perdere lavoro e a non trovare lavoro: sia i giovani sempre più sfiduciati, sia le persone adulte, con famiglia e mutui da pagare».
La Chiesa che cosa fa?
«L’altro giorno a Genova ho inaugurato una nuova mensa per chi è in difficoltà. Ogni giorno si offrono 750 pasti solo nelle istituzioni legate alla diocesi. A questi vanno aggiunti quelli degli istituti religiosi. È la realtà che viviamo in tutte le diocesi italiane».
Vede segnali di speranza?
«Ci sono situazioni promettenti nelle infrastrutture, nella ricerca e nella tecnologia, nell’export, nella volontà di riforme che rendano le istituzioni più semplici ed incisive, in vista del bene comune. In Italia c’è ancora un patrimonio di professionalità altissimo e riconosciuto all’estero. Così vedo una forza d’animo, un grande coraggio nei lavoratori e nelle famiglie. Non dobbiamo essere autolesionisti».
Che cosa pensa del Jobs Act?
«Non voglio né posso entrare negli aspetti più puntuali e tecnici. Certo il mercato del lavoro è cambiato, dobbiamo prenderne atto. Se queste nuove disposizioni aiutano l’occupazione, dentro a un quadro di sistema che offra garanzie anche se non come quelle di un tempo, ben venga. Ciò che serve a creare occupazione è benvenuto».
L’elezione del presidente Mattarella può aiutare la pacificazione del quadro politico?
«Mi pare di aver colto all’interno del Parlamento e soprattutto nel Paese consenso, stima e fiducia verso la persona dell’attuale Presidente della Repubblica. Ciò è un segno promettente. Se non di composizione sociale e politica, quantomeno di maggiore collaborazione e di minore conflittualità istituzionale».
Continuano gli sbarchi di immigrati. Come si affronta il fenomeno?
«Anche su questo versante la Chiesa è in prima linea. Metà dei 345 immigrati che il ministero dell’Interno ha assegnato a Genova – dovranno arrivarne 800 – sono accolti in strutture della diocesi. Cerchiamo di andare oltre ciò che è stabilito dalle norme, che prevedono il ricovero notturno, prima colazione e cena. Cerchiamo di tenere i luoghi sempre aperti, per non mettere le persone sulla strada durante il giorno. Cerchiamo di insegnare la lingua italiana e di offrire delle possibilità di impieghi socialmente utili. Credo che sia questa la via migliore per coloro che vogliono veramente integrarsi».
L’Italia appare spesso sola di fronte a quanto accade al largo delle sue coste...
«Lo si dice sempre, non so se corrisponda ai fatti: l’Italia è la porta dell’Europa. Se c’è la porta, ci deve essere la casa. Ci chiediamo: esiste questa casa europea o c’è soltanto la porta, dove tutto si ferma? L’Europa dovrebbe fare molto di più».
Di fronte a ciò che capita in Medio Oriente lei vede il rischio di reazioni ingiustificate contro l’islam nelle nostre società?
«Il rischio credo che ci sia. E va evitato con politiche adeguate e azioni congruenti, facendo ogni sforzo per una integrazione più efficace. Partendo dal presupposto che chi arriva voglia integrarsi all’interno del nostro Paese, bisogna potersi incontrare con le diversità culturali e storiche, senza scontrarsi e senza pretendere di omologarsi vicendevolmente».
Che cosa pensa di quanto accade nel Califfato islamico?
«È una questione molto grave. Da una parte ci sono questi fenomeni di uccisioni, persecuzioni di ordine religioso ed etnico in certe aree mediorientali: un fatto di assoluta inciviltà che vede i cristiani tra i più perseguitati, insieme ad altre minoranze. Sarebbe auspicabile una presa di posizione più chiara, più forte e continuata. Dopo gli attentati di Parigi c’è stata una manifestazione con grandi leader per la prima volta insieme. È stato positivo, per la libertà di espressione, che non è libertà di offesa. Ma nello stesso tempo non è stata detta in quella occasione una sola parola sulla libertà di religione. Non è giusto, sembra che la libertà religiosa sia considerata un optional. Il mondo civile, il mondo del buon senso e dei diritti deve prendere misure coerenti perché abbia fine questa inciviltà, questa barbarie che porta a filmare un bambino plagiato mentre uccide un uomo. Deve suscitare orrore e responsabilità!».
Che senso ha l’indizione di un Anno santo straordinario della Misericordia?
«È l’ennesima sorpresa che ci ha regalato Papa Francesco proprio nel giorno della sua elezione. Ci riporta al cuore del Vangelo. E intercetta un bisogno diffuso perché sono tanti i feriti nella nostra società. Solo Dio ci conduce a guardare l’uomo, al di là dei suoi fallimenti, come ad una possibilità che può sempre riscattarsi».
Quale cambiamento chiede Francesco al cattolicesimo italiano con il suo invito ad essere una Chiesa «in uscita»?
«Ci chiede di fare le cose di sempre con un animo missionario, con la consapevolezza che quanti incontriamo non sono più evangelizzati, neppure in Italia. Questo, dal punto di vista interiore, cambia moltissimo perché ti dà una prospettiva, una valenza, un tono e un calore che è quello dell’evangelizzatore, di colui che attraverso la testimonianza di ogni giorno sa di dover annunciare la gioia del Vangelo, annunciare Gesù. Non possiamo più dare per scontato di vivere in una società cristiana. L’Evangelii Gaudium di Francesco è più di un programma. È il segreto della fede senza della quale non c’è slancio missionario e tutto si riduce ad organizzazione. Per questo come vescovi italiani stiamo verificando in che modo l’esortazione del Papa stia penetrando nella mentalità e negli stili di vita delle nostre comunità. A maggio nell’assemblea generale, ne faremo l’oggetto principale della nostra riflessione e del nostro dibattito».
C’è però chi considera Francesco un estraneo al nostro continente...
«Credo che Francesco sia tutt’altro che estraneo all’Europa. Non solo per le sue radici italiane, ma anche per i suoi riferimenti culturali che compaiono spesso nei suoi testi. Credo peraltro che proprio la sua provenienza extraeuropea può aiutare l’Europa ad essere più essenziale, a riprendere il contatto con la realtà. La nostra è una cultura sofisticata e liquida e il papa latinoamericano restituisce con il suo sguardo concretezza e aderenza al vissuto».
Andrea Tornielli, La Stampa 15/3/2015