Gabriele Romagnoli, la Repubblica 15/3/2015, 15 marzo 2015
SOTTO LA PIOGGIA DI SALVADOR SI GIOCA LA PARTITA DELLA VITA
Non ci si bagna mai due volte nello stesso fiume, ma può capitare di tornare nella stessa città: quella che non si voleva rivedere mai più, per questioni di memoria e scaramanzia. Sai di che cosa sto parlando: dove vi siete lasciati (e, almeno all’inizio, sembrava scherzaste), dove tuo padre è andato a morire per essere finalmente solo (e tu hai preso un volo, ma sei arrivato tardi al funerale, nessuno ti conosceva), dove pensavi cominciasse la rivoluzione (ma erano le fondamenta di un centro commerciale). Non so per te, ma per me: Nizza, Lagos e Salvador de Bahia. Soprattutto, mai e poi mai più, Salvador de Bahia. Invece ci sono tornato, ventisette anni dopo, il doppio di quanti ne avevo la prima volta: il tempo di un’altra vita. Come fossi un’altra persona, mi ingannavo atterrando. Solo, in questa occasione. Per lavoro, e per un mese, con tutti i possibili espedienti studiati perché Salvador de Bahia non fosse di nuovo Salvador de Bahia, ma il negativo della propria immagine, in un inverno che da dove vengo è estate.
Quindi questa città non ha più mercati né spiagge affollate, non ha un faro, non ha quel quartiere di marzapane che chiamano Pelourinho e quindi non ha bisogno di un ascensore che lo colleghi alla costa. Non ha cattedrali né posade, non ha musica. Non c’è la casa di Jorge Amado, dissolti i fantasmi dei suoi personaggi, salvo uno: il patrono delle repliche, Quincas l’acquaiolo che morì due volte proclamando: «Niente è impossibile».
A Salvador si può cancellare il giorno senza uscire mai di casa. Le pareti di vetro inquadrano l’oceano, sotto il palazzo c’è una piccola spiaggia e ragazzi che giocano a pallone in costume, dall’alba, probabilmente pagati dall’agenzia turistica per dimostrare che in Brasile accade davvero: il calcio è religione e via cantando. Ci sono tre partite quotidiane nella tv con il megaschermo e due volte a settimana un’auto con i vetri scuri mi porta allo stadio per seguirne una dal vivo.
Esco di notte: su un motorino 50 cc, che a Salvador è considerata una condotta da kamikaze. «Almeno metti questo», ha detto il noleggiatore porgendomi un casco integrale, sproporzionato al veicolo. Il sole tramonta presto e già alle nove posso partire, sempre tenendo la spiaggia alla mia destra, invisibile l’acqua. Night club da strapazzo, supermercati, mangiatoie, una grande rotonda e poi riannodata la strada, tutto si ripete. Lungo il percorso: ragazzi ingaggiati per giocare a pallone anche con il buio e prostitute che battono il lungomare in infradito anziché tacchi alti, sgarrupati anche i richiami dell’apparenza. Undici chilometri fino a Pituacu, ne percorro talvolta il doppio per raggiungere Itapua. E ritorno. Ho una sola certezza: pioverà, arriverà uno scroscio di quelli che infradiciano in cinque secondi, allagano la visiera e rendono impossibile proseguire. Mai indossata una giacca impermeabile, tuttavia: sempre scommettere contro il Banco. Una notte trovo riparo in un chiosco senza nome né pretese. Un televisore troppo piccolo trasmette la replica di una partita diurna. Gli avventori si emozionano come se ogni cosa accadesse adesso, in diretta, per loro. Dalla spiaggia risalgono correndo i giocatori della partita. Mi accorgo con sorpresa che sono uomini: ingannevole era la magrezza delle ombre. Si aggiungono con strepiti alcune delle prostitute che le pur fioche lampadine del baretto rivelano essere, loro sì, ragazzi. La fitta pioggia crea una gabbia tutt’intorno e si resta prigionieri disponibili, a tifare, bere, scherzare. Qualunque cosa per cui soffriamo è già trascorsa, come l’incontro alla tv: ognuno vive una seconda esistenza. Un viado mi spiega che le ciabatte non sono per trasandatezza, ma per sembrare più fanciullesche. Conteggia: «Una ragazzina di tredici anni lo fa per cinque dollari, dobbiamo fronteggiare la concorrenza: chiederne venti e offrire il quadruplo». Studierò le statistiche e scoprirò che non mentiva. Annoterò queste tariffe, tra le altre: in India una donna adulta vale un dollaro, nel Suriname un grammo d’oro, nelle vetrine di Amsterdam la media è 68 dollari, una notte con una escort durante il festival di Cannes può costare 40 mila. Ognuno aggiusta il proprio travestimento. Qualcuno canta. Qualcun altro decreta che la partita è finita e proclama un vincitore, ma forse ore prima, in diretta, quello era lo sconfitto: ogni replica è una rivincita.
Mentre scrivevo questo articolo un amico di Torino mi ha mandato una storia accaduta là. Un uomo era morto, investito da un autobus sul quale stava cercando di salire. A rendere la cosa particolare è che, nello stesso punto, vent’anni prima, era stato travolto da un’auto, restando ferito sull’asfalto, ma si era salvato. Immagino ci sia una morale. Nello stesso posto puoi cavartela una volta sola, ma anche morire una volta sola. Se ci torni, lo fai per rinascere, e una persona diversa può bagnarsi due volte nello stesso fiume, nella stessa città.
Gabriele Romagnoli, la Repubblica 15/3/2015